domenica 2 giugno 2019

VII DOMENICA DOPO PASQUA

 Quaranta giorni dopo Pasqua la Chiesa celebra l’Ascensione del Signore, che era giovedì scorso. Una volta era festa civile, oggi non lo è più: per questo motivo la Chiesa romana celebra di domenica, oggi, questa solennità, mentre noi ambrosiani l’abbiamo celebrata giovedì. Quindi è giusto, bello e doveroso, spendere oggi qualche parola sul significato del mistero dell’ascensione di Gesù che aiuti la
nostra riflessione e preghiera, considerando che giovedì, inevitabilmente, sono stati pochissimi i fedeli ambrosiani che di fatto hanno celebrato questa festa, e la liturgia di oggi ce lo consente perché le letture di questa settima domenica dopo Pasqua contengono, non a caso, continui rimandi all’Ascensione. Il brano degli Atti degli Apostoli ci ripropone la preghiera di Stefano poco prima di essere lapidato, e che si conclude con queste parole: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». San Paolo, nel brano della lettera agli Efesini, parla della straordinaria grandezza della potenza di Dio che si è manifestata in Cristo, quando Dio “lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli”. E infine, abbiamo letto pochi versetti della lunga preghiera di Gesù contenuta nel capitolo 17 del vangelo di Giovanni, dove a un certo punto il Signore dice: «Padre, la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa… Voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato… perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro». Partirei proprio da questa frase: “Voglio che quelli che mi hai dato siano con me dove sono io”. “Quelli che mi hai dato” si riferisce a coloro che hanno aderito a Gesù, coloro che, come Gesù, hanno speso la loro vita nell’amore e nel servizio. “Voglio, chiede Gesù al Padre, che siano con me dove sono io”. E Gesù dov’è? Normalmente a questa domanda si risponde con un linguaggio infantile, che però riprende letteralmente le parole bibliche che pronunciamo nel Credo, dicendo che Gesù è salito al cielo e siede alla destra del Padre, per cui si dice: Gesù è in cielo, così come affermiamo per i defunti, i santi, la Madonna. Dove sono? Sono in cielo. Ma come? Gesù non ha forse detto “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi”? Non è consolante pensare che Gesù è in cielo, seduto comodamente alla destra del Padre che anche lui è in cielo, insieme a tutti i santi e i defunti, perché vorrebbe dire che Dio è lontano, distante, e con lui tutti i nostri cari. Allora occorre purificare il significato di certe parole. Prima di tutto la parola “cielo”. La parola “cielo”, nel linguaggio biblico, indica Dio, infinito “come il cielo”. “Padre nostro che sei nei cieli” non significa che Dio è in cielo, ma “Padre nostro che sei Dio”. E dunque il salire al cielo di Gesù non può essere un allontanamento di Dio, e infatti è un modo per spiegare cosa vuol dire che Gesù è risorto: vuol dire che la sua persona, dopo la sua morte, non è scomparsa, ma continua a vivere in Dio (“in cielo”). Oltretutto non possiamo mai dimenticare un altro dato fondamentale. Col Natale noi celebriamo l’incarnazione di Dio, un Dio che si fa uomo, un Dio che è dentro la nostra carne mortale, quindi non un Dio lontano, ma assolutamente vicino, presente in noi mediante lo Spirito santo, come celebriamo a Pentecoste. L’Ascensione, dunque, e la Pentecoste, non sono due avvenimenti diversi rispetto alla Pasqua, ma ci fanno capire cos’è la Pasqua, cosa vuol dire che Gesù è risorto: vuol dire che Gesù non è più visibile ai nostri occhi (l’ascensione), ma è entrato pienamente nella condizione divina, in piena comunione col Padre, e insieme al Padre continua ad essere presente in noi col suo Spirito (la Pentecoste). Ecco, dunque, dov’è Gesù, e con lui tutti i santi defunti: sono qui, in comunione con noi. Non siamo noi ad andare in cielo, ma è il cielo, è Dio stesso che è entrato dentro di noi. E continua a rendersi presente attraverso i sacramenti che celebriamo. Pensiamo solo all’eucaristia, dove ci nutriamo del Signore, per diventare come lui. E questa è un’altra cosa fondamentale da capire. Noi ci nutriamo dell’eucaristia per continuare a ricevere dal Signore il suo amore che ci trasformi a sua immagine, che ci faccia pian piano diventare come lui in questa nostra vita terrena, che ci faccia cioè risorgere, vivendo una vita nell’amore. Questo vuol dire, come dicevo prima, appartenere a lui. E qui comprendiamo allora il significato di quest’altra espressione, quella ripetuta dai brani della scrittura di oggi e che proclamiamo anche nel Credo, ovvero che Gesù “siede alla destra del Padre”. E’ un’antica espressione con la quale si indicava il fatto che chi era seduto alla destra del re, riceveva da lui il suo stesso potere. Quindi significa che Gesù riceve da Dio il suo stesso potere, che è quello dell’amore, e lo trasmette anche a noi, perché anche noi siamo chiamati, come lui, a sedere alla destra del Padre, fin da adesso, se usiamo il potere dell’amore che Dio ci trasmette col suo Spirito e nei sacramenti. Vivendo così, risorgiamo già adesso, e allora anche su di noi, come per Gesù, la morte non avrà potere, anzi, la morte del corpo diventa il passaggio definitivo che ci porta ad ascendere al cielo, cioè ad entrare nella pienezza della comunione con Dio. Quindi, vedete come l’Ascensione ci mostra esattamente il contrario di quello che la non comprensione di un certo linguaggio ci induce a credere: con l’Ascensione Gesù non si allontana dal mondo, ma si avvicina; la sua non è un’assenza, ma una presenza ancora più intensa. Del resto, finchè Gesù era in vita, la sua presenza era solo per le poche persone che lo vedevano. Invece, con la sua ascensione, tutti possono entrare in comunione col Vivente. Per questo siamo qui anche oggi a rendere grazie al Signore.