sabato 2 novembre 2019

COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI

La festa di oggi è l’occasione buona per riflettere sulla vita dopo la morte e in particolare sul Purgatorio. Ma andiamo in ordine. Per i defunti noi celebriamo l’eucaristia, e in questi giorni sono più numerose del solito le visite ai cimiteri. Cimitero vuol dire dormitorio. In passato il cimitero non aveva un’aria funebre. Fino al Medioevo, gli uomini avevano tanta familiarità con i morti che era
normale che in un cimitero ci fossero botteghe, mercanti, che si danzasse e si giocasse. Perché? Perché per i primi cristiani la morte era un addormentarsi. Uno che dorme vuol dire che non è morto. Il dormire fa parte della vita: uno dorme per rinfrancarsi dalla stanchezza e così avere poi il vigore per riprendere con più forza ed energia la sua esistenza. Infatti i morti noi li chiamiamo “defunti”. “Defungere”, in latino, vuol dire “terminare un compito” per cominciarne un altro, e se uno comincia un altro compito vuol dire che non è morto, ma che è vivo. Prima però riposa. Vuol dire che la morte è solo del corpo, non della persona: la persona continua a vivere, riposa per potere svolgere un altro compito. Perché allora, quando preghiamo per i defunti, chiediamo al Signore di donare loro un “riposo eterno”? Se uno è vivo non deve dormire in eterno. Bisogna capirla bene questa preghiera. Il riposo eterno è riferito alle fatiche terrene, non che i defunti se ne stanno a poltrire per l’eternità: essi lavorano insieme a Dio, e il loro lavoro è quello di continuare ad effondere in noi il loro amore, potenziato da quello di Dio. Vuol dire che sono più loro a pregare per noi che noi per loro. A che serve allora pregare per i defunti? Rispondere a questa domanda ci consente di capire cos’è il Purgatorio. La vita terrena, quella del nostro corpo mortale, lunga o corta che sia, potremmo paragonarla ai nove mesi di gestazione del bambino nel grembo materno, e il momento della morte del corpo possiamo paragonarlo al momento in cui un bambino viene partorito. Se ci pensiamo bene (come sono importanti le parole, perché esprimono concetti, e se le usiamo male nascono equivoci drammatici), uno non nasce quando viene partorito, ma quando viene concepito. Non è che col parto uno muore, ma è il contrario: non si può restare nel grembo della madre per tutta la vita. La meta è essere partoriti, e da lì si comincia una nuova esistenza. E tutto questo processo è di continua trasformazione. Pensate cos’è un bambino quando viene concepito: è solo una cellula. Pensate come si sviluppa in nove mesi, e dopo il parto si trasforma ancora, e ancora. E’ sempre la stessa persona, ma crescendo è quasi irriconoscibile. Ebbene, quando un bambino viene partorito è sporco, deve essere lavato da chi gli sta attorno, deve imparare a respirare e a nutrirsi in un modo nuovo, i suoi occhi ancora faticano a vedere. E allora, se il momento della morte del nostro corpo possiamo paragonarlo al momento in cui si viene partoriti, penso sia questo il modo più adatto per capire cos’è il Purgatorio: è il momento seguente la morte in cui il nostro spirito continua la sua trasformazione e ha bisogno di essere purificato, pulito da tutto ciò che ancora non gli consente di entrare pienamente in comunione con lo Spirito di Dio, e le nostre preghiere sono segno del nostro amore che aiuta questo processo di purificazione per entrare in piena comunione col Signore e così essere lui a cominciare il suo “lavoro” di preghiera verso di noi. La Chiesa chiama tutto questo “comunione dei santi”. Pensare pertanto che i nostri morti ci hanno lasciato e sono mancati all’affetto dei loro cari, o che non ci sono più, come si usa dire nel linguaggio comune o come si scrive sugli annunci funebri, è quanto di più anticristiano ci sia, ecco perché dobbiamo stare molto attenti al linguaggio e al significato delle parole che usiamo. Se vogliamo sentire la presenza viva dei nostri cari non dobbiamo andare al cimitero a piangerli come morti, ma dobbiamo celebrare l’eucaristia, come stiamo facendo adesso, per sentirli vivi, presenti, proprio perché nell’eucaristia si rende presente il Signore risorto. Ecco che allora la festa di oggi non è qualcosa di funebre, anche se il colore liturgico è viola, ma è una festa pasquale, anche perché ogni volta che celebriamo l’eucaristia celebriamo la Pasqua del Signore, annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta. Questa è la risurrezione, passare da una vita mortale a una vita immortale. Ed è qualcosa che non riguarda solo il nostro futuro, ma il nostro presente. Se Dio col suo Spirito è dentro di noi e noi col nostro spirito siamo uniti a lui già adesso, siamo già risorti adesso. Ed essere uniti allo Spirito di Dio vuol dire che vivere la vita nella carità, come Gesù. Più viviamo così, più il nostro essere interiore si trasforma, e quando sopraggiunge la morte del corpo, il nostro spirito continua a vivere, anche se al momento della morte ha bisogno di ulteriore purificazione, come dicevamo. Viviamo dunque e celebriamo l’eucaristia nell’attesa della venuta del Signore, nell’attesa della beata speranza, come sempre viene ripetuto. La speranza che venga il nostro Salvatore Gesù Cristo, la speranza del suo ritorno. Gesù ritorna, viene sempre, in ogni momento, quando accogliamo il suo Spirito, quando viviamo come Lui, ma dopo la morte del corpo la sua venuta è totale, perché tutto il nostro essere viene inondato dall’amore di Cristo che ci introduce nell’abbraccio del Padre, nel seno della Trinità. Allora perché chiamiamo “beata speranza” e non “certezza” questa verità di fede? Perché la speranza cristiana non è un semplice “augurarsi che le cose siano così, che di là ci sia qualcosa”, come spesso sento dire. No, la speranza cristiana è attesa di qualcosa che sappiamo che accadrà, ma che ancora però non si è manifestato in pienezza, cosa che invece accadrà nel momento della morte del corpo. O impariamo a vedere così la morte, non dunque come una iattura, ma come una sorella (così la chiamava san Francesco), perché introduce il nostro essere interiore nella gioia totale, o altrimenti essere cristiani ed essere qui ad onorare i nostri defunti non ha alcun senso.