martedì 14 ottobre 2025

12/10/25 VII DOMENICA DOPO IL MARTIRIO (ANNO C)

Oggi il Vangelo ci propone quattro brevissime parabole con le quali Gesù parla del Regno dei cieli, cioè del Regno di Dio. Il RdD non c’entra con i regni del mondo dove ci sono re e regine, e nemmeno c’entra con l’aldilà. Non ha confini territoriali, ma è quando gli uomini imparano a lasciarsi governare 

dal Padre e, guidati dallo Spirito Santo, si sentono suoi figli amati e amano gli altri come fratelli, come ha fatto il Figlio Gesù, vivendo secondo i suoi insegnamenti, nella logica dell’amore, del servizio, dell’accoglienza, della gratuità, del perdono, come leggevamo nei vangeli delle due scorse domeniche. Vedendo come è sempre andato il mondo e come va il mondo, verrebbe da dire: il RdD è una bella utopia, non verrà mai. Invece no. È già venuto con Gesù, perché Gesù ha vissuto così, e continua a venire ogni volta che qualcuno vive come Gesù. Ebbene, nella prima parabola, Gesù paragona il RdD a un tesoro e, nella seconda, ad una perla preziosa, quindi a qualcosa di talmente splendido e magnifico di fronte al quale ogni altra cosa perde valore, per far capire che solo vivendo nella logica del vangelo si realizza la nostra umanità. Nella terza parabola, paragona il RdD a una rete gettata nel mare che raccoglie tutto quello che trova, per indicare che l’offerta di Dio, del suo amore, è per tutta l'umanità, come già diceva il profeta Isaia nella prima lettura: “verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue”. Poi, però, Gesù aggiunge: “Come i pescatori separano i pesci buoni da quelli cattivi, così alla fine del mondo, i cattivi saranno separati dai buoni e gettati nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti”. Parole minacciose, come quelle di san Paolo nella lettera ai Corinzi che abbiamo ascoltato prima, dove l’apostolo fa un elenco di persone che, dice, non erediteranno il Regno di Dio. Parola che vanno intese bene, perché, non dimentichiamolo mai, il Vangelo è sempre una bella notizia, non qualcosa che deve generare angoscia o paura. Cominciamo allora col dire che la traduzione non è corretta, perché nel testo greco non si parla di pesci “cattivi”, ma di pesci “marci”, che non è la stessa cosa. Chiaramente il riferimento è agli uomini, non ai pesci. Un uomo può essere cattivo e poi diventare buono, mentre col termine “marcio” si intende un uomo morto. E per Gesù, ad essere morti, marci, non sono gli uomini che hanno compiuto degli errori, degli sbagli, delle mancanze nella propria esistenza, ma che hanno fatto scelte decisive e continue contro l’amore, vivendo nella logica del potere, del possesso, dell’egoismo. Siccome solo le scelte d’amore danno vita, chi fa il contrario fa una scelta di morte, diventa marcio. E chi è marcio serve solo per essere bruciato. Perché in una fornace ardente? Questa è una citazione del profeta Daniele, dove nella fornace ardente i babilonesi gettavano quelli che non adoravano il potere del loro re. Per Gesù è il contrario: diventa morto, marcio e destinato ad essere bruciato proprio chi adora il potere. Infine, anche l’espressione “alla fine del mondo” non è tradotta correttamente. Il testo greco dice: al compimento del tempo, e il compimento del tempo è il momento della morte in croce di Gesù, quando egli dice: “tutto è compiuto”, perché, sulla croce Gesù compie il disegno di Dio, mostrandoci chi è Dio e chi è l’uomo, e che chi vive come lui non morirà mai. Quindi, Gesù sta dicendo: “Se costruire il Regno di Dio è come una perla preziosa, è come trovare un tesoro, perché se vivete come vi ho insegnato, nella logica del servizio, del perdono, dell’accoglienza, della generosità, diventate veramente umani, persone vive, già adesso e per sempre, al contrario, che chi sceglie di vivere nella logica dell’egoismo, dell’avidità, del potere, è come un pesce marcio, inutile, cioè è un uomo fallito”. Al termine di queste parabole, ecco che Gesù chiede ai suoi discepoli: “Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». E noi, cosa gli rispondiamo? Le abbiamo capite queste cose sì o no? Ma se le abbiamo capite, allora bisogna farle. Come? Gesù lo spiega con l’ultima parabola, dove dice che uno scriba diventato discepolo di Gesù deve essere come un padrone di casa che dal suo tesoro toglie cose nuove e cose antiche. Gli scribi erano i maestri di Israele; le cose antiche erano gli insegnamenti di Mosè, le cose nuove, letteralmente migliori, sono gli insegnamenti di Gesù. Ecco allora cosa c’è da fare: se abbiamo capito queste cose e diventiamo davvero discepoli di Gesù, allora ognuno di noi deve guardare bene dentro di sé e buttare via senza paura tutti quei modi antichi, vecchi, sbagliati di pensare e di vivere che sono contrari alle cose migliori che ha detto Gesù. E oggi, in questa Giornata per il Seminario, e anche nella festa della dedicazione della nostra chiesa parrocchiale, questo Vangelo ci invita a guardare con gratitudine alla nostra comunità come alla casa dove il Regno di Dio prende forma visibile. Qui, attorno all’altare, impariamo ogni volta a riconoscere il tesoro del Regno, a cercarlo, a viverlo, e da qui siamo inviati nel mondo per costruirlo. Preghiamo per i nostri seminaristi, perché custodiscano con gioia la chiamata del Signore e diventino annunciatori di quel Regno che nasce dal cuore e si diffonde nella vita. E preghiamo anche perché la nostra chiesa, segno della presenza di Dio in mezzo a noi, rimanga sempre una casa viva, accogliente, dove ciascuno possa sentirsi figlio amato del Padre. Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, questo è il dono più grande: Dio si unisce a noi per compiere la nostra umanità, perché possiamo diventare sempre più simili a Lui e, insieme, continuare a costruire il suo Regno d’amore nel mondo.