domenica 5 novembre 2023

5/11/23 CRISTO RE (ANNO A)

Con questa domenica finisce l’anno liturgico, e domenica prossima, con l’Avvento, inizia quello nuovo. Ogni anno la Chiesa rivive di giorno in giorno, di domenica in domenica, suddivisi per le settimane che costituiscono i vari tempi dell’anno liturgico, le opere e gli insegnamenti di Gesù, ma non come se 

fossero avvenimenti del passato, bensì come fatti che continuano a ripetersi per noi oggi, perché Gesù è risorto, è vivo, e continua a rendersi presente nelle nostre eucaristie. Gesù ha rivelato, ci ha fatto vedere chi è Dio, quel Dio di cui parlano anche le pagine dell’Antico Testamento, perché Dio da sempre parla, si comunica a tutti gli uomini, si rivela, e lo ha fatto nella storia anche col popolo di Israele, e le pagine della Bibbia ebraica (l’Antico Testamento, appunto) raccontano quello che il popolo ebraico, nel corso dei secoli, è riuscito a capire di Dio. Gesù si inserisce nella storia di questo popolo e porta a compimento, cioè fa vedere in una luce nuova tutte le intuizioni giuste presenti nella Bibbia, correggendo o abolendo quelle sbagliate. Per questo noi cristiani dobbiamo leggere l’Antico Testamento alla luce di quello che ha insegnato Gesù. E, in particolare, proprio la solennità di oggi, che chiude l’anno liturgico, ci fa capire bene questa cosa. Provo a spiegarmi. Prima abbiamo ascoltato alcuni versetti del capitolo 7 del secondo libro di Samuele dove Dio promette a Davide che, in un futuro indefinito, un suo successore, finalmente, sarebbe stato il re ideale di Israele, capace di colmare pienamente le aspettative e le aspirazioni del popolo. Questo re ideale è il Messia, il Cristo, rappresentante di Dio su questa terra, il più bello tra i figli dell’uomo, che ama la giustizia e detesta la malvagità, come dicevano le parole del salmo. Certamente questo re non è l’attuale primo ministro israeliano Netanyahu, sebbene Netanyahu corrisponda alle attese nazionaliste di Israele. Ma il rappresentante di Dio su questa terra può essere nazionalista, cioè pensare solo agli interessi di un popolo? Gesù verrà a correggere questa deriva. Molti pensavano che fosse Gesù questo re ideale atteso, anche perché apparteneva alla discendenza di Davide, ma Gesù deluse subito queste aspettative: insegnando che Dio è Padre di tutti gli uomini della terra, esclude che Dio possa essere nazionalista. Per questo Gesù rifiutava il titolo di Messia, di Cristo, di Re: anche davanti a Pilato, lo abbiamo letto nel vangelo, quando gli viene chiesto “tu sei re?”, Gesù risponde in modo volutamente ambiguo, dicendogli: sei tu che dici che sono re, perché io sono venuto a testimoniare la verità, e la verità è che Dio è Padre, che tutti gli uomini sono suoi figli e che devono amarsi come fratelli. Perciò Gesù è sì il Messia, il Cristo, il re ideale, il rappresentante di Dio, ma di quale Dio? Gesù fa vedere il vero volto di Dio, completamente diverso da quello che il popolo di Israele si aspettava, e anche da quello che tante volte ci aspettiamo noi. L’immagine del re è sinonimo di potenza, di grandezza: il re è colui che decide, che fa, che disfa, che legifera, a cui obbedire, che giudica, premia, condanna, che infonde sicurezza, che parteggia per un popolo contro un altro, che combatte col suo popolo per sterminare i nemici. Pensate come sono attuali queste prospettive, se pensiamo al modo di pensare Dio dei fondamentalisti israeliani e islamici nel conflitto che sta coinvolgendo quelle terre. Ma queste immagini di regalità, purtroppo, anche noi spesso le proiettiamo su Dio, restando spesso delusi quando vediamo che Dio non agisce così. Invece Gesù fa vedere che il potere regale di Dio è un altro, ed è solo uno: quello di donare se stesso, il suo Spirito di vita e di amore in tutti gli uomini, e chi accoglie questo potere riceve a sua volta il potere di mettersi al servizio del bene e della felicità di tutti, nessuno escluso, cercando la giustizia e la verità. Il potere di Dio è quello di liberarci dal potere delle tenebre, come scrive san Paolo nel brano della lettera ai Colossesi. Ecco perché proprio in questa solennità si celebra la giornata della Caritas, per indicare che uno solo è il potere che noi cristiani siamo chiamati ad esercitare sul mondo, quello di manifestare l’amore di Dio al mondo, di essere una Chiesa, come ripete il Papa, “ospedale da campo” per il mondo. E trovo bellissimo che l’anno liturgico finisca sempre con questa domenica e inizi, domenica prossima, con l’Avvento. Perché l’avvento indica che quel Dio che noi attendiamo che si manifesti, è venuto, si è fatto carne in Gesù, e durante tutto l’anno, giorno dopo giorno, noi contempliamo la sua nascita, le sue opere, i suoi insegnamenti, la sua passione, morte e risurrezione, il dono del suo Spirito, per assimilare il suo pensiero, la sua persona, per diventare come lui con la forza dell’eucaristia. E cosa vuol dire diventare come lui, diventare persone nuove, risorte, cioè qual è lo scopo di tutto questo percorso? È quello di esercitare il suo stesso potere regale, quello di imparare ad amare gli altri come lui ha amato noi.