domenica 11 settembre 2016

II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO ANNO C

Interessante questa parabola di Gesù che può andar bene anche per i nostri amici che lunedì cominciano la scuola. Gesù racconta di questo padre che ha due figli e di ce loro di andare a lavorare nella sua vigna. Il pr imo gli dice di no e poi ci va. Il secondo di dici di si e poi non ci va . Come gli scolari quando la maestra, il professore o la mamma gli dicono di fare i compiti. C'è chi dice “no non
ho v oglia” e poi li fa e c'è chi dice subito di sì e po i non li fa. Questo discorso vale anche per tantissime altre cose. “Vai a messa”, “No non c'ho voglia” e poi ci vado. “Vai a messa”, “Sì subito”, poi dopo vado a messa e sto lì a chiacchie rare, oppure vado in giro con gli amici, come chi p er esempio bigia la scuola. Cosa vuole insegnare Gesù? Che nessuno h a voglia di fare i compiti o di andare a messa? Anc he, ma più in generale che nessuno ha voglia di fare le cose gius te, perché fare le cose giuste è difficile e noi pr eferiamo quelle facili perché siamo tutti peccatori, deboli, fragil i. Però ci sono due categorie di persone. Chi lo ri conosce di essere peccatore e chi no. No, non ho voglia di fare i com piti perché è pesante e preferisco giocare. Bene, d ice Gesù, uno così è sulla buona strada, perché può ravvedersi, c apire che studiare è importante, e riuscire a vince re la pigrizia. C’è chi, invece, dice di si, che fa i compiti, ma non p erché ha capito che è importante studiare, ma solo per il senso del dovere, o per paura di essere bocciato, o che la ma mma lo castighi, o per far bella figura, per far ve dere che lui si è bravo, non come gli altri. Così va a finire che li copia da internet e non impara niente, come se non li avesse fatti. Gesù vuol far capire che non dobbiamo vergognarci d ei nostri limiti, del fatto che siamo peccatori, ch e non riusciamo a fare le cose giuste. Che non dobbiamo farle per p aura di essere puniti se non le facciamo, pensando che se no Dio ci castiga, o per farci vedere belli davanti agli a ltri, perché poi va a finire che non le facciamo lo stesso, salviamo solo l’apparenza. Sono i peccatori che riconoscono di es serlo a salvarsi, perché per lo meno gridano aiuto. Come uno che sta male, se dice di star bene, non va dal dottore e poi muore. Ecco perché, dice, i pubblicani e le p rostitute vi passeranno davanti, e lo dice a quelli che si crede vano giusti per salvare le apparenze, che facevano le cose giuste non per amore, ma per paura. Voi, dice Gesù, siete peccatori come i pubblicani e le prostitute, ma men tre loro lo ammettono e si salvano perché capiscono che sono su una strada sbagliata, voi invece verrete dopo, si, vi salverete lo stesso perché Dio è buono, ma avrete vissuto mal e tutta la vita. Lo spiega molto bene il profeta Is aia. Quali sono i compiti, i frutti, le cose giuste che Dio vuole che facciamo, ma non perché se non le facciamo lui ci punisce, ma perché se non le facciamo viviamo male noi? Sono i frutti dell’amore. Non bisogna amare per dovere o p er far vedere che siamo bravi, ma perché se vogliamo esser e felici abbiamo bisogno di essere amati e di amare , non c’è altra strada. Solo che non abbiamo voglia, perché è faticoso, non ce la facciamo. Noi vorremmo che tut ti ci amassero anche quando siamo cattivi, poi però non abbiamo vo glia di amare gli altri quando gli altri ci fanno d el male, ma allora così facendo, siccome siamo tutti bravi a fa rci del male, e nessuno vuol fare del bene a chi gl i fa del male, ci ammazziamo tutti. Poi c’è qualcuno che dice: no, è meglio che faccia il bravo, ma non perché ha capito che ne val la pena, ma per paura che Dio lo castighi, e poi alla fine deve arrendersi perché si accorge che anche lu i è un peccatore come tutti che non ce la fa. Ma per poter guarire, deve ammettere di esserlo. Questo è il primo passo: ammettere che da solo non ce la faccio. Il secondo passo ce l o spiega Isaia nella bellissima lettura di oggi. Is aia paragona Dio a un vignaiolo che dedica tutto il suo tempo a curare e rendere bella la sua vigna, che sono io, sperando c he io produca dell'ottima uva. Dall’uva si fa il vino che è simbo lo di gioia. Cosa vuol dire? Che dall’amore nasce l a gioia, e infatti tutti siamo davvero felici quando ci sentiamo amati . Dio mi ama per farmi essere contento. Se non mi a masse nessuno, c'è Dio che mi ama. E infatti nell'eucaris tia mi fa bere il suo vino che è diventato il suo s angue, la sua vita. Dio mi riempie del suo sangue perché io abbia la fo rza di donarlo agli altri, se no non ce la faccio. Ecco il secondo passo per guarire: capire che Dio ama me così come sono, peccatore, e così io posso allora produrre i frutti dell’amore amando gli altri così come accettandoli così come sono. Infatti, prosegue Isaia, Dio si asp ettava che il suo amore per la vigna producesse frutti di amore, e in vece si ritrova con persone che opprimono gli altri , che sfruttano, che mentono nei tribunali, però si fanno tutti bell i sentendosi a posto perché fanno le processioni e vanno nel tempio a pregare. Non capiscono che Dio li ama, pen sano che Dio è lì pronto a punirli, e allora fanno i bravi o per non essere puniti, e poi non ce la fanno lo stesso, opp ure cercano di fare alcune cose per tenere buono Di o, come i Galati a cui san Paolo scrive le parole che abbiamo letto prima. Siccome i Galati erano ebrei che si erano co nvertiti al cristianesimo, pensavano che Dio li salvava se si f acevano circoncidere. Come noi che pensiamo che, si ccome siamo battezzati, facciamo lo sforzo di venire a Messa, c i confessiamo, diciamo tante preghiere e tanti rosa ri, allora Dio è contento e non ci punisce. E no, dice Paolo. Dio no n vuole prestazioni, non ci ama perché siamo bravi, vuole che riconosciamo che tutti abbiamo bisogno del suo amor e, perché siamo tutti peccatori, perché senza il su o amore non portiamo frutto, e lui ci dimostra il suo amore giu stificando tutti, anche se non abbiamo fatto i comp iti o li abbiamo fatti male. Se capisco questa cosa, se capisco che Dio mi ama lo stesso per come sono, allora non facc io le cose per dovere, ma per amore: mi sento amato da Dio, amo me stesso perché non mi sento più una schifezza, e co sì imparo ad amare il prossimo come me stesso, cioè come Dio ama me. Per cui vengo a Messa o faccio i compiti no n per mettermi a posto la coscienza così Dio è contento e dice “ma va che bravo, adesso lo premio perché ha fatto il compito”. No, vengo a Messa perché riconosco di ess ere peccatore, di non essere degno, perché ho fame d'amore e ho bisogno di nutrirmi del suo amore, per poter cos ì uscire di qui diverso da come sono entrato.