domenica 9 luglio 2023

9/7/23 VI DOMENICA DOPO PENTECOSTE (ANNO A)

Nel rito ambrosiano, le letture delle domeniche dopo Pentecoste, fino a dopo Ferragosto, ci fanno rivivere le tappe più importanti della storia della salvezza come vengono raccontate nei testi dell’Antico Testamento, quindi, ogni domenica, i brani di vangelo e di san Paolo sono collegati alla lettura, quindi, 

prima di tutto, è su questa che bisogna concentrare l’attenzione. Quella di domenica scorsa parlava di Abramo e quella di oggi parla di Mosè nel momento in cui, sul monte Sinai, vuole vedere e vuole che tutti vedano la gloria di Dio. Cos’è la gloria di Dio, cosa vuol dire rendere gloria a Dio, come quando ripetiamo “gloria a Dio nell’alto dei cieli”, oppure “gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito santo”? Come ritornello del salmo di oggi abbiamo ripetuto anche noi: mostrami, Signore, la tua gloria. Dare gloria a Dio vuol dire riconoscere e lodare la sua grandezza, potenza, importanza, che non c’è nessuno più grande di Lui. Il termine “gloria” indica il peso, la consistenza, il valore non solo di Dio, ma di qualunque persona, con una differenza. Che la gloria degli uomini è come quando si butta un sasso in uno stagno e iniziano a formarsi cerchi sempre più grandi, che poi però finiscono, mentre la gloria di Dio è come una serie di cerchi che diventano sempre più grandi e non finiscono mai. Per questo la Bibbia dice che la gloria di Dio si irradia in tutto l’universo e solo a lui, non agli uomini, si devono la gloria e l’onore, non agli uomini. Infatti, san Paolo, come abbiamo ascoltato, parlando di se stesso e di Apollo che, come lui, si erano prodigati ad annunciare il vangelo, dice ai Corinti: guardate che noi, per quante cose importanti abbiamo fatto, siamo solo servitori e collaboratori di Dio, quindi non è a noi che dovete rendere gloria, perché noi siamo come il dito che indica la luna, non la luna. La gloria, cioè il peso, il valore, la consistenza che spesso gli uomini cercano per sé stessi e che attribuiscono ad alcune persone, come se fossero Dio, spesso è solo vanagloria perché viene tributata a chi ottiene fama, successo, ricchezza, potere. Vanagloria appunto perché si tratta di cerchi nell’acqua che poi, a un certo punto, finiscono, sono vani, inconsistenti. Capita sovente che uno passi dalle stelle alle stalle anche in brevissimo tempo. Purtroppo, questo modo di intendere la gloria umana viene proiettato anche su Dio, perciò anche noi, come Mosè, vorremmo che Dio manifestasse la sua gloria attraverso gesti e segni eclatanti. Ma Dio è una realtà invisibile, eterna, inaccessibile, e infatti dice a Mosè, con un linguaggio molto umano: di me potrai vedere le tracce, la schiena, ma non il mio volto faccia a faccia. E tutta la Bibbia insegna che le tracce di Dio, i segni coi quali Dio rivela la sua gloria non sono quelli che abbiamo in mente noi o che noi vorremmo, che la sua potenza non si rivela andando in tv, governando il mondo, spaccando i denti ai cattivi, donando fama, salute, successo, potere e ricchezza a chi lo serve e lo riverisce, ma continuando a donare vita e amore agli uomini, fino ad arrivare, con Gesù, a donare tutto se stesso, diventando così il più povero di tutti. Se Dio avesse voluto trattenere tutto per sé, anche l’aria, lui sarebbe ricchissimo, ma il mondo non esisterebbe, e Dio stesso non avrebbe nessuno con cui rapportarsi. E così veniamo al vangelo, dove Gesù proclama beati non i ricchi, ma (attenzione bene), non i poveri, ma chi si fa povero, cioè chi è generoso e dona quello che ha. Beato perché diventa come Dio. Non perché è povero. Gesù non beatifica la povertà: i poveri sono disgraziati, e il compito che Gesù assegna ai suoi discepoli, è di toglierli da questa condizione. Come? Usando la loro ricchezza a beneficio di tutti, come ha fatto Dio. Gesù dice “beati voi poveri” riferendosi ai suoi discepoli che hanno deciso di fare delle scelte a favore degli altri. Certo, così facendo andranno incontro anche ad inconvenienti spiacevoli, la fame, il pianto, la persecuzione, perché chi sceglie di vivere in un modo diverso da come va il mondo, dal così fan tutti, viene emarginato, come accadde a Gesù. Ma Gesù rassicura: rallegratevi, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Che non vuol dire assolutamente, come spesso purtroppo si è insegnato, perché un giorno, in Paradiso, sarete ricompensati, ma vuol dire perché Dio è dalla vostra parte, si prende cura di voi. Di contro, Gesù pronuncia quattro guai che, in realtà, non sono minacce, perché il termine ebraico tradotto in italiano con “guai” è un lamento funebre, perciò, questi guai indicano che Gesù piange come fossero già morti, nel senso di umanamente falliti, chi? I ricchi, cioè quelli che trattengono tutto per sé e provocano la povertà; i sazi, perché provocano la fame; quelli che ora ridono, perché, pensando solo a star bene loro sono stati causa della sofferenza degli altri; infine, quelli che il mondo loda, a cui il mondo dà gloria, applaude, appunto perché considera la gloria in ben altro modo. Intende la gloria come la vittoria sul nemico, il far del male a chi lo odia, maledire chi lo maledice, rendere pan per focaccia a tutti. Invece, la gloria di Dio è l’uomo vivente che accoglie il suo Spirito che lo fa pensare e agire in modo opposto. Quando impariamo a fare agli altri quello che vorremmo che gli altri facessero a noi, ecco che la gloria di Dio si manifesta, ecco che finalmente il volto di Dio possono vederlo tutti in faccia, perché Dio si sta manifestando attraverso chi vive così. Siamo sicuri di essere qui a celebrare l’eucaristia per ricevere e diventare ricchi della ricchezza dell’amore di Dio così da poter diventare poveri come lui?