sabato 12 dicembre 2020

V DOMENICA DI AVVENTO ANNO B

Mi colpisce molto questa frase di Giovanni Battista riferita a Gesù: in mezzo a voi sta uno che non conoscete. Io mi chiedo: dopo 2020 natali, noi possiamo dire di conoscere Gesù? Non lo so, io penso di no. Facciamo fatica a conoscere noi stessi e gli altri, figuriamoci Gesù. L’idea di Gesù che avevo da 

bambino non è quella che ho oggi e non è nemmeno quella che avevo qualche anno fa. Più leggo i vangeli, più mi accorgo quante cose pensavo di aver capito e invece erano sbagliate, o quanti aspetti non avevo considerato e che oggi mi colpiscono di più. Isaia, nella lettura, parla di un germoglio che sarebbe spuntato dal tronco di Iesse. Iesse era il padre di Davide. Isaia profetizza che dalla discendenza del re Davide sarebbe venuto il Messia, e lo chiama germoglio, virgulto, giovane ramoscello. È bella questa immagine: il germoglio indica qualcosa che deve crescere, svilupparsi. Vale per tutte le cose, per la vita. Se andiamo a vedere le foto di quando eravamo piccoli, non ci riconosciamo, eppure siamo sempre noi. Il guaio è quando pensiamo di essere arrivati, di avere ormai capito tutto, e quindi non siamo aperti alla novità, anzi, la novità è qualcosa che spaventa. Per cui uno si fossilizza sulle sue idee. È un guaio quando succede questo, perché poi non si è disposti a cambiare. Cambiare opinione o idea non è un male, di per sé, anzi. Lo stesso Battista che pur presumeva di conoscere Gesù e accusava gli altri di non conoscerlo, se andiamo avanti a leggere il vangelo, andrà in crisi e manderà i suoi discepoli da Gesù a chiedergli: ma sei tu il Messia che aspettavamo o ci siamo sbagliati? Perché questo? Perché Gesù era diverso da quello che egli si aspettava. Sapeva di non essere lui né il Cristo, né Elia, né il profeta che tutti attendevano, cioè era cosciente di non essere lui il salvatore della patria e nemmeno di sé stesso. Aveva intuito che fosse Gesù, ma aveva proiettato su Gesù i suoi sogni, le sue attese: Gesù avrebbe dovuto confermargli cioè che egli presumeva di sapere di Dio. Lo stesso errore che continuiamo a fare anche noi, ed è il motivo per cui molti vanno in crisi di fede. Dio nessuno lo ha mai visto eppure tutti presumiamo di sapere chi è Dio e cosa deve fare, e quando non lo fa ci arrabbiamo. Se imparassimo a conoscere Gesù, scopriremmo invece chi è davvero Dio. Purtroppo, per molti, Gesù continua ad essere un virgulto che non germoglia mai, a restare un bambino che nasce a Natale, ma che facciamo morire a santo Stefano, facendolo diventare un personaggio delle fiabe, che va bene ai bambini. Si cresce nel corpo, ci si evolve nella conoscenza di sé e nel sapere, ma non nella conoscenza di Gesù, e si rischia di andare avanti per tutta la vita con la stessa fede che si aveva da bambini. Per questo, secondo me, si assiste oggi a così tanta disaffezione da parte di molte famiglie giovani e quindi degli stessi ragazzi di fronte a un cammino di fede, nonostante siano tutti battezzati e cresimati, altrimenti, come minimo, li vedremmo in chiesa. Il motivo è semplice, è lo stesso per cui uno non vorrebbe sposarsi con un bambino. Essendo rimasta bambina la conoscenza di Gesù, uno pensa che Gesù non c’entri niente coi desideri più profondi di gioia, di felicità, di eternità che ognuno porta nel cuore, altrimenti vorrebbe conoscerlo. Tutti portiamo nel cuore un sogno. Non era Martin Luther King ad aver reso celebre l’affermazione “I have a dream”, io ho un sogno? Anche il profeta Isaia, sempre nella lettura di oggi, se ci avete fatto caso, descrive un sogno bellissimo, quello di un’armonia e di una pace universale, di una terra senza violenza, di un Paradiso che comincia già adesso. Chi non porta nel cuore questo sogno? Soprattutto in questo tempo di pandemia. Abbiamo bisogno di sognare in grande. Anche il Battista sognava in grande, ma sapeva che senza un aiuto dall’alto, di uno più grande di lui, non avrebbe potuto far niente. Ma se non impariamo a conoscere Gesù, pensiamo che Dio sia quello che interviene dall’alto risolvendo i nostri guai e facendo lui quello che dovremmo far noi, mentre noi restiamo a braccia conserte, e poi si va in crisi di fede quando questo non accade, mentre, imparando a conoscere Gesù, la smetteremmo di pensare a Dio e di rivolgerci a lui in modo sbagliato, perché Gesù ci mostra che Dio realizza certo i nostri sogni più grandi, ma non come vorremmo noi. La strada per la beatitudine è diversa da quella che penseremmo noi. Per noi la gioia è nell’avere, nel possedere, mentre Gesù insegna che è nel donare. Noi vorremmo un Dio che agisce con potenza risolvendoci i problemi, dimenticando che proprio facendosi uomo nel Natale, Gesù ha rivelato che Dio non agisce dall’alto, ma attraverso di noi; che non interviene come assicurazione contro gli infortuni, altrimenti allo stesso Gesù sarebbe tutto andato bene, non avrebbe sofferto e non sarebbe neanche morto. Gesù ci ha rivelato che non è Dio a guidare la macchina. Dio è la benzina di questa macchina, è il navigatore che ci indica il percorso, è l’assistente di bordo che mai ci abbandona. Ma la macchina dobbiamo guidarla noi, con tutti i rischi che ne derivano. Che è quello che poi facciamo. Purtroppo con la benzina sbagliata e col navigatore poco aggiornato.