venerdì 26 agosto 2016

Riflessioni sul terremoto

Di fronte alla tragedia del terremoto che ha colpito il Lazio e le Marche, vi offro due riflessioni interessanti, una teologica e una politica. 


IL DRAMMA DEL CENTRO ITALIA (di Vito Mancuso) 

Di fronte alla tragedia del terremoto che purtroppo questa notte ha colpito il centro Italia, riporto queste riflessioni scritte il 12 marzo 2011 per orientare la mente di fronte alla catastrofe naturale che allora colpì il Giappone poi pubblicate anche in una pagina del"Principio passione". Il nostro dramma non è paragonabile per entità e numero di vittime a quello giapponenese, ma la dinamica dell'evento è del tutto identica. Attualizzando ad oggi ecco quello che scrissi: 1) Quello che è avvenuto questa notte non è qualitativamente diverso da quanto avviene ogni giorno, quando, per esempio, viene al mondo un bambino con una malattia genetica. Certo, le forze in gioco sono quantitativamente incommensurabili, tuttavia il terremoto che si abbatte su quella giovane vita e sui suoi genitori è qualitativamente il medesimo di un terremoto devastante. In entrambi i casi è la vittoria del caos, del disordine, del disequilibrio. 2) Quello che è avvenuto questa notte e sta avvenendo oggi con la messa in moto a livello nazionale ed europeo della macchina degli aiuti non è qualitativamente diverso da quanto avviene ogni giorno, quando i genitori e i parenti di un bambino nato con una grave malattia genetica si prendono amorevolmente cura di lui, e con loro la società nelle sue diverse forme, medici e infermieri, scuola e assistenti sociali, amici e associazioni. In entrambi i casi è la vittoria del logos, dell’ordine, dell’equilibrio. 3) Così la nostra vita procede tra caos e logos, tra disordine e ordine, tra entropia e neghentropia. Esiodo nella Teogonia scrive: “Primo fu Caos”; Giovanni nel Quarto Vangelo scrive: “In principio era il Logos”. Chi ha ragione? Entrambi. Se ci fosse solo caos, la vita non sarebbe sorta, saremmo ancora ai gas primordiali dell’inizio, idrogeno ed elio e nulla più, anzi forse neppure idrogeno ed elio perché anche loro per esserci vincono il caos con la loro struttura logica di nucleo + elettroni; e se ci fosse solo caos, nessuno di fronte al terremoto-tsunami si metterebbe in gioco per aiutare gli altri. Ma se ci fosse solo logos, la vita sarebbe diversa: nessuna catastrofe, nessuna malattia genetica, nessuno scatenarsi di forze senza volto, le forze caotiche della natura sarebbero sempre domate da una signoria più potente. 4) Caos + logos, invece, si danno insieme, ogni manifestazione della vita è una miscela di queste due dimensioni, con il prevalere ora di una, ora dell’altra. Il loro incontro produce la vera, ultima dimensione della realtà, cioè la passione e il lavoro che essa richiede. Goethe ha visto bene quando nel Faust scelse di tradurre il greco del Quarto Vangelo, En arché en ho lógos, con “Im Anfang war die Tat”, “In principio era l’Azione”. L’azione, il dramma, è esattamente ciò che scaturisce dall’incontro tra logos e caos. Se prevalesse solo una delle due dimensioni, non ci sarebbe azione. 5) Se il caos fosse la dimensione ultima alla quale consegnare la nostra più preziosa energia, nessuno sentirebbe l’impulso ad arginarlo, a vincerlo, a domarlo mediante il logos. L’azione, cioè la lotta del logos contro il caos, a mio avviso dimostra che il nostro orizzonte finale è il logos, ovvero l’armonia e il bene. Tutta l’impresa umana nella sua più alta significatività è lotta contro il caos, è, esattamente in linea con quanto scrive Esiodo, “teogonia”, cioè generazione del divino, nascita della divina armonia dentro di noi per immetterla, così come riusciamo, anche fuori di noi, soprattutto quando ce n’è un estremo bisogno come in queste ore nel centro Italia. 
Vito Mancuso 

ORA NON CI RESTA CHE ASPETTARE IL PROSSIMO DISASTRO (di Vittorio Feltri) 

 I terremoti non sono una rarità nel nostro Paese geologicamente giovane. Lungo la dorsale appenninica, che attraversa la Penisola, se ne registrano in media un paio ogni quattro anni. Siamo purtroppo abituati alle scosse, ai crolli, alle stragi di poveracci rimasti intrappolati sotto le macerie. Dopo le tragedie va in scena il solito doloroso copione: soccorsi tardivi, difficoltà sanitarie, proteste, gente senza tetto e costretta a vivere in tende eccetera. Poi la ricostruzione lenta, soldi che mancano o che arrivano col contagocce. Le calamità naturali sono inevitabili e non si possono prevedere. Gli esperti fanno quello che possono: i loro rapporti più che profezie scientifiche sono oroscopi. Non è un caso che i sismologi impegnati a tranquillizzare gli aquilani vennero addirittura condannati in primo grado e poi assolti. A un tecnico si può chiedere tutto tranne che un vaticinio. Quando in Italia accade una disgrazia, il primo impulso dei cittadini porta alla ricerca di un colpevole purchessia, convinti come essi sono che ce ne sia per forza uno, sia in caso di disastrosi movimenti tellurici sia di alluvioni, frane e smottamenti. Dato che un colpevole non si trova se non nell' alto dei cieli, dopo un po' la memoria collettiva si oscura e le sciagure si dimenticano fino alla prossima. Che arriva sempre. In effetti è arrivata puntuale come il destino e ha raso al suolo un paio di regioni, Umbria e Marche. E qui siamo al punto. Possibile che una nazione a rischio sismico periodico non sia capace non diciamo di prevenire i terremoti, ma neppure di difendersi dalle loro conseguenze? Questo è un mistero. Dopo la distruzione del Friuli negli anni Settanta e dell' Irpinia negli Ottanta, il governo si era impegnato a rendere obbligatoria la costruzione di edifici antisismici. Qualche legge in proposito fu approvata. Ma siamo sicuri che sia stata osservata scrupolosamente? Non direi, se si considera che le case colpite dal sisma (o sismo) crollano sempre quali castelli di carte, vecchie o recenti che siano. Qualcosa evidentemente non va. Il Giappone, che di terre ballerine si intende parecchio, chissà perché pur subendo scosse frequenti si è talmente attrezzato che l' indomani di qualsiasi terremoto conta i danni ma non i morti. Perché i nipponici si salvano e i nostri compatrioti sinistrati crepano in grande quantità? Semplice. Essi costruiscono meglio. Le case in quelle zone orientali, per esempio, sono di legno e non cascano in testa a chi le abita. Magari si rovinano, si incrinano, alcune travi si spezzano ma non spezzano il cranio agli inquilini. Per quale motivo non imitiamo i giapponesi nell' edilizia come loro imitano noi nella moda, per dirne una? Incomprensibile. Ieri in un comune si è sbriciolata una scuola teoricamente costruita con criteri antisismici. Come si spiega? Semplice. L' impresa che l' ha realizzata lo ha fatto infischiandosene delle regole di sicurezza. E nessuno lo ha verificato. La nostra imponente burocrazia controlla tutto tranne le cose importanti, e ci va di mezzo l' ignaro cittadino. Quanto alla politica, si occupa soltanto delle prossime elezioni e non del prossimo immancabile sisma assassino. Cosicché il Paese è puntualmente impreparato ad affrontare le emergenze. Siamo certi che vi sarà, presto o tardi, ancora un terremoto e noi saremo ancora qui a fare gli stessi discorsi al vento. Ai governi preme assicurarsi la permanenza nel Palazzo, il loro, che ahimè è troppo solido per andare in mille pezzi seppellendoli, e non ha tempo né voglia per occuparsi delle nostre stamberghe.