Il tema che unisce le tre letture di oggi è uno solo, forte e impegnativo: lo scandalo e la testimonianza. La parola scandalo viene dal greco: skándalon è la pietra d’inciampo che fa cadere, la trappola sul cammino. Nel Vangelo è quando si compie un’azione malvagia spacciandola per un bene, inducendo
anche gli altri a cadere. La parola testimonianza, invece, in greco è martyría, da cui viene la parola martire, perciò il martire è chi, con le parole e la vita, testimonia ciò in cui crede, anche a costo di morire. E allora la domanda di oggi è chiara: vogliamo essere pietra che fa cadere, o testimoni che sostengono e guidano gli altri verso Dio? La prima lettura ci presenta Eleazaro, anziano maestro d’Israele. Durante la persecuzione dei Greci che volevano imporre agli ebrei la loro religione, gli fu chiesto di mangiare carne di maiale, proibita dalla legge di Mosè. Ad Eleazaro, i suoi amici suggeriscono di fingere per avere salva la pelle. Egli, invece, rifiutò e accettò la morte, per lasciare ai giovani «un nobile esempio». Tra essere pietra di scandalo e testimone, scelse il martirio. San Paolo, nella seconda lettura, ci ricorda che la nostra vita terrena è fragile come una tenda. Ma ciò che resta è come l’abbiamo abitata: “nudi” o “vestiti” di opere buone. Solo queste permetteranno a Cristo di riconoscerci come suoi fratelli. Il Vangelo, invece, porta il discorso alle radici. I discepoli chiedono: “Chi è il più grande nel Regno dei cieli?” Gesù chiama un bambino e lo mette in mezzo. Il bambino rappresenta tutti quelli che, in quella società, non avevano dignità e venivano trattati come servi: bambini, donne, stranieri. Ebbene, Gesù li pone al centro. Il Regno di Dio non è l’aldilà, ma una nuova società fondata sul servizio e sulla fraternità: perciò, per Gesù, chi è grande non è chi comanda, ma chi si mette a servire, come Gesù stesso che si è fatto servo di tutti. Un conto è decidere liberamente di farsi servi, un altro è essere trattati e trattare gli altri come propri servi. E aggiunge: “Chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me”. Non è un invito a costruire asili nido, ma a lottare per la giustizia verso chi è ai margini, di restituire dignità a chi non ce l’ha. La vera testimonianza cristiana non sono i proclami, ma l’accoglienza concreta dei piccoli della storia. A tal proposito, lo scandalo più grande a cui stiamo assistendo impotenti, è il fatto che, al di là dei tanti proclami, non ci sia nessun leader del pianeta che voglia davvero fermare il genocidio del popolo palestinese, e tutte le guerre in corso. Eppure, proprio qui emerge un altro scandalo ancor più doloroso che può accadere, non nel mondo in generale, ma dentro una comunità cristiana, quello verso, dice Gesù, “questi piccoli che hanno creduto in me”. Qui, il termine greco che viene tradotto con “piccolo”, non è lo stesso di prima (bambino), ma è “microbo” e, a quei tempi, erano chiamati “microbi” in senso dispregiativo tutti i peccatori, i senza fede, i miscredenti, giudicati, anch’essi, la feccia della società. Lo scandalo denunciato da Gesù è quando questi microbi che cercano Dio e si avvicinano alla comunità cristiana, invece di trovare accoglienza, trovano egoismi, litigi, indifferenza… o addirittura abusi. E qui Gesù pronuncia le parole più dure di tutto il Vangelo: sarebbe meglio che a chi provoca questi scandali fosse appesa e girata bene intorno al collo una macina d’asino, che era la più pesante di tutte le macine, così da essere sicuri che, gettandolo nel mare, non possa risalire. Perché è così preciso Gesù? Perché, a quei tempi, si credeva che le persone che non venivano sepolte nella terra promessa, la terra di Israele, non sarebbero risorte, figuriamoci se uno moriva annegato in mare e il suo corpo non veniva ripescato. Gesù, naturalmente, non sta augurando la morte a nessuno, ma sta dicendo che, se chi si professa suo discepolo agisce così, nel Regno di Dio non entra di sicuro, ma non perché viene castigato, ma perché dove non c’è amore non c’è Dio. E allora, in positivo, conclude con tre metafore riferite all’occhio (che rappresenta il desiderio), alla mano e al piede (che rappresentano l’azione), dicendo: recidete fin dall’inizio e con decisione tutti quei desideri e quelle azioni che vi portano a fare il male, altrimenti la vostra persona finisce nel fuoco della Geenna. Cos’è questo fuoco della Geenna? La Geenna non è l’inferno (Gesù non minaccia nessuno dicendo che va all’inferno, è venuto per salvarci, non per mandarci all’inferno), ma era la valle fuori le mura di Gerusalemme dove venivano bruciate le immondizie, cioè la discarica, e in essa ardeva sempre il fuoco. Quindi anche questa è una metafora che Gesù usa per dire che una vita spesa, non per testimoniare l’amore di Dio, ma per far inciampare gli altri, è simile ad un ammasso di spazzatura maleodorante che serve solo per essere bruciata. Spetta, perciò, davvero e solo a ciascuno di noi scegliere cosa fare della sua vita. Ma, se siamo qui per nutrirci di lui, è perché desideriamo chiedere al Signore di farci diventare come lui.