domenica 25 gennaio 2015

FESTA DELLA FAMIGLIA

Ci sono episodi del Vangelo come questo dove praticamente si dice in anticipo tutto quello che avverrà dopo. Adesso lo vediamo. Ogni anno le famiglie ebree andavano in pellegrinaggio a Gerusalemme e qui si racconta quello che successe quando Gesù aveva 12 anni, che è l’anno prima dei tredici: a tredici anni un ragazzo era adulto, non più figlio dei suoi genitori, ma figlio della Parola
di Dio che aveva imparato, quindi fratello dei suoi genitori, libero, adulto e responsabile. Libero perché conosce la verità che Dio è Padre e gli altri sono fratelli, responsabile perché risponde alla Parola con la sua vita concreta e quindi adulto. Credo faccia bene sentire queste cose ai genitori che,
pur iscrivendo i figli al catechismo, in realtà poi lo snobbano come se fosse un optional e ai genitori che vogliono tenersi in casa i loro bambini ultra tredicenni, cioè cinquantenni. E poi si trattava di un pellegrinaggio, non di un viaggio turistico, e il pellegrinaggio è simbolo di quello che per un cristiano deve essere la vita, l’andare verso una meta, ed importante avere una meta, che poi è il Paradiso, altrimenti viviamo solo come vagabondi che non sanno dove andare e fanno shopping comprando di tutto tranne quel che serve veramente. Si legge poi che Gesù rimase a Gerusalemme per tre giorni, dove la traduzione esatta sarebbe: resistette, non tornò indietro, come quando trent’anni dopo a Gerusalemme Gesù resistette al male del mondo e agli insulti senza tornare indietro e rimase nel sepolcro per tre giorni. I suoi lo cercavano nella carovana senza trovarlo, come le donne il mattino di Pasqua andarono a cercarlo nel sepolcro senza trovarlo nemmeno loro, perché non si cerca tra i morti colui che è vivo. E i suoi genitori lo trovano nel tempio in mezzo ai maestri mentre ascolta, interroga e risponde con intelligenza, suscitando lo stupore di tutti, quello che poi farà sempre nei tre anni della sua predicazione narrata dai Vangeli. Lo trovano nel tempio perché è Gesù il vero tempio in cui Dio si manifesta. E questa scena del ritrovamento va intesa bene altrimenti si trasforma in una barzelletta e ci mettiamo a fare domande inutili del tipo perché non li aveva avvisati, come mai risponde malamente, ma i suoi lo avranno castigato? quando invece questa scena è costruita ad arte da Luca per dire altre cose. Anzitutto l’angoscia di Maria che credeva di averlo perso e gli chiede: perché ci hai fatto questo? Non è tanto l’angoscia di un genitore quando non trova più suo figlio, perché questo è ovvio e non c’è bisogno del vangelo per scoprirlo, ma è la normale angoscia di un genitore quando capisce che il figlio non è suo, neanche il figlio di Dio. Già da prima del concepimento uno dovrebbe capire che i figli non sono un diritto, ma un dono (infatti se non lo capisce e non riesce ad averli, siccome le tecniche lo consentono, uno se li va a fare fabbricare); poi con la nascita e col taglio del cordone ombelicale si dovrebbe capire che i figli non sono di proprietà dei genitori e che devono fare la loro strada. Tutto questo genera angoscia, ma è un’angoscia salutare e da superare per il bene del figlio, perché diventi adulto, e per il bene del genitore, perché impari a considerare anche i figli degli altri come suoi figli e fratelli. Infatti sotto la croce Maria diventerà madre anche di Giovanni, perché uno diventa genitore quando tratta tutti come suoi figli e come fratelli. E poi, col Battesimo, un genitore cristiano (forse uno non se ne rende conto) sta consegnando suo figlio a Dio, rendendolo figlio del Padre e fratello di Gesù. E questo cosa comporta? Lo dice Gesù a Maria: Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio? Lo scopo della vita di Gesù e quindi di ciascuno di noi che col Battesimo siamo diventati suoi fratelli è quello di occuparci delle cose che interessano al Padre, e al Padre interessa che noi viviamo come figli trattandoci da fratelli, ed è quello che Gesù farà per tutta la vita per insegnare anche a noi a fare lo stesso, e noi siamo qui a Messa per imparare questo, e le giornate eucaristiche che (domani, oggi) pomeriggio iniziamo diventino davvero per ciascuno l’occasione di maturare in questa consapevolezza. Perché non è facile capire queste cose, per nessuno, nemmeno per i genitori di Gesù, quindi siamo in buona compagnia. E quando non capiamo dobbiamo, come Maria, imparare a custodire queste cose e a meditarle nel cuore. E da ultimo guardiamo i versetti finali, che forse sono i più importanti.
Erano partiti da Nazaret e tornano a Nazaret dove Gesù resta per trent’anni crescendo in sapienza, età e grazia. Nazaret rappresenta la vita quotidiana. Gesù cresce nella sapienza di Dio perché le cose del Padre non è che si fanno a Gerusalemme per tre giorni e per tutto il resto dell’anno faccio le cose mie. E’ nella vita quotidiana che devo imparare a vivere da figlio che si interessa dei fratelli. Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, salvatore, diceva il profeta Isaia nella lettura. Sembra che per trent’anni Dio si nasconda a Nazaret, invece no. Gesù a Nazaret viene educato, accolto, impara ad essere amato e ad amare, a ridere, a piangere, a parlare, a giocare con i compagni, credo anche a bisticciare, è normale, e quindi la fatica del perdonare, ad essere mite e umile di cuore, a subire tutti i conflitti che abbiamo tutti, la pesantezza della vita quotidiana, la fatica, il dolore, le gioie, le attese, le delusioni, i tradimenti, come sarà poi tutta la sua vita, e tutto questo dove? In una famiglia normale. Cioè a Nazaret Gesù vive per trent’anni tutto ciò che noi viviamo nella vita. Se Lui non avesse vissuto queste cose che noi viviamo quotidianamente, non avrebbe senso la nostra vita quotidiana. Invece è proprio questa vita quotidiana il luogo dove imparare ad essere sapienti o meno, dove scegliere di vivere da figli del Padre e da fratelli degli altri, oppure come figli del diavolo. Nella quotidianità sembra che Dio si nasconda, invece questi trent’anni a Nazaret dicono che Dio non è quello della domenica o delle grandi occasioni, ma è quotidiano, feriale, è un Dio che ci insegna a far diventare grande ogni momento della vita se impariamo ad occuparci delle cose del Padre, a vivere come figli e fratelli. Come diceva la lettera agli Ebrei: Cristo si è reso in tutto simile a noi suoi fratelli
assumendo carne e sangue per redimere la nostra umanità, per insegnarci a vivere di Dio, come figli di Dio, ogni istante della nostra vita.