venerdì 22 gennaio 2021

III DOMENICA DOPO EPIFANIA ANNO B 24/01/21

Le chiese orientali, da sempre, il 6 gennaio, nella festa dell’Epifania, celebrano insieme le prime tre grandi manifestazioni pubbliche della divinità di Gesù: quella davanti ai Magi come Signore di tutti i popoli della terra, quella del suo Battesimo al Giordano come anticipo della sua morte sulla croce, e 

quella alle nozze di Cana come primo segno col quale Gesù manifesta che la gloria di Dio è quando gli uomini accolgono il suo amore come una sposa accoglie quello del suo sposo. Noi, in occidente, queste tre Epifanie le abbiamo suddivise: il 6 gennaio quella davanti a Magi e le scorse domeniche le altre due. Sant’Ambrogio, ne aggiunse una quarta, quella di oggi, a cui è sempre stato dato il titolo di miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Vorrei provare a farvi capire perché, in realtà, questo non è miracolo, non è una moltiplicazione, ma soprattutto in che senso è un’epifania, di che cosa è epifania. Nel libro dei Numeri si racconta il momento drammatico in cui il popolo di Israele, che era schiavo in Egitto, e che Dio aveva liberato tramite Mosè, si trova nel deserto, stanco e affamato, e si lamenta con Dio. Dio aveva donato la manna, ma al popolo non bastava, voleva la carne, e mormorava dicendo: come stavamo bene quando eravamo schiavi, ed elenca tutta la buona frutta e verdura che mangiava gratis in Egitto. San Paolo, nella seconda lettura, scrive che queste cose sono state raccontate per noi, perché ci servano da lezione. Evidentemente la lezione non l’abbiamo imparata per niente. Pensate alla situazione drammatica che stiamo vivendo da quasi un anno per colpa della pandemia. Tremenda, certo, e speriamo di uscirne presto. E molti invocano Dio perché ce ne liberi, magari qualcuno si arrabbia o perde la fede perché non lo fa e permette quello che sta accadendo. Non solo, molti rimpiangono le cipolle d’Egitto: era meglio prima. Come se prima non ci si ammalava, non si moriva, il lavoro era assicurato per tutti, non esisteva la povertà, tutto filava liscio, non c’erano ingiustizie, non c’erano problemi, tutti si andava d’amore e d’accordo, la terra era un paradiso, in chiesa venivano tutti. E allora Dio risponde stizzito: ah, si, non vi basta la manna, vi chiedete chi vi darà carne da mangiare, ve la darò io, e ve ne darò così tanta da farvi venire il vomito. Ebbene, la scena del vangelo ci aiuta a capire perché Dio si arrabbia così tanto. Gesù, in precedenza, nella prima beatitudine, aveva insegnato a condividere generosamente quello che si è e quello che si ha con tutti. Qui, guarda caso nel deserto, vide la folla, ne ebbe compassione e guarì i malati, e i discepoli che fanno? E’ il momento di mangiare, e gli dicono: “manda via le folle perché vadano a comprarsi del cibo”. Che si arrangino! E Gesù non è d’accordo: “non è necessario”, dice, “voi stessi date loro da mangiare!”. Una frase che va letta in due modi: non solo che dovete pensare voi a dare loro da mangiare, ma che il cibo che dovete dare agli altri da mangiare siete voi stessi, dovete donare voi stessi agli altri, prendervi cura degli altri, della loro fame. Ma come facciamo? Abbiamo 5 pani e due pesci. Ora, nella Bibbia i numeri non hanno mai un valore matematico. Come quando noi diciamo “ci sono qui quattro gatti”, non vuol dire che ci sono 4 gatti di numero, ma poche persone. Siccome 5+2 fa 7 e il numero 7 nella cultura ebraica significa tutto che quei pani e quei pesci sono tutto quello che hanno, pochi o tanti che fossero. Allora Gesù se li fa portare, compie gli stessi gesti che farà nell’ultima cena (non a caso tutta la scena si svolge di sera), spezza i pani, li divide (quindi non moltiplica niente), dei pesci non si parla più perché il riferimento è all’eucaristia, li dà ai discepoli, i discepoli alla folla e tutti si saziano in abbondanza. Dividendoli con la folla si moltiplicano. Ma se prima non li avessero portati a Gesù per dividerli, li avrebbero mangiati solo loro. Ecco allora di cosa è epifania questo episodio: manifesta in anticipo quello che Gesù farà nell’ultima cena, quindi il significato dell’eucaristia. Nella Messa noi offriamo al Signore la nostra povera e fragile umanità, simboleggiata dal pane e dal vino. Gliela offriamo perché lui possa trasformarla e farci diventare divini come lui. Infatti il Signore ci restituisce il pane e il vino, la nostra umanità, dove lui si rende presente, di modo che, nutrendoci di lui, riceviamo la sua stessa vita immortale e possiamo diventare come lui, capaci come lui di donare noi stessi agli altri. Noi a Dio chiediamo cipolle, pane, salute, soldi, lavoro, di toglierci la pandemia, di farci andar bene le cose. O chiediamo a Dio di fare agli altri quello che dovremmo fare noi con la sua forza. Lo ringraziamo quando otteniamo quello che vogliamo, che poi però non ci basta mai, ci sarà sempre qualcosa che manca o diremo che era meglio quando si stava peggio, oppure ci arrabbiamo o perdiamo la fede se Dio non esaudisce le nostre richieste, infatti nella vita e nel mondo sono più le persone che bestemmiano di quelle che ringraziano. Tutto nasce da un errore di fondo, ecco perché Dio si arrabbiò con Israele, e anche Gesù con i discepoli e san Paolo ci ammonisce dicendo di non continuare a commettere lo stesso errore. L’errore è trasformare Dio in un idolo, nel bancomat dove metti dentro la tessera, digiti il PIN, e devono uscire i soldi. Invece Dio è colui che ci libera dal nostro egoismo e ci fa vedere e vivere la realtà, bella o brutta che sia, con gli occhi di Gesù. Ed è uno solo il dono che fa a tutti: per i credenti la manna dell’eucaristia, e per tutti il suo Spirito, cioè sé stesso, per avere la forza di attraversare il deserto della vita, percorrendolo con noi. E sarà la sua forza a rendere noi capaci di fare miracoli, perché se in mezzo al male siamo capaci di fare il bene, se impariamo a preoccuparci non di avere, ma di donare, di continuare a sperare e a costruire, anziché lamentarci, deprimerci e rinchiuderci in noi stessi, a vivere anche la malattia e la morte con gli occhi di Gesù, questi non sono forse miracoli? Noi siamo qui a Messa perché vogliamo nutrirci di lui per diventare come lui ringraziandolo per questo dono immenso o perché vogliamo altro?