giovedì 2 aprile 2015

GIOVEDI' SANTO

Sarebbe bello commentare tutto il vangelo versetto per versetto, ma siccome è meglio tornare a casa prima di domattina, mi vorrei soffermare quest’anno solo sulla prima parte. Tutto il Vangelo è nato intorno alla mensa eucaristica, per capire il gesto compiuto da Gesù nell’ultima cena che sintetizza tutta la sua vita. I discepoli chiedono a Gesù dove voleva che andassero a fare Pasqua, e allora il punto è capire cos’è la Pasqua anzitutto
ebraica. Pasqua è anzitutto la liberazione dall’ingiustizia e dalla schiavitù d’Egitto per essere liberi di servire il Signore e non gli idoli. E l’idolo più grande che abbiamo è l’immagine di un Dio tremendo che sta sopra di noi, ci domina, controlla e punisce, da cui fuggire. Ecco, la croce di Gesù ci libera da questo idolo, da questa falsa immagine di Dio. Tutti immaginano un Dio al quale fare sacrifici per tenerlo buono – il che suppone che sia cattivo – e invece il Vangelo ci presenta il sacrificio di Dio all’uomo; un sacrificio che nemmeno Lui vorrebbe, ma l’uomo lo uccide e allora Lui dice: va bene, io accetto anche questo e ti amo lo stesso perdonandoti e quindi liberandoti da tutte le tue paure. Gesù manda i suoi discepoli da un tale a dirgli che avrebbe fatto la Pasqua a casa sua: da te voglio fare la Pasqua. Questo luogo non è solo fisico, il cenacolo, ma è un luogo interiore, è la mia identità, fatta di luci e di ombre, e dunque questo tale senza nome sono io, è ciascuno di noi, cioè la Pasqua accade non facendo io qualcosa per Dio, ma quando io capisco cosa fa Dio per me: Dio mi ama anche se faccio o mi faccio schifo. Uno di voi mi tradirà, uno che mangia con me, non un altro. E questo uno sono io. E mentre io lo tradisco Gesù cosa fa? Da la vita per me, ed è per questo che vuole che Giuda venga allo scoperto, per fare scoprire che non dobbiamo avere più paura e nasconderci di fronte al nostro male, perché proprio mentre noi lo facciamo lui ci perdona. Ma che Dio è questo? Davvero opposto a quello che abbiamo in mente noi, come dicevo prima, e come aveva già capito il profeta Giona che in fondo perché non voleva andare a Ninive a dire alla gente di convertirsi se no Dio li avrebbe distrutti? Perché sapeva che Dio era misericordioso e non lo avrebbe fatto, e questo non riusciva ad accettarlo, perché i cattivi sono sempre gli altri, non io, e non è giusto che Dio li perdoni, appunto perché in fondo dico che Dio è Padre, ma non accetto che la conseguenza sia che gli altri sono miei fratelli . Lo stesso motivo per cui Giuda tradisce Gesù, Pietro lo rinnega e gli altri lo abbandonano, come facciamo noi. E’ Giuda che si sente tradito, perché lui, come gli altri, sognava che Dio, attraverso Gesù, prendesse il potere e liberasse il popolo dai romani. Anche noi, fino a quando Dio realizza i nostri sogni ci va bene, se non li realizza che me ne faccio? Quindi Giuda non è un mostro, ma rappresenta molto bene il male presente in ciascuno di noi. Sono forse io? Si sono io. E’ vero che Gesù aggiunge: guai per quell’uomo, meglio per lui se non fosse mai nato, ma è una frase che va capita bene perché significa l’opposto di quel che sembra. Guai vuol dire ahimè, e ahimè vuol dire che è Gesù che sente e porta su di sé questo male. Addirittura, dopo, nell’orto, lo chiama amico, e Giuda è l’unico personaggio del vangelo che Gesù chiama così. Perché dice allora che sarebbe meglio se non fosse mai nato? Perché siccome Giuda non capisce e non accetta l’amore di Dio che perdona il suo male, siccome per lui, come per noi, il male va pagato, si suicida. Io sono dannato quando penso di essere spacciato: ho fatto un male talmente grande che Dio non potrà mai perdonarmi, e allora mi punisco io, e per vivere così è meglio non essere mai nati, e noi purtroppo continuiamo a vivere così malamente, dopo 2000, anni il rapporto con Dio. E invece Gesù ci dice: ahimè, lo sento io questo male, tu lascia perdere, sentiti amato e cambia vita, punto! Quindi anche Giuda partecipa al banchetto, con le sue mani sporche, come quelle degli altri, come le nostre. Per celebrare degnamente i santi misteri riconosciamo i nostri peccati. Noi celebriamo degnamente la Messa se
riconosciamo di avere le mani sporche, non le mani pulite. Ci sono cristiani che venendo a messa si sentono migliori degli altri e ci sono quelli che non vengono perché si sentono migliori di quelli che ci vanno. Sbagliano tutti a ragionare così, perché se uno si sente già a posto, non avverte nemmeno il bisogno di un Dio che lo salvi, e così non faremo mai Pasqua, perché siamo già sazi, come diceva san Paolo ai Corinti, le cui parole erano ancora più dure per quelli che partecipavano all’eucaristia con questo spirito, e infatti dice loro: meglio che ve ne stiate a casa. Qui veniamo per ricevere un dono, non per un dovere. E il dono qual è? Che siccome noi diventiamo quello che mangiamo, se mangiamo Gesù diventiamo man mano come lui, capaci di vivere tutta la vita come un dono d’amore che ci è stato dato gratis e che dobbiamo ridonare gratis come dono d’amore per gli altri, per tutti, diventando pane che si spezza e vino che si versa per tutti, come ha fatto Gesù, e questo è lo scopo dell’eucaristia, il motivo per cui veniamo a Messa e il senso della vita cristiana. Il pane rappresenta tutto quello che noi siamo, la nostra vita, nel bene e nel male. Identificando il suo corpo col pane che si spezza, vuole che ci nutriamo del suo amore per vivere anche noi di questo amore, così come siamo, diventando come Lui, diventando come Dio, pane che si spezza per gli altri. Il vino invece rappresenta la pienezza della vita, la gioia, che esiste quando ci sentiamo amati e amiamo. Gesù identifica il vino col suo sangue che verserà sulla croce, perché il sangue è vita, senza sangue si muore, e infatti Gesù muore, ma lo dà da bere a noi, cioè ci dà da bere il suo Spirito che è l’amore del Padre e del Figlio, e ce lo dà da bere mentre noi lo uccidiamo, per dire che il suo amore è più grande di tutto il nostro male. E aggiunge: io non lo berrò più fino a quando lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio. Saremmo contenti noi se metà della nostra famiglia fosse trucidata o non sapessimo dov’è? Se il vino rappresenta la gioia, la gioia di Gesù è quando tutti vivremo sentendoci figli di un unico Padre e amandoci come fratelli, e allora sarà il Regno di Dio. Fino ad allora infatti Gesù continua a restare crocifisso identificandosi con ciascuno di noi e con tutti i maledetti del mondo, e da qui nasce la nostra missione. “Messa” vuol dire anche missione, essere mandati, inviati. La Messa ci manda verso i fratelli più lontani, perché quelli sono il Nostro Signore, amati infinitamente da Lui, e andiamo da loro non per proselitismo, ma perché sono Lui: “Ogni volta che l’avete fatto ad uno di questi, l’avete fatto a me”.