domenica 23 luglio 2023

23/07/23 VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Nel rito ambrosiano, le letture delle domeniche dopo Pentecoste, fino a dopo Ferragosto, ci fanno rivivere in ordine cronologico le tappe più importanti della storia della salvezza come vengono raccontate nei testi dell’Antico Testamento, quindi, ogni domenica, i brani di vangelo e di san Paolo 

sono collegati alla prima lettura che, questa domenica, parla di Samuele, l’ultimo dei giudici e il primo dei profeti di Israele, proprio nel momento della sua vocazione. E di vocazione parlano anche le altre due letture: la chiamata dei primi discepoli a seguire Gesù e quella di Paolo ad annunciare alle genti, cioè ai popoli pagani, il Vangelo. Sappiamo tutti che “vocazione” significa chiamata, e quindi la vocazione suppone che ci sia uno che chiama e un altro che decide se e come rispondere. Se ci pensate, tutta la vita è una vocazione, da quando suona la sveglia al mattino che ci chiama ad alzarci, a quando suona il telefono o rispondiamo ad un messaggio, al modo in cui rispondiamo agli eventi della vita. Quindi la vocazione riguarda il senso della vita, il modo in cui uno decide di vivere la sua vita. La Bibbia, in fondo, racconta i tanti modi coi quali il popolo di Israele e poi i discepoli di Gesù hanno risposto alla “chiamata di Dio”, solo che, presi alla lettera, così come sono scritti, sembra che a quei tempi gli uomini sentissero una voce provenire da qualche parte, una voce che ordina di dire e di fare qualche cosa: “parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta”, dice Samuele dopo che il sacerdote Eli gli fa capire che la voce che lo svegliava di notte era quella di Dio. Mentre per i discepoli di Gesù le cose erano più semplici, perché avevano davanti agli occhi una persona concreta che parlava con loro. Per san Paolo le cose erano già diverse, perché Paolo fece esperienza di Gesù dopo la sua risurrezione, ma anche Paolo racconta di una voce che lo chiamava, perciò noi, che siamo nella stessa situazione di Paolo, e anche di Samuele, quando parliamo di vocazione, vorremmo che Dio ci parlasse in questo modo. Tutte le volte che, per esempio, qualcuno mi chiede come è nata la mia vocazione, mi domanda se ho sentito una voce, come se Dio dovesse parlare solo a chi vuole che diventi prete o suora. Questi sono grossi errori che nascono da una scorretta interpretazione dei testi biblici. Quando noi diciamo che la Bibbia è Parola di Dio pensiamo che Dio abbia parlato con la sua voce e abbia poi dettato a qualcuno le cose da scrivere. Questo lo pensano i musulmani a proposito del Corano. Per noi, Parola di Dio vuol dire che Dio entra in relazione con gli uomini per comunicare con loro. In che modo? La vita di ciascuno è fatta di avvenimenti, esperienze, fatti belli o brutti, che suscitano in noi sentimenti, pensieri e reazioni che ci portano a star bene o a star male, e quindi a fare scelte giuste o sbagliate, a compiere il bene o il male, e questo dipende dallo spirito che scegliamo di seguire. Siccome Dio è spirito, vuol dire che Dio parla, si comunica, “fa udire la sua voce” nella nostra interiorità. I testi della Bibbia sono Parola di Dio perché cercano di descrivere queste esperienze interiori, solo che sono scritte da persone che vissero duemila anni fa, con una mentalità completamente diversa dalla nostra, e raccontano queste esperienze interiori facendo parlare Dio come se avesse una bocca, ma non è così. La cosa difficile, piuttosto, è riuscire a distinguere la voce di Dio da tutte le altre, e infatti la Bibbia è piena di racconti contraddittori: in alcuni Dio dice di amare i nemici, e in altri dice di massacrarli, eppure, in entrambi i casi gli uomini obbediscono a questa voce convinti che sia quella di Dio. Sarà Gesù a dire in modo definitivo come si fa a distinguere la voce di Dio da tutte le altre: la voce dello spirito di Dio è quella che suscita in noi sentimenti di disgusto verso il male, che infondono gioia nel voler compiere il bene, che spingono non a farsi servire, ma a mettersi a servizio degli altri, a rispondere al male col bene e col perdono, che conducono a sperare anche di fronte alla morte, ad essere nella pace e a diffondere vita agli altri, perché Dio è solo fonte di vita. Ecco perché Gesù chiama i suoi discepoli a diventare pescatori di uomini. Cosa vuol dire pescare gli uomini? Mentre il pesce nell’acqua vive e, pescarlo, vuol dire farlo morire, per gli uomini è il contrario: tirarli fuori dall’acqua vuol dire salvarli, dargli vita, cioè dare amore. Che cos’è allora la vocazione? Dio è Padre e chiama ogni uomo e ogni donna ad essere suo figlio, cioè ad assomigliargli nell’amore, come ha fatto Gesù, infondendo una qualità di vita tale da poter superare anche la morte. E’ la vocazione comune di ciascuno che nasce dal Battesimo. Questa è la volontà di Dio, il suo progetto. Poi, ognuno lo realizzerà a modo suo, secondo le sue attitudini. Uno può diventare prete, suora, sposarsi, non sposarsi, ma alla fine Dio ci chiederà se, mentre uno era prete, suora, sposato o single ha amato come Gesù oppure no. Non è Dio che ha voluto che io diventassi prete: sono io che, a un certo punto, ho capito che il modo per seguire Gesù e per amare più vero e adatto a me fosse diventare prete, e la Chiesa lo ha riconosciuto e mi ha ordinato, la stessa Chiesa che riconosce e valorizza le vocazioni proprie di ciascuno di voi, sempre a servizio di tutti. Imparare a vivere la nostra vita come risposta a questa vocazione rende la vita bella e degna di essere vissuta, anzi, di farla diventare un capolavoro.