sabato 20 marzo 2021

V DOMENICA DI QUARESIMA (di Lazzaro) ANNO B

Tutti gli anni leggiamo questa pagina di vangelo che è una delle più complesse e difficili di tutte, e se non viene compresa bene è molto pericolosa, perché tocca il tema della malattia e della morte e, soprattutto di questi tempi, viene da chiedersi: ma perché, Signore, nella tua vita terrena ti sei limitato a 

far risorgere solo tre persone (la figlia del capo della Sinagoga, il figlio della vedova di Nain e poi Lazzaro), e poi hai smesso? Non potresti far risorgere, per esempio, tutti quelli che, solo quest’anno sono morti di Covid? Se non si comprendono bene queste pagine di vangelo, in particolare quella di oggi, è un guaio: invece di suscitare la fede, il rischio è di perderla. Solo che, per spiegarla bene, non basta la predica, perciò vi invito a guardare il video che ho messo oggi sul canale Youtube della Comunità. Allora adesso provo a ripercorrerla brevemente con voi per mostrare come Giovanni non vuole raccontare un miracolo straordinario, ma qualcosa di molto più profondo (a parte il fatto che non penso sia un grande favore far tornare in vita un morto che poi morirà un’altra volta: la risurrezione è un’altra cosa, mentre questa è la rianimazione di un cadavere). Anzitutto, il brano comincia dicendo che a Gesù viene riferito che il suo amico Lazzaro era malato, e Gesù, invece di recarsi da lui, si trattiene due giorni nel luogo in cui si trovava, tanto è vero che, quando arriva, Lazzaro è già morto, e allora, prima Marta e poi Maria lo rimproverano dicendogli: Signore, se tu fossi stato qui nostro fratello non sarebbe morto. E meno male che si dice che Gesù amava Marta, Maria e Lazzaro. Verrebbe da dire: meno male, chissà come si sarebbe comportato se gli fossero stati sulle scatole! Ma è proprio questo quello che l’evangelista vuole comunicarci: la nostra reazione di fronte alla malattia e alla morte quando ci sembra che Dio sia assente e non faccia niente e allora si va in crisi. Poi c’è un dialogo tra Gesù e i discepoli dove Gesù parla della morte di Lazzaro come di un sonno, e loro non capiscono, perciò Gesù si trova costretto a dire: Lazzaro è morto. Dare il nome giusto alle parole com’è importante. Nella nostra società, la paura della morte porta a non usarla mai, per delicatezza. Anche in televisione e negli annunci funebri, quando uno muore non si dice che è morto, ma che è deceduto, è scomparso, è mancato all’affetto dei suoi cari, non è più tra noi. No, Gesù ci insegna a dire: è morto. Sicuramente non che non è più tra noi: questa non è un’espressione cristiana, perché Gesù insegna che la morte è solo del corpo, tanto è vero che non parla di Lazzaro come morto, infatti dice: andiamo da lui. Per tutti Lazzaro è morto, tutti lo vedono come morto, mentre per Gesù Lazzaro dorme, quindi è vivo. Poi, il cuore del racconto, è il dialogo tra Gesù e Marta. All’inizio, Gesù le dice “Tuo fratello risorgerà”. Gli ebrei credevano che i morti finissero negli inferi, il regno dei morti, nell’attesa che un giorno i loro corpi sarebbero tornati in vita. Penso che anche molti cristiani pensino che sia questa la risurrezione. Non è una prospettiva molto consolante. Infatti Marta ribatte stizzita dicendo: lo so che risorgerà, ma nell’ultimo giorno. Come per dire: questa cosa non mi consola, nell’ultimo giorno sarò morta anch’io, a me manca adesso. E allora Gesù pronuncia la frase centrale di tutto il vangelo: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede, cioè, chi aderisce a me, chi vive nell’amore come me, come ha fatto Lazzaro mio amico, anche se muore, vivrà, voi lo vedete morto, ma in realtà è vivo”. E prosegue: “Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. E questa frase è per Marta, Maria e tutti noi che siamo vivi. Gesù viene a risuscitare noi vivi donandoci la stessa vita di Dio adesso che non morirà mai, altrimenti viviamo come morti. Se crediamo in lui, cioè se viviamo aderendo a Gesù, siamo già risorti adesso. Questa cosa è una bomba, perché ci fa vedere la morte con uno sguardo nuovo, e a capire che a Dio non bisogna allora chiedere di toglierci le malattie, di non farci morire o risuscitare chi è morto, ma di fare risorgere noi, e noi risorgiamo quando capiamo queste cose e impariamo a vivere i tragici e naturali eventi della vita, come le malattie e la morte, da uomini e donne risorti, cioè con lo stesso sguardo di Dio. Infatti Gesù, di fronte a Marta che guardava il sepolcro pensando che dentro ci fosse Lazzaro, le dice: Non ti ho detto che se credi vedrai la gloria di Dio? Se credi in me, vedrai che nel sepolcro c’è solo il corpo di un morto, non Lazzaro, perché Lazzaro è fuori, è risorto. Se andiamo al cimitero a piangere come morti i nostri cari, non riusciremo mai a sentire che sono vivi. Ma anche Gesù c’è scritto che si commosse e pianse, come mai? Che, tra l’altro, è strano, visto che sapeva cosa stava per fare. In realtà, la traduzione è sbagliata. Il testo greco con cui è scritto il vangelo, dice che, vedendo tutti disperati, anche le sue amiche Marta e Maria che avevano detto di credere in lui, Gesù non “si commosse”, ma che sbuffò, si arrabbiò profondamente, e il suo pianto non fu di solidarietà, ma di commiserazione verso di loro, perché dicevano di credere, ma non era così. E loro ci rappresentano, rappresentano noi che siamo qui, che tra poco diremo il credo, che crediamo nella risurrezione, che siamo battezzati, eppure di fatto continuiamo ad essere ciechi, e quindi, anziché vivere con lo sguardo di chi è risorto, continuiamo a restare nel sepolcro. Chiediamo al Signore di tirarci fuori.