domenica 22 settembre 2019

IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO

Giovanni è l’unico evangelista che non parla dell’istituzione dell’eucaristia, ma è quello che spiega meglio di tutti cos’è l’eucaristia, e lo fa nel capitolo sesto del suo vangelo, di cui oggi abbiamo ascoltato i versetti finali, dove Gesù dice parole così scandalose che porteranno non solo all’abbandono da parte di molti dei suoi discepoli, ma al rifiuto e alla condanna a morte da parte dei
capi del popolo. Parole che continuano ad essere scandalose anche per noi, nonostante il fatto che partecipiamo all’eucaristia e che facciamo la comunione. Perché scandalose? Perchè ci fanno inciampare, cadere. Lo scandalo è infatti una pietra di inciampo che fa cadere. Sono parole che rivoluzionano completamente il concetto di Dio. Che da un lato sono troppo belle per essere vere, ma dall’altro sono anche molto impegnative, perché comportano un totale sconvolgimento del nostro modo di pensare Dio, la vita, noi stessi, gli altri. La prima rivelazione scandalosa è quella su Dio. Dio lo pensiamo come un legislatore a cui obbedire, come giudice pronto a punire chi sgarra, come lontano e inaccessibile se non a costo di scalate dove qualcuno resta sempre indietro. Un Dio dunque che si nutre di noi, che tarpa le ali, che chiede obbedienza, sacrifici, di essere adorato. Un Dio da un lato lontano, ma dall’altro esigente. In fondo, un Dio sommamente narcisista, dal quale i più furbi fuggono e al quale i meno furbi si sottomettono per timore. E invece Gesù rivela che Dio è uno che chiede niente, ma tutto si dona: non vuole mangiarci, ma è lui che si fa mangiare da noi. Scusate, ma è più importante il cibo che si mangia o colui che mangia il cibo? Chiaramente chi mangia. È più importante il pane o chi mangia il pane? Il pane serve per nutrire chi mangia, quindi è a servizio dell’uomo. Ecco, dunque, che Gesù, dicendo di essere pane da mangiare, mostra un Dio che è a servizio del bene dell’uomo. Già lo ascoltavamo nel libro dei Proverbi dove Dio dice: mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Gesù queste parole le realizza nella sua persona, con termini molto crudi: se non masticate la mia carne e non bevete il mio sangue non avete in voi la vita. Quindi, con Gesù, Dio è così vicino agli uomini da volersi fondere con loro, un Dio che non succhia energie, ma che dona tutte le sue energie, che non chiede niente, ma che si dona e chiede solo di essere accolto, masticato, assimilato per dare a noi la sua stessa vita, per rendere immortale la nostra esistenza. Un Dio completamente accessibile: non siamo noi il panino di cui Dio ha bisogno per nutrirsi, ma è Dio che si dà, senza nulla chiedere, se non di essere accolto per saziarci, per riempirci di sé, del suo amore. Masticato. Cristo vuol essere assimilato, masticato per farci diventare come Lui. Ecco la vera natura di Dio: è dono, è pane. Non a caso Gesù nasce a Betlemme, che vuol dire casa del pane, e fu deposto in una mangiatoia, perché è uno che deve essere mangiato. E allora, ecco la seconda rivelazione scandalosa: se Dio è questo, noi chi siamo? Noi che abbiamo tutti delle ferite sull’amore, dei traumi che derivano dall’affetto, dal non riconoscimento o dalla non accoglienza da parte degli altri, siamo creature amate da Dio in questo modo, che non dobbiamo far niente per conquistare il suo amore, non dobbiamo essere perfetti per essere amati da Lui, ma dobbiamo solo nutrirci del suo amore per diventare come Lui, un Dio che vuole fondersi con noi. Ed ecco la terza rivelazione, quella che oltre che ad essere scandalosa diventa anche impegnativa. Noi che verso gli altri siamo lupi contro altri lupi, cannibali bravissimi a divorarsi tra di loro perché affamati e assetati di potere, gloria, dominio, riconoscimento, che cosa scopriamo alla luce di questa rivelazione così bella da non sembrarci vera? Scopriamo che diventare come Dio vuol dire diventare anche noi pane che nutre gli altri. Dio è uno disposto a farsi sbranare, mangiare dagli altri. E lo fa da uomo. Vuol dire che se vogliamo avere in noi la vita, cioè la gioia, se vogliamo realizzare la nostra persona, la nostra umanità, e così avere in noi una vita che sia eterna, indistruttibile, e quindi diventare come Dio, non dobbiamo essere cannibali, non dobbiamo mangiare gli altri, ma dobbiamo diventare come Gesù, pane che si fa mangiare dagli altri. San Paolo nel brano ai Corinzi che abbiamo ascoltato dice: noi, che siamo molti, nutrendoci del pane di Cristo, diventiamo un solo corpo con lui. Cosa vuol dire? Vuol dire che il corpo di Gesù di cui ci nutriamo nell’eucaristia è fatto da tutti i fratelli. Vuol dire che quando io mastico Gesù devo essere disposto a vivere la comunione coi fratelli, a diventare io, a mia volta, pane che nutre gli altri. L’Eucaristia è medicina per vincere il mio egoismo e ricevere dal Signore la forza per smettere di essere cannibale e incominciare ad essere pronto io a farmi mangiare dagli altri, non a mangiare gli altri. Così e solo così divento come Dio, ho in me la sua vita e realizzo la mia. Cosa impegnativa, dicevo, ma solo in apparenza, perché in realtà dovrebbe essere solo consequenziale. Nel senso che diventare pane a mia volta per gli altri non è un mio sforzo, ma è la conseguenza del fatto che io per primo sono stato trasformato dal pane di cui mi sono nutrito. Per cui occorre che ognuno si domandi se quando fa la comunione, la fa con questa consapevolezza o meno. Altrimenti uno può essere un devotissimo adoratore del santissimo e divinissimo sacramento perché passa le ore in ginocchio ad occhi chiusi davanti all’eucaristia, ma, direbbe San Paolo, in realtà non sta partecipando alla sua mensa, ma a quella dei demoni, dove i demoni sono quelle ideologie, quei modi di pensare e di vivere esattamente contrari al pensiero di Cristo. E allora, così facendo, non si sta facendo realmente comunione col Signore, ma si è soltanto dei poveri devoti e illusi.