mercoledì 31 marzo 2021

DOMENICA DELLE PALME (ANNO B) 28/03/21

Noi diamo per scontato che Gesù è risorto, è vivo, ma se così non fosse non potremmo celebrare nessun sacramento e quindi neppure l’eucaristia. E ogni volta che partecipiamo all’eucaristia, in qualunque giorno dell’anno, noi annunciamo sempre la morte di Gesù e proclamiamo la sua risurrezione. 

Nell’attesa della sua venuta, cioè di essere pienamente in comunione con lui alla fine della nostra vita terrena, Gesù crocifisso e risorto continua a rendersi presente nei sacramenti, e a rendere presente il Padre attraverso lo Spirito santo. Ebbene, nella settimana santa che oggi iniziamo, noi rivivremo proprio gli eventi della sua passione, morte e risurrezione che sono l’origine e il motivo che ci autorizza a celebrare sempre l’eucaristia. Ecco perché la settimana santa si chiama autentica, perché senza questa settimana tutte le altre non esisterebbero. E si apre con la domenica delle Palme, che non è solo memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, ma anche di quello che accadde la sera prima, e la liturgia ambrosiana lo evidenzia molto bene perché presenta due schemi di messe: c’è la messa del giorno, che viene celebrata già nella vigilia, e poi quella con la processione e la benedizione degli ulivi, che è una sola e si celebra nella messa principale della domenica. Nella messa del giorno si fa memoria di quello che accadde la sera precedente l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, una cosa così bella e importante che, nel vangelo di Marco, Gesù dice addirittura che quando il vangelo sarebbe stato proclamato, si sarebbe parlato di quanto avvenne quella sera. Cosa avvenne quella sera? Che Maria di Betania, sorella di Lazzaro e di Marta fece un delicato, bellissimo e gratuito gesto d’amore nei confronti di Gesù proprio sei giorni prima della Pasqua ebraica, quello di cospargere i suoi piedi con una quantità industriale di nardo, un preziosissimo profumo. Nel Cantico dei cantici il profumo del nardo esprime l’amore della sposa verso il re-sposo, che fa diventare la sposa uguale allo sposo, e lei lo versa tutto. Allora questa scena è così importante perché anticipa quel che farà Gesù sulla croce. Sulla croce, sarà Gesù il profumo, il vaso che si rompe, il profumo di Dio che si diffonde nel mondo. Quindi Maria sta facendo in anticipo quello che poi farà Lui, cioè lo ama con lo stesso amore, pronta a seguirlo fino al calvario, a morire con lui per risorgere come lui. Questa cena di Betania è immagine dell’eucaristia, di ogni eucaristia: noi veniamo a messa per ricevere da Dio il suo profumo così da poter uscire di chiesa profumati così che gli altri che incontriamo, se non hanno il naso tappato, sentano questo profumo. Purtroppo spesso usciamo da Messa uguali a come siamo entrati, perché? Perché vi assistiamo con lo spirito di Giuda, che è il protagonista in negativo di questo racconto evangelico. Giuda è presente alla cena, ma non capisce il gesto di Maria, mette un prezzo al profumo, pensa che l’amore si possa comprare, non ha capito chi è Gesù e quindi chi è Dio, un po’ come chi viene a messa per adempiere un precetto, come prezzo da pagare a Dio per ricevere una ricompensa, per ottenere qualcosa. Ma la stessa cosa la pensavano anche gli altri discepoli di Gesù e gli abitanti di Gerusalemme che il giorno dopo, quando Gesù entrò a Gerusalemme, lo acclamarono Messia, gli gridarono Osanna, che vuol dire Signore salvaci, ma perché pensavano che Gesù sarebbe venuto a salvarli dai romani e poi rimasero delusi, perché Gesù era venuto a liberare gli uomini dal peccato del mondo, cioè da un modo sbagliato di pensare Dio. Gesù rivela che Dio non è quello che libera dai romani, che fa finire la pandemia, a cui rivolgerci perché ci faccia guarire da una malattia, che ci risolva i problemi o che non ci faccia morire. Finchè pensiamo a Dio e ci rivolgiamo a lui in questo modo resteremo sempre delusi, perché questo Dio non esiste: per questo la folla, quando lo capì, non gridò più Osanna, ma “sia crocifisso”. Gesù rivela che Dio non chiede nulla, se non di accogliere il suo unico dono, che è il suo Spirito, la sua stessa vita immortale, capace di superare la morte, per farci diventare figli come il Figlio e affrontare la vita, con tutti i suoi problemi con lo stesso sguardo di Gesù, diventando asini come Gesù. Se vogliamo diventare come Dio, se vogliamo risorgere, dobbiamo portare i pesi gli uni degli altri e lavarci i piedi a vicenda, come Gesù, che condensa nell’ultima cena tutte queste cose che poi realizzerà sulla croce e che celebreremo nei giorni del triduo pasquale, che vanno vissuti dunque come un unico giorno: il prossimo appuntamento, dunque, non è domenica prossima, ma giovedì sera e venerdì pomeriggio. Per colpa della pandemia, quest’anno non possiamo fare la processione con gli ulivi, però possiamo e dobbiamo cogliere ugualmente il suo significato, che non è esteriore, ma interiore. La processione esteriore deve esprimere il desiderio interiore di seguire Cristo, di voler compiere il suo stesso cammino verso la croce e la risurrezione, quindi non verso Gerusalemme, ma verso la Gerusalemme celeste quando finalmente saremo in piena comunione con lui. E le palme e gli ulivi che abbiamo benedetto e portiamo a casa, non sono portafortuna o segni di pace, ma simbolo della vittoria sul peccato e sulla morte, simbolo della Pasqua, meta del nostro cammino, che se impariamo a tenere sempre bene in vista, ci dispone a vivere in un modo nuovo tutta la nostra esistenza, soprattutto in questo tempo così difficile e drammatico.