domenica 21 agosto 2022

21/08/22 XI DOMENICA DOPO PENTECOSTE (ANNO C)

Sono molto cupe le pagine del vangelo e la prima lettura. Cupe, tristi, desolanti, drammatiche. Nella prima lettura, si racconta la tragica e ingiusta condanna a morte di un pover uomo innocente di nome Nabot, voluta dal re Acab e dalla regina Gezabele, perché il re, come un bambino capriccioso, voleva a 

tutti i costi che Nabot gli vendesse la sua unica vigna e, di fronte al suo rifiuto, accetta il consiglio perverso della moglie di usare il suo potere per accusare Nabot di crimini inesistenti, condannarlo a morte per lapidazione, e così riuscire ad ottenere il suo giocattolo. A questo fatto, segue il duro giudizio di Dio che, per mezzo del profeta Elia, dichiara che il re Acab subirà la stessa sorte di quell’uomo. Nel vangelo, Gesù racconta la celebre parabola del ricco epulone, un uomo che passa tutta la vita immerso nei suoi agi, nei suoi lussuosi vestiti “firmati” o “di marca”, come diremmo oggi, impegnato solo a mangiare e a godersela, tanto da non rendersi nemmeno conto del povero Lazzaro che stava alla sua porta, malato e affamato. Il giudizio di Gesù su questo ricco, come quello del profeta Elia su Acab, è altrettanto perentorio e di condanna. Due letture, dunque, che affrontano temi drammatici e sempre attuali: l’abuso del potere, l’uso sbagliato della ricchezza, la malvagità, l’ingiustizia che colpisce gli innocenti, e quindi argomenti come la giustizia umana e la giustizia divina. Queste due storie drammatiche si ripetono nella storia dall’inizio dell’umanità, e ci toccano tutti da vicino, a volte come vittime, altre come carnefici. Normalmente si invoca la giustizia quando si subiscono dei torti, non quando si commettono, perché il male lo sente sempre chi lo subisce, non chi lo fa. Spesso, non solo di fronte ad efferati crimini, reati o ingiustizie, ma anche per molto meno, si invoca la giustizia umana confondendola con la vendetta: “certe persone andrebbero messe in galera e bisognerebbe buttare via la chiave o, meglio ancora, bisognerebbe ripristinare la pena di morte”. Non a caso, quello della giustizia e della sicurezza è un tema talmente attuale e caldo che alcuni partiti politici lo mettono al primo posto nel loro programma elettorale per raccogliere maggiori consensi. E quando la giustizia umana fa cilecca, allora, per chi ci crede, ci si appella a Dio: se non in questa vita, almeno dopo la morte ci sarà il giudizio di Dio così che, chi se lo merita (io no certamente) brucerà nel fuoco dell’inferno per l’eternità. Tra l’altro, le dure sentenze del profeta Elia e di Gesù sembrano confermare questa linea. Dimenticando che tutta la predicazione di Gesù va nella direzione opposta: Dio è unicamente buono, è solo amore ed è giusto, non perché ripaga ciascuno secondo i suoi meriti, ma perché è fedele a sé stesso, e quindi, non può fare altro che continuare a infondere amore e perdono verso tutti, buoni e malvagi. Pertanto, Dio non può mandare all’inferno nessuno. Quindi, anche le parole di condanna pronunciate da Gesù verso il ricco epulone, vanno intese che se qualcuno andrà all’inferno sarà perché si è impegnato seriamente ad andarci lui vivendo tutta l’esistenza senza un briciolo di umanità e di giustizia. Se uno vive tutta l’esistenza lontano dalla luce, resta nelle tenebre, ma non per colpa della luce. Se c’è una fonte d’acqua e uno decide di non bere e muore di sete, non è colpa della fonte d’acqua. Se Dio continua a tendere la sua mano a chi vuole gettarsi da un ponte e costui, invece di afferrarla, si mette a braccia conserte, e quindi precipita e si schianta, non è certo colpa di Dio. Il punto decisivo, dunque, è come decidiamo di vivere la nostra esistenza terrena. E qui entra in gioco il “programma elettorale” di Dio che viene espresso in tutto il vangelo, in tutta la predicazione di Gesù, in particolare nelle beatitudini e nel discorso della montagna, pensiamo solo quando Gesù dice “amate i vostri nemici” e “fate agli altri quello che vorreste che gli altri facessero a voi”. Un programma elettorale che viene ripreso in modo molto luminoso da san Paolo nel brano della lettera ai Romani, una pagina che fa da contraltare ai cupi e drammatici brani della prima lettura e del vangelo: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, fate a gara non a chi si insulta meglio suo fratello, ma a chi lo stima di più; non siate pigri nel fare il bene; siate costanti nella tribolazione; condividete le necessità dei santi, cioè dei membri della vostra comunità, ma siate anche premurosi nell’ospitalità di chi non è dei vostri; benedite coloro che vi perseguitano, e non maledite; rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto; abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; non rendete a nessuno male per male; cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini; se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. Detto altrimenti, aveva detto Gesù, “siate misericordiosi come il Padre”, “amatevi tra voi con lo stesso amore con cui vi ama Dio”. Bene, questo è il programma elettorale di Dio per costruire il suo Regno. Se tutti lo votassimo, scomparirebbe l’inferno su questa terra. Almeno noi che ci dichiariamo discepoli di Gesù, siamo disposti a votarlo, oppure lo riteniamo impraticabile e utopico? Se così fosse, nasce spontanea una domanda: ma allora perché siamo qua?