lunedì 7 settembre 2020

II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

 Oggi la nostra Comunità pastorale è in festa per l’ordinazione presbiterale del nostro compaesano don Marco Sala. Ma proprio questo avvenimento, unito alla riflessione che ho fatto sulle letture che oggi ci propone la liturgia, ha suscitato in me alcune domande e considerazioni che vorrei proporvi in questa 

omelia. Tenete conto che da domenica scorsa noi ambrosiani siamo entrati nella seconda parte del lungo tempo dopo Pentecoste, quello delle settimane che si chiamano “dopo il Martirio di san Giovanni Battista”, e il tema che viene sviluppato dalle letture delle domeniche ruota intorno alla domanda che emergeva nel vangelo di domenica scorsa, la domanda che si poneva il re Erode, e cioè “chi è Gesù?”. Non solo chi è Gesù in sé, ma chi è Gesù per me. È intorno alla risposta a questa domanda che si gioca la vita di uno che si professa cristiano e, a maggior ragione, di un cristiano che diventa prete. Voglio dire. Magari qualcuno si chiede cosa può spingere un giovane al giorno d’oggi diventare prete, ma la vera domanda è ancora più a monte, ed è questa: cosa ci spinge a continuare ad essere cristiani? E, prima ancora, che cos’è il cristianesimo. Purtroppo io vedo ancora molto diffusa una fede molto epidermica, formale, vissuta più per tradizione che non per convinzione: siamo nati in Italia, quindi in un paese di tradizione cattolica, di conseguenza siamo cattolici. Certo, aumentano sempre di più gli italiani non cattolici, però, di fatto, la maggior parte della popolazione non solo italiana, ma europea e occidentale in generale, è fatta da persone battezzate, quindi cristiane, che poi siano cattolici o protestanti non importa. Anche nei nostri paesi, i battesimi che facciamo sono comunque tanti. Ma quanti di questi cristiani vivono con consapevolezza e convinzione le conseguenze del battesimo, anche nelle nostre comunità? Il cristianesimo consiste per molti in una serie di tradizioni, di feste, di ricorrenze, di battesimi, cresime e prime comunioni, e poi basta, infatti molti genitori che chiedono il battesimo per i figli hanno abbandonato da tempo la pratica cristiana, non vengono mai a messa, non sono nemmeno sposati, però vogliono lo stesso che i figli ricevano il battesimo, e io mi domando sempre perché, come se lo avesse prescritto il dottore, come se fosse il vaccino contro tutti i virus del mondo. Siccome di fatto non lo è e ci si ammala lo stesso, si muore comunque, e i problemi nella vita permangono, molti vanno in crisi di fede, soprattutto quelli che hanno vissuto la loro fede come una serie di doveri, obblighi, pratiche da assolvere per far contento Dio, e quando vedono che, nonostante questi sacrifici, le cose gli vanno male lo stesso, perdono la fede. Ma è questo il cristianesimo? È questo che Gesù ci ha rivelato? Per molti, parlare di Dio, di Gesù, della Chiesa, di argomenti da catechismo, è una rottura di scatole. Poi ci sono certo i devoti per i quali però il cristianesimo è solo una serie di formule, litanie, devozioni, di servigi resi a Dio che invece ai più giovani interessano niente. Per non parlare di tutti quelli che, non leggendo e non studiando il vangelo, continuano a non conoscere chi è davvero Gesù e quindi chi è davvero Dio. E così arriviamo al brano di vangelo di oggi dove Gesù dice chiaramente che chi vede lui vede il Padre. Ecco chi è Gesù: è colui che ci ha fatto vedere chi è Dio, ma se non conosciamo il vangelo, non conosciamo Gesù e non sappiamo chi è Dio, e così si va avanti a pensare Dio in modo sbagliato. Spesso chi perde la fede è un bene che la perda, perché perde la fede non nel Dio che ci ha fatto vedere Gesù, ma nel dio che si è inventato lui. Tra le tante frasi del vangelo di oggi che andrebbero spiegate bene, ce n’è una in particolare che vorrei sottolineare, e che in qualche misura è ridetta in altro modo anche nelle altre due letture, e cioè che il volere di Dio è quello di risuscitare chi è morto. Una cosa stupenda, perché non riguarda solo i morti che sono al cimitero, che non è poco, ma prima di tutto noi che fisicamente siamo vivi, ma rischiamo di vivere la vita come morti. Gesù ci fa risorgere perché col Battesimo ci rivela di essere immersi in una grazia, in un amore, quello di Dio, che ci precede, che ci chiama all’amore, che ci assicura che, sapendoci figli amati da un Dio che è Padre e vivendo da figli come il Figlio, amando i fratelli, possiamo avere fin da adesso una pienezza di vita tale che neanche la morte del corpo potrà mai distruggere. Questa è la gioiosa e rivoluzionaria notizia del vangelo, capace, se compresa, di farci vivere la vita in un modo nuovo. Per cui, tornando alle domande da cui siamo partiti, che cosa può spingere una persona ancora oggi a diventare prete se non la scoperta che il rapporto con Gesù è qualcosa di splendido e di vitale, capace di generare vita, gioia, allegrezza, senso, e non un’ideologia o una serie di pratiche. Ma questa non può essere solo per chi poi diventa prete, altrimenti non ha senso. Dovrebbe essere di ogni battezzato. Solo a partire da questa scoperta, quella della bellezza dell’essere cristiani, poi possono nascere le diverse vocazioni, anche quella di chi diventa prete. Se pochi sono i preti è perché, a monte, pochi sono i cristiani convinti e gioiosi. E allora dobbiamo fare in modo che l’ordinazione di don Marco non sia solo motivo per partecipare con l’affetto alla sua gioia, ma diventi per tutti occasione per riscoprire le ragioni della nostra fede, per non essere cristiani di tradizione, ma di convinzione, per riscoprire tutti il dono del Battesimo che ci ha immersi nell’amore di Dio e della Cresima che abilita ciascuno a manifestare questo amore secondo la vocazione che gli è propria. Siamo qui a celebrare l’eucaristia proprio per alimentarla.