lunedì 27 novembre 2023

26/11/23 III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B)

Le parole che il profeta Isaia mette in bocca al Signore nel brano della lettura di oggi esprimono molto bene i sentimenti, le attese e le speranze non solo del popolo di Israele di quel tempo che viveva in esilio, ma quelle di tutta l’umanità, e anche le nostre. Voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate

il Signore, voi che sperimentate l’aridità dell’esistenza come un uomo assetato nel deserto. Sono differenti e tante le prove, i problemi, le difficoltà, i dolori, le tragedie della vita, ed è proprio in questi momenti che nasce spontaneo il grido: Signore guarda giù. A questo ci richiama l’Avvento, al fatto che tutta la vita è un’attesa, l’attesa che venga la salvezza, che qualcuno ci salvi. L’attesa dell’esito di un esame, di una telefonata amica, del termine di un brutto periodo, della buona riuscita di un progetto, di trovare lavoro, che finisca la guerra, che ci sia giustizia, e chi più ne ha più ne metta. È da qui che nasce la speranza, e quando vediamo che le cose non si sistemano e non sappiamo più a che santo votarci, allora gridiamo: Signore guarda giù. Ecco, il profeta Isaia raccoglie questo grido, e il Signore risponde, prima di tutto dicendo: ascoltatemi, porgete l’orecchio! Rivolgendosi al popolo di Israele dice: non dimenticate quello che io ho fatto nel passato con Abramo, e dunque non temete: il deserto diventerà un giardino, giubilo e gioia ci saranno in Gerusalemme, ringraziamenti e melodie di canto, la mia giustizia è vicina, la mia salvezza si manifesterà, le mie braccia governeranno i popoli. Parole rivolte anche a noi. Peccato che queste promesse non si siano mai realizzate, non solo per gli abitanti di Gerusalemme (basti vedere cosa sta accadendo anche oggi in quelle terre), ma più in generale nel mondo e nelle vicende di ciascuno di noi. Mentre restiamo in attesa, per usare ancora le parole del profeta Isaia, la terra continua a logorarsi come un vestito e i suoi abitanti a morire come larve, e a continuare a ripetere: Signore, guarda giù. Senza contare chi, sfiduciato, ha smesso anche di gridare al Signore, di sperare in lui. E così l’avvento diventa solo il triste simbolo dell’attesa della venuta non tanto del Signore, ma della morte che finalmente ponga fine ai dolori dell’esistenza. Ma è possibile che Dio non mantenga la sua promessa? Che continui a ripeterci di ascoltarlo, se poi è tutta un’illusione o se occorre solo aspettare di morire perchè qualcosa si possa finalmente aggiustare? Passiamo allora alla pagina del Vangelo, dove Gesù si lamenta perché si trova circondato da gente che, di fatto, non ha mai voluto ascoltare la voce di Dio, quel Dio che tutti invocano senza conoscere il suo volto, senza sapere chi è, e continuano a compiere lo stesso errore davanti a Gesù che viene proprio a testimoniare, a far vedere il volto di Dio. Come? Attraverso le sue opere. Le opere che Gesù compiva testimoniavano che cosa? Gesù agiva trattando ogni uomo come fratello, anche chi gli dava contro; operava per il bene e la giustizia nei confronti di chi era malato o soffriva, di chi veniva escluso, e in questo modo cosa testimoniava? Vivendo come fratello in mezzo agli uomini, testimoniava che Dio è Padre, fonte di vita immortale, fonte d’amore, che agisce non dall’alto dei cieli, ma attraverso gli uomini che, come Gesù, diventano suoi figli, cioè accolgono il suo amore e gli assomigliano. Che dunque Dio realizza le sue promesse di salvezza, ma lo fa nella misura in cui noi accogliamo la forza del suo Spirito. E quindi che dobbiamo smetterla di gridare: Signore, guarda giù. Il Signore non ha mai smesso di guardare giù, in Gesù si è fatto addirittura uno di noi, è il Dio con noi. Col suo Spirito è dentro di noi. Non è il Signore che deve guardare giù, ma siamo noi che dobbiamo guardare, non su, ma dentro di noi, per entrare in contatto col suo Spirito che ci abita. Allora si che il Signore viene. E così sia.