domenica 22 maggio 2022

VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

Oggi la faccio breve perché, quando ci sono letture così difficili (penso in particolare alla lettera agli Ebrei e al brano di vangelo), la predica dovrebbe trasformarsi in una lezione di teologia. Mi consola che nel vangelo, a un certo punto, gli stessi discepoli dicono, riferendosi alle parole di Gesù: “non 

comprendiamo quel che vuol dire”. Quindi siamo in buona compagnia. La questione, però, è più sottile. Gesù stesso, nel primo versetto, dice: molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Cioè, quello che devo dirvi non è ancora alla vostra portata. Perché? Perché la questione non è solo intellettuale, cioè capire o meno alcune pagine difficili della scrittura, ma è molto più radicale: il messaggio di Gesù lo può capire solo chi, come lui, ha orientato la propria vita per il bene dell’altro ed è disposto al dono della propria vita. Non basta leggere il vangelo per capirlo: il vangelo lo capisce solo chi mette il bene di ogni uomo come valore supremo della propria esistenza. Voi, dice Gesù ai suoi discepoli, ancora non avete capito fin dove arriverà il mio amore, un amore capaci di trasformarvi e farvi diventare come me, come Dio, capaci a vostra volta di amarvi come io vi ho amato (era il vangelo di domenica scorsa). Detto altrimenti, finchè ci rivolgiamo a Dio come se fosse una macchinetta del caffè o la lampada di Aladino per chiedergli di ascoltarci e di esaudire i nostri desideri, anche bellissimi, non comprenderemo mai la novità del vangelo, e cioè che l’unico dono che Dio ci fa è sé stesso, è il suo Spirito, che trasformi il nostro modo di pensare e di vivere. Il vangelo lo può comprendere, appunto, solo chi, davanti al Signore, gli dice: sono io che voglio ascoltare te, che desidero e voglio essere disposto a cambiare il mio modo di pensare e di vivere, per imparare a diventare un uomo o una donna capace di amare gli altri come Gesù. Finchè non è questo il nostro desiderio principale che giustifica anche il nostro essere qui a celebrare l’eucaristia (perché fate questo in memoria di me significa, appunto, fare quello che ha fatto Gesù), continueremo a uscire di chiesa uguali a come siamo entrati, anche se avessimo capito bene il significato di tutti i libri della Bibbia o il prete di turno avesse fatto un’omelia fantastica o una catechesi illuminante. La riprova di tutto questo ce la dà san Paolo raccontando il momento della sua illuminazione. Paolo andava in giro a imprigionare o uccidere chi non la pensava come lui, e lo faceva nel nome di Dio, per difendere Dio, come se Dio non avesse le spalle abbastanza grosse per difendersi da solo. Per amore della verità, della sua verità, ammazzava gli altri. Quando il Signore Gesù gli dice: tu perché mi perseguiti? in quel momento Paolo capisce la differenza tra l’amore per la verità e la verità dell’amore: l’amore per la verità porta ad ammazzare gli altri, mentre la verità dell’amore (che Dio è Padre, che noi siamo suoi figli e gli altri sono fratelli da accogliere e amare) conduce a orientare la propria vita per il bene degli altri. Cosa che appunto i discepoli di Gesù ancora non avevano capito e impediva loro di comprendere le parole di Gesù. Dopo oltre 2000 anni, adesso tocca a noi lasciarci avvolgere da questa luce. E così sia.