lunedì 4 gennaio 2021

1 gennaio 2021: DOMENICA NELL'OTTAVA DI NATALE

Penso di interpretare i sentimenti di tutti se, al termine di un anno civile e all’inizio di quello nuovo, dico che meno male che questo 2020 è finito. E’ iniziato, come ogni anno, carico di aspettative e speranze che poi, per molti, sono andate deluse. Poi è vero che ogni persona è unica, per cui i bilanci, 

positivi o negativi, variano da persona a persona, e uno può vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Siccome però tutto è interconnesso, come ci ricorda sempre il Papa, se uno guarda oltre il proprio orticello, e allarga i suoi orizzonti, è evidente che il dramma della pandemia che ha colpito l’intero pianeta è stato e continua ad essere qualcosa di devastante per tutti. Senza dimenticare tutti gli altri drammi dell’umanità, climatici, alimentari, economici, migratori, familiari, nonché tutte le diverse forme di violenza, razzismo, guerre e conflitti che seminano morte e distruzione. E poi ci sono anche tutti gli altri drammi personali che costellano l’umana esistenza. Di fronte a questo panorama, che poi è la vita, credo sia doveroso per tutti, in particolare per noi cristiani, dare significato alle parole e chiederci cosa vuol dire farsi gli auguri e cosa vuol dire ringraziare il Signore, dal momento che, per quanti auguri ci si faccia all’inizio di un nuovo anno, poi le cose andranno comunque a modo loro perché sono troppi gli eventi che non possiamo governare, che non dipendono da noi; e poi, come si fa a ringraziare il Signore a fronte di uno scenario così deprimente? Se i motivi per cui dire grazie ognuno può certamente trovarli, ne trova molti di più per i quali gli verrebbe da bestemmiare. Proviamo allora a precisare anzitutto cosa vuol dire farsi gli auguri. Gli auguri esprimono un desiderio, e il desiderio è la speranza che accada qualcosa di bello. Poi, se accadrà o meno, non si sa, non dipende da noi. La speranza è anche una virtù cristiana. Ma è un'altra cosa. È la certezza che accadrà qualcosa di grande e di bello grazie a Dio. Si chiama speranza perché è qualcosa sempre in divenire, non ancora compiuta. Ma qual è il potere di Dio? Quante volte si dice: che Dio ce la mandi buona… Normalmente si pensa che il potere di Dio sia di farci andar bene le cose, di toglierci i problemi, di non farceli venire, di guarire una malattia, di non farci morire, di fermare la pandemia, le guerre, la fame, la povertà, di far trovare lavoro a chi l’ha perso: metteteci dentro tutte le cose che normalmente si chiedono a Dio quando si prega. Ora, se questo fosse davvero il potere di Dio, avrebbero ragione a bestemmiarlo o a perdere la fede tutti quelli ai quali le cose vanno storte. Di conseguenza va precisata anche l’altra espressione: rendere grazie. La parola eucaristia significa rendere grazie. Ogni volta che celebriamo la Messa viene detto che è veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza rendere grazie qui e in ogni luogo al Signore. Ma come fanno a rendere grazie al Signore le persone colpite da problemi, sciagure o disgrazie? Perché, se tutto dipende dal Signore, ci sono alcuni a cui le cose vanno meglio e altri a cui vanno peggio? Allora vedete che qui bisogna intenderci e capire qual è il potere di Dio. Ed è solo guardando Gesù che capiamo qual è il potere di Dio. Quando lo adoriamo nel momento della sua passione e morte, già qui capiamo che il potere di Dio non è quello di toglierci dai guai, dalle sofferenze e nemmeno dalla morte. Basterebbe questo, se ci pensate. Se lo adoriamo risorto, però, comprendiamo che il potere di Dio è che la morte del corpo non sia l’ultima parola, anzi: che i nostri desideri di eternità si compiano, si realizzino. Se lo adoriamo come il Dio che si è fatto uomo e capiamo perché si è fatto uomo, cioè il senso del Natale, cosa scopriamo? A più riprese, in questi giorni, ho spiegato il motivo per cui la Chiesa prolunga per otto giorni le feste di Natale e di Pasqua. Oggi, primo giorno del nuovo anno, è l’ottavo giorno di Natale. Ho spiegato che il numero 8 è il simbolo della risurrezione, dell’eternità. L’uomo è creato il sesto giorno, muore il settimo e risorge nell’ottavo. Come per dire: i giorni della nostra vita sono 6. In questi sei giorni dobbiamo nascere nuove creature a immagine di Gesù, dobbiamo vivere la nostra umanità come l’ha vissuta Gesù, dobbiamo permettere alla Parola di Dio, al suo Spirito, ai sacramenti di trasformarci, di farci diventare uomini e donne come Gesù, figli del Padre come Gesù, capaci di affrontare e vivere i sei giorni della nostra vita col pensiero di Cristo, come ha vissuto lui. In questo modo, quando entriamo nel settimo giorno, quello della morte, Gesù ci porta fuori e la nostra trasformazione in Dio si compie nell’ottavo giorno, quello dell’eternità. Allora qual è il potere di Dio? E’ quello di trasformarci, di farci diventare suoi figli, di farci nascere uomini e donne nuovi a immagine di Gesù. Questo è dunque il motivo per cui comunque, sempre, in ogni luogo e in ogni circostanza, e anche alla fine di un anno disastroso come questo, è nostro dovere ringraziare Dio, perché senza di lui non possiamo fare nulla. E’ fonte di salvezza perché ci apre prospettive e possibilità straordinarie, altrimenti entriamo nell’angoscia. Per cui, l’unico augurio vero che possiamo farci all’inizio di un nuovo anno è che ognuno possa aprirsi all’azione di Dio così da permettergli di compiere la beata speranza di sentirlo presente e trasformare il nostro modo di vedere e di vivere gli eventi, belli o brutti, che verranno. E aggiungo un piccolo particolare. Nel messaggio per la giornata mondiale della pace che si celebra oggi, il Papa fa molti esempi concreti per spiegare come il percorso per giungere alla pace, che è la felicità degli uomini, sia quello di sviluppare la cultura della cura, del prendersi cura del mondo che ci circonda e dei fratelli con la medesima cura di Dio. E allora penso che gli auguri che ci scambiamo siano veri nel momento in cui io, facendoli a qualcuno, mi impegno, per quello che mi è possibile, a prendermi cura dell’altro, cioè a trovare il modo di essere io colui che rende più felice e meno faticosa la vita degli altri.