domenica 27 dicembre 2020

DOMENICA 27 DICEMBRE 2020 (San Giovanni)

Vorrei oggi ritornare su un aspetto che ritengo molto importante e che avevo accennato nelle omelie di Natale. Siamo nel terzo giorno dell’ottava di Natale. Il primo era il Natale, e l’ultimo, l’ottavo, è il 1 gennaio. Come c’è l’ottava di Natale c’è anche l’ottava di Pasqua. L'ottava di una grande festa ha il 

significato di prolungare la festa stessa, quindi il Natale prosegue fino all’1 gennaio. Perché 8 giorni? Perché il numero 8 è il simbolo della risurrezione, dell’eternità. L’uomo è creato il sesto giorno, muore il settimo e risorge nell’ottavo. Come per dire: i giorni della nostra vita sono 6. In questi sei giorni dobbiamo nascere nuove creature a immagine di Gesù, dobbiamo vivere la nostra umanità come l’ha vissuta Gesù, dobbiamo permettere alla Parola di Dio, al suo Spirito, ai sacramenti di trasformarci, di farci diventare uomini e donne come Gesù, figli del Padre come Gesù. In questo modo, quando entriamo nel settimo giorno, quello della morte, Gesù ci porta fuori e la nostra trasformazione in Dio si compie nell’ottavo giorno, quello dell’eternità. Tra l’altro, oggi è domenica, che per noi cristiani non è solo il primo giorno della settimana, ma l’ottavo, quello che va oltre la settimana della vita, perché è il giorno della risurrezione. Dunque, il fatto che ci sia l’ottava di Natale è per indicare che il Natale non è finito due giorni fa oppure, come per tante persone, quelle che già oggi in chiesa non vengono più, a santo Stefano. Ma che il Natale, cioè la nostra nascita a nuove creature a immagine di Gesù, è un processo che dura non due o tre giorni, ma tutta la vita. Io credo che comprendere questa cosa non solo ci aiuti a non considerare il Natale come una data del calendario, ma a ricuperarne il senso. Dicevo nell’omelia di Natale che siamo noi ad avere inventato la tradizione che il giorno di Natale debba essere un giorno nel quale rinsaldare i vincoli familiari, da vivere con serenità e letizia. Cosa bellissima: chi non desidera questo? Il problema è quando purtroppo accadono anche a Natale avvenimenti spiacevoli tali da rendere brutto quel giorno. E quest’anno, le sofferenze, i morti e le restrizioni causate dalla pandemia, hanno reso brutto il Natale per tante persone. Se invece riusciamo a comprendere come il Natale è la celebrazione della possibilità di nascere noi nuove creature; che tutta la nostra vita deve essere vissuta come un cammino di trasformazione a immagine di Gesù; che in questo cammino spesso così faticoso, Gesù è il Dio con noi che ha vissuto le nostre pene e sofferenze, ma che è risorto e continua con la forza del suo Spirito a sostenere il nostro cammino di ogni giorno con la forza del suo Spirito per renderci figli del Padre come lui; che dunque la nostra vita non si conclude il settimo giorno quando moriamo, ma fiorirà nell’ottavo giorno quando questa trasformazione sarà completa; beh, allora penso che non ci sia una notizia più lieta di questa, e la gioia del Natale nessun avvenimento potrà portarcela via, non fosse altro che la gioia viene annunciata non a chi sta già bene ed è felice, o crede di esserlo, ma a chi non lo è, e quindi ci siamo dentro tutti. E tutti siamo chiamati a sentirci come il discepolo amato dal Signore. Nel terzo giorno dell’ottava di Natale, la Chiesa celebra la festa di san Giovanni apostolo ed evangelista, l’unico evangelista che nel suo vangelo parla di un personaggio senza nome qualificandolo come il discepolo che Gesù amava. Si è sempre pensato che questo discepolo fosse lo stesso Giovanni. In realtà, quando nei vangeli i personaggi sono anonimi, cioè presentati senza nome, vuol dire che si sta presentando un personaggio rappresentativo nel quale ogni lettore e ogni ascoltatore del vangelo si può e si deve identificare, per cui non sappiamo se il discepolo che Gesù amava fosse Giovanni: potrebbe essere lui, ma in realtà è ciascuno di noi: ognuno di noi è amato in modo prediletto da Gesù. Anche noi siamo chiamati, nella cena dell’eucaristia, a chinarci sul petto di Gesù (così ce lo presenta il vangelo di oggi), cioè a sentirci intimi con Gesù, per conoscere il suo amore. Ma noi, che siamo craponi come Pietro, facciamo fatica a capirlo. Pietro aveva rinnegato Gesù, Gesù lo aveva perdonato. Eppure, anche nelle ultime battute del vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato, non capisce. È lì insieme a Gesù risorto che gli dice: seguimi. E invece no. Di fianco a lui c’è anche quel discepolo che Gesù amava e Pietro si sente inferiore, invidioso, non ha ancora capito che Gesù ama anche lui come quel discepolo, vorrebbe essere lui il più bravo, sta male perché sa di non esserlo, non ha capito che Dio non guarda i meriti delle persone, ma ci ama tutti. Gesù allora gli dice: a te cosa importa? Tu seguimi. Io voglio che lui rimanga al mondo fino al mio ritorno. Cosa vuol dire questa frase sibillina? Vuol dire che Gesù viene, ritorna, è presente in questo mondo quando c’è qualcuno, come quel discepolo, che capisce l’amore del Signore e risponde all’amore con l’amore, e un discepolo così, Gesù vuole che resti fino alla fine del mondo per testimoniare a tutti l’amore perenne di Dio. Pietro deve capire che anche lui rientra nella cerchia di queste persone. E dobbiamo capirlo anche noi. Che lo scopo della vita è appunto quello di permettere al Signore di trasformarci a sua immagine, di sentire il suo amore, di nascere nuove creature, di vivere i sei giorni della nostra vita, compreso il settimo, per entrare nell’ottavo giorno. Per questo Gesù ripete a Pietro e a ciascuno di noi: tu non devi seguire lui, tu devi seguire me facendo come lui. E lo ripete quest’oggi anche a noi.