domenica 1 maggio 2022

III DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

Fin dall’infanzia veniamo educati a pensare a Dio come un essere invisibile, sopra di noi, onnipotente, quindi che può tutto, buono, ma giusto, che ci premia se gli ubbidiamo e ci castiga se disobbediamo, sperando che dopo la morte ci perdoni e ci accolga in Paradiso, al quale rivolgerci per ottenere aiuto, 

protezione e tutte le grazie di cui abbiamo bisogno: lo preghiamo perchè faccia finire la guerra, la pandemia, perché ci guarisca dalle malattie, insomma, perché faccia lui le cose che non possiamo fare noi. Per cui, le cosiddette pratiche religiose diventano un po’ il dazio da pagare, il sacrificio che ci viene chiesto per tenercelo buono e ottenere quello che vogliamo: alla fine, è così che molti vivono l’eucaristia: essendo un dazio, si vive col muso lungo sperando che duri il meno possibile. In fondo, consideriamo Dio come un datore di lavoro o una macchinetta del caffè. Purtroppo, questa macchinetta spesso fa cilecca: mettiamo i soldi e spesso non esce niente. Dio appare spesso come un datore di lavoro che non paga i suoi dipendenti: Gesù sarà anche risorto, ma noi continuiamo a soffrire e a morire. Che uno sia battezzato o non lo sia non cambia niente, altrimenti sarebbe bastato il battesimo e il richiamo della cresima a preservarci dal Covid e evitare il ricorso ai vaccini. E se è lui che governa davvero il mondo, lo governa proprio male. E’ per questo che gli uomini lo bestemmiano, che molti perdono la fede. Un Dio così è talmente inutile da non essere interessante, e chi crede in lui oggi, dai giovani, da chi è adulto e ragiona un po’, viene considerato un superstizioso o una persona d’altri tempi. La riprova è che, in chiesa, ormai ci vengono solo persone di una certa età, se ci vengono. Ecco, ora immaginate per un momento che Dio non sia niente di tutto questo. Che Dio è fonte di energia, è come la benzina che permette alla macchina di viaggiare, non di evitare gli incidenti, che Dio sia dentro di noi, che vuole trasformare noi, il nostro modo di vedere e di vivere la vita, che la preghiera sia il momento in cui rendersi conto di essere abitati da lui, come un momento di rifornimento. Che Dio non agisce dall’alto, ma attraverso di noi, se gli diamo modo di agire, che l’unica cosa che ci dà è sé stesso, il suo spirito, che ci rende suoi figli capaci di amare, perdonare e metterci a servizio degli altri, non di far vincere la nostra squadra e i nostri interessi, che sia colui che non ci evita i problemi, le malattie o la guerra, ma che ci offre la possibilità di affrontarle. Non solo: che ci assicura, se viviamo del suo spirito, di avere già adesso una vita che supera anche la morte. Che non chiede sacrifici, che non premia, che non castiga, ma si comporta come il sole: offre la sua luce a chi non si chiude gli occhi, quindi a tutti, non guarda a chi è bravo o a chi è cattivo, ma vuole illuminare tutti, soprattutto aprendo gli occhi a chi è cieco, a chi è cattivo, quindi che offre a tutti la sua salvezza. Che ci invita all’eucaristia per renderci partecipi di questa sua luce. E se Dio fosse questo e non quell’altro? Ecco, come reagiremmo di fronte a un Dio così? Non lo so. Io so però che Gesù, nel vangelo di oggi, dice di essere venuto per testimoniare che Dio è questo qui, e i suoi avversari, scribi e farisei, non lo accettarono, perché l’altro Dio gli faceva più comodo, e proprio nel nome di quel Dio lo condannarono a morte. Ma so anche che per annunciare il Dio di Gesù a tutti, san Paolo, protagonista delle due letture che abbiamo ascoltato, non esitò a mettere in gioco la sua vita. Chi pensa e vive nell’ottica del pensare al proprio orticello, a star bene lui e chi se ne frega degli altri, ad avere come Dio il proprio io, a pensare Dio come la macchinetta del caffè, il Dio di Gesù non serve a niente, anzi, dà fastidio. Non sarà, forse, che tante persone che smettono di credere, che non vengono più in chiesa o che bestemmiano, hanno creduto finora in un Dio che non esiste? E noi, in quale Dio crediamo? Nel Dio di Gesù, o in quell’altro?