domenica 5 gennaio 2020

DOMENICA DOPO L’OTTAVA DI NATALE 2020

La liturgia di questa domenica del tempo di Natale ci fa compiere uno sbalzo di 30 anni presentandoci il primo discorso di Gesù, non più bambino, ma ormai adulto, nel quale spiega il senso di tutta la sua missione. Una scena che si svolge dopo che Gesù era stato battezzato. Non dimentichiamo che il Battesimo al Giordano è la seconda epifania del Signore: la prima è quella della
visita dei Magi, la seconda il suo battesimo di cui faremo memoria domenica prossima, la terza è la condivisione dei pani e dei pesci. Nel battesimo ricevuto da Giovanni era stato manifestato, rivelato (questo significa epifania) che Dio è Padre, che noi siamo figli e che lui, il Figlio, è venuto per dire questo facendosi solidale con tutti i fratelli: questa è la sua missione, per questo Gesù è venuto al mondo, per questo Dio si è fatto uomo, per insegnarci a diventare fratelli. Per cui Gesù ritorna dal Giordano, e torna, come abbiamo letto, nella potenza dello Spirito, cioè con quello Spirito che ha ricevuto nel battesimo, che è lo Spirito del Figlio che lo rende appunto solidale con i fratelli. Torna in Galilea, nella sua patria, si dice che insegnava e che la sua fama si diffuse in tutta la regione e tutti gli rendevano lode. Perché? La Galilea, la regione che si trova a Sud di Israele, era una regione disprezzata, di gente sottomessa, estremamente povera, e c’era grande desiderio dell’avvento di un messia, di un liberatore, e speravano che fosse lui a liberarli. Com’è importante che la prima attività di Gesù sia quella di insegnare, perché sarà proprio la sua Parola a far chiarezza sulla sua identità, e purtroppo i risultati non saranno positivi perché alla fine, abbiamo letto, tutti restarono meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca, ma questa meraviglia era sconcerto, infatti poi però cercarono di ammazzarlo, perché Gesù non corrispondeva a quello che loro si aspettavano. E’ molto importante questa cosa: noi abbiamo bisogno di lasciarci istruire dalla Parola di Gesù che ci fa conoscere chi è veramente Dio, altrimenti andiamo avanti tutta la vita a credere in un Dio che non esiste, ma che ci siamo inventati noi, e il volto di Dio che Gesù ci presenta è diverso da quello che noi ci immaginiamo. Infatti, guardiamo ora da vicino le parole pronunciate da Gesù. Gesù si mise a leggere il passo del profeta Isaia nel quale si parla dell’investitura del Messia, ed è il passo col quale Gesù interpreta tutta la sua missione: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione”. Lo Spirito del Signore è su di me, lo Spirito del Figlio che gli fa vivere la fraternità. Il termine “unzione” è lo stesso da cui deriva il termine Messia, che poi tradotto in greco è Cristo, che significa l’unto, cioè l’uomo investito della potenza di Dio che lo rende una persona divina, un rappresentante di Dio e della sua forza. «E mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio». Il lieto annunzio che i poveri attendono quale può essere? La fine della loro povertà. Gesù viene a realizzare quella che era la volontà del Padre, la volontà di Dio che era espressa nel libro del Deuteronomio, dove Dio aveva detto: “Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi”. Poi prosegue: “A proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista”. Certo, perché la sua Parola ci libera da tutte le nostre schiavitù che ci rendono prigionieri e che consistono principalmente nel nostro egoismo. E ci apre gli occhi per farci vedere che Dio è Padre e noi siamo fratelli. Infine dice di essere venuto a mettere in libertà gli oppressi e a proclamare l’anno di grazia del Signore, che per gli ebrei il giubileo, l’anno santo, nel quale la terra non deve essere lavorata, i terreni vanno restituiti ai proprietari originari, quello che la terra produce deve andare per i poveri, i debiti vengono rimessi, gli schiavi fatti liberi. Poi, però, il brano di Isaia prosegue con il versetto più atteso, quello in cui speravano gli abitanti di Nazaret che, ripeto, vivevano in una situazione di grande oppressione, di grande povertà, quello che parlava della vendetta di Dio che avrebbe sterminato i dominatori. Gesù non lo legge, non è d’accordo con Isaia. Vedete come Gesù interpreta e realizza le pagine dell’AT? Certo, è lui il Messia, ma il progetto di Dio è solo amore per tutti, mai vendetta, e questo causa sconcerto nella sinagoga, al punto che poi cercheranno subito di farlo fuori. Non c’è da stupirsi che Gesù sia stato ammazzato tre anni dopo, c’è da stupirsi semmai che Gesù non sia stato ucciso prima. Ma la cosa che a me stupisce ancora di più è un’altra, e parlo per me, anzitutto. Cioè, tutta la nostra devozione per il Signore senza che queste sue parole siano magari capaci di suscitare in noi la stessa reazione di meraviglia che, se fossimo sinceri, dovrebbe condurci a dire: ma noi che siamo qui, siamo davvero cristiani, discepoli di Gesù, o no? Noi continuiamo a rivolgerci a Dio come farebbe qualunque altra persona di un’altra religione, chiedendogli tante grazie, di mandarcela buona e, più spesso, di fare quello che dovremmo fare noi. Gesù sta ripetendo anche a noi: finchè non vivete da fratelli, finchè in una comunità ci saranno bisognosi di cui non ci si prende cura, finchè esercitate il potere e non vi mettete a servizio gli uni degli altri, finchè ci sono creditori e debitori tra di voi, Dio non è presente. Gesù, di fronte a un bisognoso, non disse mai “pregherò per te”, ma si diede da fare per aiutarlo. E’ un Dio scomodo quello di Gesù, che ribalta il nostro modo di vivere la vita. Se noi spesso usciamo di chiesa uguali a come siamo entrati, non è forse perché non ci siamo lasciati toccare dalla sua Parola o non l’abbiamo capita bene? E se l’abbiamo capita, siamo sicuri di voler continuare a seguirlo o preferiremmo anche noi cercare di farlo fuori? Non fisicamente, perché Gesù è risorto, ma farlo fuori in un modo più sottile, cioè lasciando scivolare la sua Parola scomoda sui binari della nostra indifferenza!