lunedì 4 gennaio 2021

DOMENICA DOPO L'OTTAVA DI NATALE (3 gennaio 2021)

La liturgia di questa domenica del tempo di Natale ci fa compiere uno sbalzo di 30 anni presentandoci il primo discorso di Gesù, non più bambino, ma ormai adulto, nel quale spiega il senso di tutta la sua missione. Una scena che si svolge dopo che Gesù era stato battezzato. Il Battesimo al Giordano aveva 

manifestato la sua missione che poi si sarebbe compiuta sulla croce: rivelare l’amore del Padre comportandosi da figlio che ama gli uomini come fratelli. Dopo aver ricevuto questo battesimo, Gesù ritorna dal Giordano nella potenza dello Spirito, scrive l’evangelista, cioè con quello Spirito che ha ricevuto nel battesimo, e torna in Galilea, nella sua patria. Lì si dice che insegnava e che la sua fama si diffuse in tutta la regione e tutti gli rendevano lode. Perché? La Galilea, la regione che si trova a Sud di Israele, era una regione disprezzata, di gente sottomessa, estremamente povera, e c’era grande desiderio dell’avvento di un messia, di un liberatore. Com’è importante che la prima attività di Gesù sia quella di insegnare, perché sarà proprio la sua Parola a far chiarezza sulla sua identità. I risultati purtroppo non saranno positivi perché alla fine, come si legge nel vangelo, tutti restarono meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca, ma in realtà questa meraviglia era sconcerto, infatti poi cercarono di ammazzarlo, perché Gesù non corrispondeva a quello che loro si aspettavano. Questa cosa la ripeto sempre perché è decisiva anche per noi: guai se non ci lasciamo istruire dalla Parola di Gesù che ci fa conoscere chi è veramente Dio, altrimenti andiamo avanti tutta la vita a credere in un Dio che non esiste, ma che ci siamo inventati noi. Se invece ci lasciamo istruire da questa Parola scopriamo che il volto di Dio che Gesù ci presenta è diverso da quello che noi ci immaginiamo. Infatti, guardiamo ora da vicino le parole pronunciate da Gesù. Gesù si mise a leggere il passo del profeta Isaia nel quale si parla dell’investitura del Messia, ed è il passo col quale Gesù interpreta tutta la sua missione: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione”. Lo Spirito del Signore è su di me, lo Spirito del Figlio che gli fa vivere la fraternità. Il termine “unzione” è lo stesso da cui deriva il termine Messia, che poi tradotto in greco è Cristo, che significa l’unto, cioè l’uomo investito della potenza di Dio che lo rende una persona divina, un rappresentante di Dio e della sua forza. «E mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio». Il lieto annunzio che i poveri attendono quale può essere? La fine della loro povertà. Gesù viene a realizzare quella che era la volontà del Padre, la volontà di Dio che era espressa nel libro del Deuteronomio, dove Dio aveva detto: “Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi”. Poi prosegue: “A proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista”. Certo, perché la sua Parola ci libera da tutte le nostre schiavitù che ci rendono prigionieri, che ci rendono egoisti e ci portano a fare il male. E ci apre gli occhi per farci vedere che Dio è Padre e noi siamo fratelli. Infine, dice di essere venuto a mettere in libertà gli oppressi e a proclamare l’anno di grazia del Signore, che per gli ebrei il giubileo, l’anno santo, nel quale la terra non doveva essere lavorata, i terreni andavano restituiti ai proprietari originari, i prodotti della terra dovevano andare per i poveri, i debiti andavano rimessi, non doveva esserci più nessun creditore, gli schiavi andavano fatti liberi. Questo era il giubileo. I ricchi non erano molto felici, e infatti si erano inventate leggi per aggirare queste indicazioni. Pensate oggi che effetto produrrebbe a livello planetario, tra le nazioni, ma anche nel nostro piccolo: da oggi sono cancellati tutti i debiti. Siccome qui si tocca il portafoglio, tutti si ribellerebbero. Anche noi. Peccato però nel Padre nostro continuiamo a ripetere, evidentemente senza crederci minimamente: rimetti a noi i nostri debiti come ANCHE noi li rimettiamo ai nostri debitori. Cioè, chiediamo a Dio di trattarci nel modo in cui noi trattiamo gli altri. Vi faccio notare che questa non è la preghiera di tutti, ma dei battezzati, cioè di coloro che si riconoscono figli di un Dio che è Padre e quindi dovrebbero voler attuare il progetto di Dio, il suo volere, e cioè che nella comunità dei suoi figli l’unico debito da avere verso gli altri deve essere solo quello dell’amore vicendevole. Da cui nasce la domanda se ci rendiamo davvero conto di cosa voglia dire essere cristiani. Detto ciò, trovo che sia molto significativo che questa pagina evangelica ci raggiunga a due giorni dall’inizio del nuovo anno civile. Sapete che all’inizio di un nuovo anno uno fa tanti bei propositi. Gesù, all’inizio non dell’anno civile, ma della sua missione, presenta il suo programma di vita, e poi lo realizza, talmente bene che lo uccideranno. Per analogia, l’unico proposito che noi cristiani dovremmo avere è fare nostro il programma di vita di Gesù, per diventare come lui, per diventare figli, perché il Natale si realizzi in noi, per vivere in pienezza la nostra umanità, per entrare nella Pasqua. Il Papa lo ha scritto nel messaggio di inizio anno: imparare a prendersi cura gli uni degli altri. È questo il nostro programma di vita? Se è questo, allora noi siamo qui a Messa per chiedere e ricevere dal Signore la forza di realizzarlo, altrimenti dirci cristiani diventa irrilevante per la nostra vita e per quella del mondo.