domenica 22 dicembre 2019

SESTA DOMENICA DI AVVENTO

La sesta e ultima domenica di Avvento nel rito ambrosiano ha come titolo “domenica dell’incarnazione” perché celebra il momento in cui Dio si incarna, diventa uomo nel grembo di Maria, come abbiamo ascoltato nel racconto evangelico. Che, di per sè, è già il natale di Gesù: del resto, ognuno di noi esiste da quando è stato concepito nel ventre materno. Il giorno del nostro
compleanno, a ben vedere, non è il giorno della nostra nascita, ma il giorno in cui, dopo circa nove mesi di gestazione, siamo stati partoriti. Maria, però, concepisce e poi partorisce Dio, tanto è vero che la chiamiamo Madre di Dio. La mente umana, davanti a questo mistero, si è sempre interrogata su come sia possibile tutto ciò: se tutti veniamo da Dio, se Dio è il principio di tutto, come fa Dio ad avere una madre? Maria, in realtà, si poneva un altro problema: come avrebbe potuto concepire un figlio restando vergine? Domanda più che legittima. La risposta che riceve, però, non risolve le nostre domande e i nostri dubbi: avverrà per opera dello Spirito santo, nulla è impossibile a Dio. Poi ci sarà chi a questo mistero della fede ci crede e chi no, prendere o lasciare. Ragionando così però non andiamo da nessuna parte. Al limite, chi ci crede dirà: beata lei, beata Maria, io sono tagliato fuori; chi non crede dirà che i cristiani credono nelle favole. Per evitare questi due rischi opposti, bisogna decifrare i simboli della scrittura e non prenderli alla lettera. Prima di tutto l’angelo Gabriele. Gabriele significa “la forza creatrice di Dio”, e il testo dice che egli “entrò da lei e disse”, quindi parlò. Cosa vuol dire? Che qui si sta parlando della Parola di Dio, di un Dio che ci parla e vuole entrare in noi con la sua Parola che è capace di dare vita a qualcosa di nuovo: la forza di Dio è la sua parola. Noi ascoltiamo ogni giorno mille parole che trasmettono idee e concetti che formano il nostro modo di pensare e di vivere. Maria era una ragazza che invece si nutriva della Parola di Dio. La maggior parte dei cristiani ha letto mille libri, sente le parole degli altri, ascolta ogni giorno parole e contenuti stupidi o intelligenti, a seconda, da radio, televisione, giornali, internet, ma di tutta la Bibbia, purtroppo, conosce a mala pena solo qualche versetto della Parola di Dio che si legge in chiesa: come si può pretendere che poi questa Parola ci trasformi la vita? Pensate che la Parola di Gesù è capace di trasformare la materia del pane e del vino nel suo corpo e nel suo sangue! Vuol dire che questa stessa Parola può produrre in ciascuno di noi effetti pazzeschi, se facciamo come Maria. Maria non concepisce Gesù nell’utero, ma con l’orecchio che ascolta la Parola e le penetra nella mente e nel cuore, e così concepisce Dio, genera Dio, Dio diventa carne in lei. Gesù, più in là, dirà che sua madre e i suoi fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la fanno. Anche noi siamo chiamati a generare Dio, a diventare Madre di Dio, se facciamo come Maria. Il Vangelo, il Verbo di Dio che si è fatto carne in Maria, è tornato Parola nel Vangelo e aspetta di farsi carne in ciascuno di noi. Se però siamo vergini come Maria. Sempre vergini, nel senso che ogni volta dobbiamo ascoltare la Parola di Dio come se fosse la prima volta, non come persone che pensano di sapere già tutto di Dio. Dio non lo facciamo noi, non lo inventiamo noi: questo è il valore della verginità di Maria. Vedete come la comprensione più attenta del vangelo dirada questi misteri evitando di trasformare tutto in una barzelletta per atei? Ma ora vorrei concludere guardando a cosa dice questa Parola a Maria, perché Maria ascolta una Parola che è la sintesi di tutta la Bibbia, di tutto il messaggio di Dio e che Luca concentra in una piccolissima frase. La prima parola è un imperativo: Kaire, che vuol dire “gioisci, rallegrati”. Anche qui, io continuo a sperare che presto si smetta di pregare la Madonna dicendo “Ave Maria” al posto di “Rallegrati, Maria”, primo perché “Ave” è un termine desueto, secondo perché “Ave” vuol dire “Ti saluto”, quando invece la Parola di Dio dice: “rallegrati”. Dicevo che in questa Parola è contenuto tutto il messaggio di Dio, tutta la volontà di Dio. Cosa vuole Dio da noi? Vuole la gioia! “Kaire” è un termine greco che deriva dalla radice “kar” che vuol dire grazia, bellezza, bontà, gratuità, amore, dono. Ed è un imperativo presente: “continua a gioire!” San Paolo, se rileggete il breve bellissimo brano della lettera ai Filippesi, ripete: state sempre lieti. Ma come si fa? diciamo noi, giustamente, in mezzo ai mille affanni, problemi, ansie, preoccupazioni e tragedie della vita. Come si fa a stare sempre lieti? Risposta: perché sei piena di grazia, perché tu sei la gioia di Dio, perché a Dio tu piaci così tanto da essere pronto a morire per te, a dare la vita per chi lo uccide, a darti la sua vita immortale che supera anche la morte del tuo corpo, vuole farti diventare come Lui. Vedete come nella frase che molti ripetono anche 50 volte al giorno “Ave Maria piena di grazia” c’è dentro tutto il vangelo, se però la si ripetesse comprendendola e sentendosela rivolta ciascuno a sè stesso? Noi siamo fatti per la gioia, e la gioia c’è quando c’è l’amore corrisposto. Dio è gioia perché è amore tra il Padre e il Figlio, e questo amore è lo Spirito santo che penetra in noi, e se noi lo accogliamo entriamo a far parte della Trinità, se no restiamo nella morte. Se mi sento amato comincio a volermi bene e a voler bene agli altri, divento a mia volta amabile, diceva sempre san Paolo, e allora divento Madre di Dio, genero Dio, capisco che Dio continua a venire per prendere carne in me, per farmi diventare come lui. Allora è Natale perché Cristo è nato in me.