Tutte le letture di questa domenica parlano di Geru
salemme, e non è la prima volta in queste ultime
settimane. Sapete che le prime letture di questo te
mpo dopo Pentecoste ci fanno ripercorrere le tappe
principali della storia di Israele come vengono rac
contate dai libri dell’AT, e il vangelo e la letter
a di Paolo
sono scelti in riferimento ad esse. Domenica scorsa
, se ricordate, si parlava di quando i
Babilonesi
distrussero Gerusalemme e gli ebrei furono deportat
i in esilio a Babilonia. Nella lettura di oggi siam
o al
tempo della ricostruzione, dopo il ritorno dall’esi
lio. In questo tempo poterono contare sulla guida d
i Esdra
e Neemia. Esdra era un maestro della legge e si occ
upò di aiutare il popolo a recuperare la sua fede i
n Dio, e
la sua vita è raccontata nel libro di Esdra. Neemia
, invece, il protagonista della lettura di questa d
omenica,
era un ebreo deportato a Babilonia che in gioventù
fu nominato coppiere del re Artaserse, successore d
i
Ciro. Alla notizia delle disperate condizioni di Ge
rusalemme, come abbiamo letto nel brano di oggi che
è
proprio l’inizio del libro di Neemia, si rattristò
grandemente, e il re gli diede il permesso di recar
si a
Gerusalemme come governatore per ricostruire la cit
tà, le sue mura, la vita civile ed economica. E cos
ì
iniziò la costruzione di un nuovo fantastico tempio
i cui lavori terminarono poco prima della nascita
di Gesù.
Ed è proprio all’interno di questo nuovo tempio che
si svolge la scena evangelica di oggi, come quella
di
domenica scorsa. Poi sappiamo che nel 70 dopo Crist
o i romani distrussero nuovamente la città e il suo
nuovo tempio e iniziò la diaspora ebraica durata fi
no alla seconda guerra mondiale. A tutt’oggi gli eb
rei
pregano al muro del pianto, quel che è rimasto a Ge
rusalemme del tempio distrutto dai romani. E ancora
oggi Gerusalemme è forse la città di cui parlano di
più i giornali e i telegiornali, purtroppo non per
raccontare belle cose, ma scenari di guerra. E pens
are che il significato del nome Gerusalemme è città
della
pace. E’ per questo che diventa un simbolo per tutt
i. Sentite cosa scriveva il cardinal Martini in una
delle
ultime interviste quando ancora abitava a Gerusalem
me. “A Gerusalemme Dio tocca il mondo. Ancor oggi,
ebrei, cristiani e musulmani lottano per questo luo
go al quale Dio è così vicino. Ma la vicinanza di D
io
chiama in causa il diavolo, l’avversario, colui che
porta scompiglio, e per questo Gerusalemme è la ci
ttà del
conflitto. Qui si concentra la discordia del mondo
intero, ma anche la speranza. Il messaggio di
Gerusalemme descrive la nostra realtà. È successo d
i tutto a Gerusalemme, nel bene e nel male, eppure
lì
Gesù ha dato la sua vita per noi vincendo il peccat
o e la morte. E allora il messaggio di questa città
è che la
luce è comunque più forte dell’oscurità. E così la
Gerusalemme celeste rappresenta il nostro futuro e
immerge nella luce della speranza tutte le difficol
tà che incontriamo nel cammino della vita e della f
ede.
Per questo Gerusalemme è la mia patria, prima della
patria eterna”. Ecco, io credo che siano parole
illuminanti che ci toccano da vicino: le vicende di
Gerusalemme raccontano le vicende dell’umanità e d
ella
vita di ciascuno di noi. A Gerusalemme è sempre tut
to un ricominciare. Chi ha vissuto dal vivo la guer
ra sa
cosa vuol dire ricominciare tutto daccapo. Anche co
loro che sono lontani dalla loro patria e vi ritorn
ano, o
un prigioniero che viene rimesso in libertà. O chi
si vede distrutto il proprio paese e la propria ter
ra da
sciagure naturali o dalla cattiveria di altri uomin
i, o dalla guerra, ed emigrano per iniziare una nuo
va vita.
Penso anche a coloro che vivono esperienze di malat
tia, di morte, di abbandono, alle tante famiglie in
crisi
perché uno dei coniugi se ne è andato, e chi più ne
ha più ne metta. Tutti ci siamo ritrovati o ci rit
roviamo
spesso col sedere per terra e dobbiamo ricominciare
. Però, come scriveva il cardinal Martini, sappiamo
, ed
ecco la bella notizia di oggi, che a Gerusalemme il
cielo ha toccato la terra, Dio ha dato la sua vita
per
l’uomo. E questo ci riguarda eccome perché diventa
la forza che ci permette di non perdere mai la
speranza. La ricostruzione deve avvenire anzitutto
dentro di noi, è ciascuno di noi ad avere bisogno
continuamente di essere ricostruito da Dio, perché
le devastazioni accadono quando ci allontaniamo dal
Signore e dalla sua Parola, e questa ricostruzione
interiore deve avere almeno due caratteristiche, qu
elle
descritte oggi dal vangelo e da san Paolo nell’epis
tola. Gesù che caccia i venditori dal tempio compie
in
realtà un gesto di purificazione contro le ingiusti
zie, le ambizioni, le ipocrisie che si svolgevano n
el tempio.
In compenso si mise a guarire ciechi e storpi. E sa
n Paolo che lontano da Gerusalemme si preoccupa dei
poveri di quella città e invita i romani a compiere
una colletta per loro. Cosa ci dice tutto questo?
Che per
ricostruire occorre purificare il mio tempio, il mi
o cuore, da tutto ciò che è in contrasto con lo Spi
rito di Dio
che è in me e che genera il male causa di distruzio
ne. E che per ricostruire occorre al contrario un
atteggiamento interiore di capacità di accoglienza,
di solidarietà, di perdono, insomma di carità che
è frutto
appunto dell’azione dello Spirito. Preghiamo perché
sia così in particolare per ciascuno di noi, di no
i
cristiani, perché se non siamo noi ad essere portat
ori di questa speranza, chi deve esserlo, a che ser
ve la
nostra fede? Ma perché così sia occorre che imparia
mo a prendere coscienza di tutto questo, che davver
o
in Gesù il cielo ha toccato la terra perché la terr
a possa diventare divina.