domenica 25 giugno 2023

25/06/23 IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE (ANNO A)

Nel rito ambrosiano, le letture delle domeniche dopo Pentecoste, fino a dopo Ferragosto, ci fanno rivivere le tappe più importanti della storia della salvezza come vengono raccontate nei testi dell’Antico Testamento, quindi, ogni domenica, i brani di vangelo e di san Paolo sono collegati alla lettura, quindi, 

prima di tutto, è su questa che bisogna concentrare l’attenzione, e quella di oggi è l’inizio del lungo racconto di Noè, dell’arca e del diluvio. Per provare a capirne il significato, la prima cosa da fare è mettere subito in chiaro che, da un lato non è una favola, ma non è nemmeno un racconto storico o scientifico, e questo vale anche per tutti gli altri racconti che si trovano nei primi undici capitoli della Genesi, che parlano della creazione, di Adamo, Eva, Caino, Abele. Sono racconti mitologici che prima di tutto cercano di spiegare perché nel mondo c’è il male: il male c’è perché gli uomini non si considerano tutti figli dello stesso Padre, non si pensano tra loro come fratelli, e quindi si comportano in modo completamente diverso da come Dio li aveva pensati. Col racconto di Noè si cerca invece di spiegare cosa fa Dio di fronte al male degli uomini. All’inizio del racconto, nel capitolo 6, quello letto quest’oggi, si dice che Dio è deluso perché vede che ogni intimo intento del cuore degli uomini è sempre cattivo, ne resta addolorato, addirittura si pente di avere creato gli uomini, manda un diluvio per distruggere quello che aveva creato, però salva Noè, l’unico giusto, perché diventi lui il nuovo Adamo dal quale possa nascere una nuova umanità. Ma, alla fine del racconto, nel capitolo 8, il Signore si accorge che i figli di Noè sono peggio di quelli che erano morti nel diluvio, e quindi capisce che la violenza contro gli uomini non serve a niente, perché il loro cuore è sempre corrotto, perciò la strada che Dio sceglie di seguire è provare a cambiare il cuore degli uomini, non di ammazzarli, e allora stipula con Noè, che rappresenta tutta l’umanità, un’alleanza, simboleggiata dall’arcobaleno. Perché l’arcobaleno? Perché l’arcobaleno compare nel cielo dopo una tempesta, quando le nuvole si aprono, ed essendo a forma di arco, viene a simboleggiare l’arco di guerra di Dio, che Dio smette di usare e lo appende sulle nuvole. Non solo, è un arco orientato verso il cielo, contro Dio stesso, e quindi è un promemoria per Dio che decide di prendere su di sé tutto il male che compiono gli uomini senza restituirlo, e Gesù porterà a compimento questa alleanza con la sua morte sulla croce, donando il suo Spirito, capace di cambiare il cuore degli uomini che lo accolgono. C’è poi un altro simbolo da decifrare, quello dell’Arca, enorme, che preserverà la vita di Noè, della moglie, dei figli, delle nuore e di tutte le specie di animali: tutto ciò simboleggia il fatto che Dio, fonte di vita, fa sempre in modo che, in mezzo ai disastri della storia, la vita possa sempre continuare, e quindi che, dalle macerie, può sempre sorgere un nuovo inizio. Non è un caso che questo racconto fu scritto quando il popolo di Israele tornò dall’esilio a Babilonia: la distruzione di Gerusalemme e l’esilio, da cui si salvò solo un piccolo resto del popolo, rappresentò per Israele un vero e proprio disastroso diluvio, che venne ricordato e interpretato scrivendo questo racconto. E così passiamo al vangelo. A Gesù avevano chiesto: quando verrà il Regno di Dio? Cioè, quando finalmente ci sarà un mondo giusto, dove gli uomini si amano? E Gesù risponde: come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’Uomo. Il Figlio dell’uomo è Gesù stesso, è l’uomo come lo ha pensato Dio, il vero Adamo, il vero Noè. Non solo: è ogni uomo e ogni donna che vivono come Gesù. I giorni della venuta del Figlio dell’Uomo erano quelli ai tempi di Noè e poi di Lot, cioè sono quelli di ogni epoca della storia, anche i nostri, quelli in cui gli uomini mangiano, bevono, si sposano, comprano, vendono, piantano, edificano, cioè vivono la loro vita quotidiana. Anche Noè e Lot, dice Gesù, facevano la stessa vita di tutti, solo che la vissero con lo spirito del Figlio dell’Uomo, cioè come Gesù, con lo stesso spirito di Gesù, lo Spirito del Figlio che si sente amato da un Dio che è Padre e che dona la vita ai fratelli, non con lo spirito della violenza e dell'egoismo che cerca di salvare la propria vita disinteressandosi di quella degli altri. In questo modo costruirono il Regno di Dio, e per questo si salvarono. Cioè, Gesù ci sta dicendo: voi potete vivere tutte le cose che fate e le vostre relazioni o per ammazzarvi tutti e distruggere tutto, oppure con lo Spirito del Figlio dell’uomo, spirito di solidarietà, di condivisione, di amore, di fraternità, e allora viene il Regno di Dio. A questo punto risultano chiare anche le parole di san Paolo che riassumono tutto questo discorso: camminate secondo lo Spirito e non soddisfate i desideri della carne che sono contrari allo Spirito. La carne vuol dire la nostra fragilità, i nostri limiti, ma anche i nostri bisogni che vanno certamente soddisfatti, ma che diventano contrari a quelli dello Spirito quando conducono a pensare solo a se stessi e a fare il male. E noi siamo qui a celebrare l’eucaristia proprio per rinnovare l’alleanza col Signore che ci chiama a nutrirci della sua carne per fondersi con noi, per farci diventare come lui, e che ci dona il suo sangue, cioè il suo Spirito, perché abbiamo ad usarlo nella vita di tutti i giorni.