domenica 2 luglio 2023

2/07/23 V DOMENICA DOPO PENTECOSTE (ANNO A)

Il tema delle letture di questa quinta domenica dopo Pentecoste è quello della fede. Rileggiamo la profonda definizione di fede che viene data dall’autore della lettera agli Ebrei proprio nel primo versetto della lettura di oggi: “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”. 

Fondamento di ciò che si spera: cosa vuol dire? Tutti viviamo di speranze: se io non sperassi che le vacanze che farò saranno belle, non partirei nemmeno; se uno non sperasse che quella persona è la donna della sua vita non si sposerebbe. Vuol dire dunque che la base, il fondamento che consente di sperare è la fede, cioè un atto di fiducia in qualcuno o in qualcosa, senza il quale uno non si alzerebbe nemmeno dal letto. Senza fiducia in quello che mi dice un dottore, non prenderei neanche una medicina nella speranza di guarire. Senza fiducia nel cuoco che fa da mangiare, la speranza di fare un’ottima cena al ristorante non ci sarebbe, e io resterei a casa, sperando, oltretutto, che mia mamma non metta a sua volta del veleno nella pastasciutta, e alla base di questa speranza c’è la fede, la fiducia in mia mamma. Poi però la frase continua: la fede non è solo fondamento di quello che si spera, ma è anche la prova di quello che non si vede. Potremmo tradurla così: provare per credere. Ma anche: credere per provare. Cioè, alla fine devo buttarmi: solo facendo qualcosa che spero accada, che ancora non vedo, ma che penso sia degno di fiducia, potrò capire se ho riposto bene la fiducia. Ecco perché dicevo che senza fede uno non si alzerebbe neanche dal letto. Quindi, vedete, la fede è qualcosa di profondamente umano che ci riguarda tutti: senza fede e senza speranza non si vive. La fede è dunque qualcosa di molto concreto, ed è banale pensare che la fede sia qualcosa che riguarda solo chi crede in Dio e dire: c’è chi ce l’ha e chi non ce l’ha. Però, attenzione, la fede in Dio nel senso del credere nell’esistenza di un essere superiore, non è la fede cristiana, perché nell’esistenza di una realtà che trascende la nostra esistenza terrena ci credono miliardi di persone anche non cristiane. Il cristiano, invece, crede nelle verità che proclamiamo nel Credo. Cioè, crede in quello che ha detto Gesù e che la Chiesa proclama da oltre 2000 anni. Ma questo credere non è qualcosa semplicemente intellettuale, ma è fidarsi di quello che ha detto Gesù, e quindi vuol dire vedere le cose come lui e fare quello che lui ha detto, altrimenti sarebbe come andare al ristorante, ordinare delle pietanze sperando che siano buone, e poi, però, non mangiarle. Se uno le ordina con la speranza che siano buone, poi, però, l’unico modo per verificare se sono buone è mangiarle. Sarebbe uguale a uno che, per principio, non ordina niente perché non si fida del cuoco. Anzi, sarebbe peggio, perché, chi non si fida, se non altro, non spende neanche dei soldi per ordinarle. Ecco perché penso che tante volte sia labile la differenza tra chi dice di credere e di non credere e, sia a chi dice di credere sia a chi dice di essere ateo, a me viene sempre da chiedere: ma chi è questo Dio nel quale dici di credere o di non credere? Ma soprattutto: cosa ti cambia nella vita il tuo credere o non credere? Per questo Abramo, dice sempre la lettera agli Ebrei, è un modello di fede, perché fece quello che Dio gli aveva ordinato di fare. La prima lettura descrive il suo lungo viaggio dall’Iraq, passando per la Siria, per poi arrivare in Palestina, per dire che quello della fede è un cammino, prima di tutto interiore, che poi ha delle conseguenze esteriori. Se è un cammino vuol dire che ci sono dei passi da fare, e quando si fa un passo avanti, inevitabilmente si lascia sempre indietro qualcosa. E così arriviamo al vangelo dove Gesù, usando alcune metafore, dice quali sono gli ostacoli che impediscono un cammino autentico di fede. Occorre, dice, lasciare il nido, la casa, la tana, quella che hanno le volpi e gli uccelli, cioè imparare a lasciare le proprie certezze, le proprie sicurezze, anzitutto materiali, come per Abramo era la terra in cui abitava. Per Gesù, l’unica sicurezza che dobbiamo avere è il suo amore, per cui tutto il resto deve servire come mezzo per vivere e far vivere gli altri, non come scopo della vita. Uno gli dice: lascia che io prima seppellisca mio padre. E Gesù risponde: no, lascia che i morti seppelliscano i loro morti. I morti, per Gesù, non sono i defunti, ma quelli che pensano solo ai soldi, che hanno come Dio il denaro, che hanno fede e speranza solo in quello: perché quel tale voleva andare a seppellire il padre? Perché altrimenti non avrebbe avuto l’eredità. E infine aggiunge che non bisogna mettere mano all’aratro e poi volgersi indietro, cioè avere nostalgia del passato. Sapete quando uno è ostaggio delle sue abitudini e dice: io sono fatto così non posso cambiare? Oppure ragiona dicendo: si è sempre fatto così, e vede tutte le novità come un dramma? Ecco, quando non si è disposti al cambiamento in generale (vale anche per chi gli crolla il mondo addosso se cambia un orario della messa o dovesse vivere da un’altra parte), come potrà mai cambiare la sua mentalità e conformarla a quella di Gesù? Come potrà sperare di uscire di chiesa anche oggi almeno un po’ diverso da come è entrato?