Interessante questa parabola di Gesù che può andar
bene anche per i nostri amici che lunedì cominciano
la scuola.
Gesù racconta di questo padre che ha due figli e di
ce loro di andare a lavorare nella sua vigna. Il pr
imo gli dice di no e
poi ci va. Il secondo di dici di si e poi non ci va
. Come gli scolari quando la maestra, il professore
o la mamma gli
dicono di fare i compiti. C'è chi dice “no non
ho v
oglia” e poi li fa e c'è chi dice subito di sì e po
i non li fa. Questo
discorso vale anche per tantissime altre cose. “Vai
a messa”, “No non c'ho voglia” e poi ci vado. “Vai
a messa”, “Sì
subito”, poi dopo vado a messa e sto lì a chiacchie
rare, oppure vado in giro con gli amici, come chi p
er esempio bigia
la scuola. Cosa vuole insegnare Gesù? Che nessuno h
a voglia di fare i compiti o di andare a messa? Anc
he, ma più in
generale che nessuno ha voglia di fare le cose gius
te, perché fare le cose giuste è difficile e noi pr
eferiamo quelle
facili perché siamo tutti peccatori, deboli, fragil
i. Però ci sono due categorie di persone. Chi lo ri
conosce di essere
peccatore e chi no. No, non ho voglia di fare i com
piti perché è pesante e preferisco giocare. Bene, d
ice Gesù, uno
così è sulla buona strada, perché può ravvedersi, c
apire che studiare è importante, e riuscire a vince
re la pigrizia. C’è
chi, invece, dice di si, che fa i compiti, ma non p
erché ha capito che è importante studiare, ma solo
per il senso del
dovere, o per paura di essere bocciato, o che la ma
mma lo castighi, o per far bella figura, per far ve
dere che lui si è
bravo, non come gli altri. Così va a finire che li
copia da internet e non impara niente, come se non
li avesse fatti.
Gesù vuol far capire che non dobbiamo vergognarci d
ei nostri limiti, del fatto che siamo peccatori, ch
e non riusciamo
a fare le cose giuste. Che non dobbiamo farle per p
aura di essere puniti se non le facciamo, pensando
che se no Dio
ci castiga, o per farci vedere belli davanti agli a
ltri, perché poi va a finire che non le facciamo lo
stesso, salviamo solo
l’apparenza. Sono i peccatori che riconoscono di es
serlo a salvarsi, perché per lo meno gridano aiuto.
Come uno che
sta male, se dice di star bene, non va dal dottore
e poi muore. Ecco perché, dice, i pubblicani e le p
rostitute vi
passeranno davanti, e lo dice a quelli che si crede
vano giusti per salvare le apparenze, che facevano
le cose giuste
non per amore, ma per paura. Voi, dice Gesù, siete
peccatori come i pubblicani e le prostitute, ma men
tre loro lo
ammettono e si salvano perché capiscono che sono su
una strada sbagliata, voi invece verrete dopo, si,
vi salverete
lo stesso perché Dio è buono, ma avrete vissuto mal
e tutta la vita. Lo spiega molto bene il profeta Is
aia. Quali sono i
compiti, i frutti, le cose giuste che Dio vuole che
facciamo, ma non perché se non le facciamo lui ci
punisce, ma
perché se non le facciamo viviamo male noi? Sono i
frutti dell’amore. Non bisogna amare per dovere o p
er far
vedere che siamo bravi, ma perché se vogliamo esser
e felici abbiamo bisogno di essere amati e di amare
, non c’è
altra strada. Solo che non abbiamo voglia, perché è
faticoso, non ce la facciamo. Noi vorremmo che tut
ti ci amassero
anche quando siamo cattivi, poi però non abbiamo vo
glia di amare gli altri quando gli altri ci fanno d
el male, ma
allora così facendo, siccome siamo tutti bravi a fa
rci del male, e nessuno vuol fare del bene a chi gl
i fa del male, ci
ammazziamo tutti. Poi c’è qualcuno che dice: no, è
meglio che faccia il bravo, ma non perché ha capito
che ne val la
pena, ma per paura che Dio lo castighi, e poi alla
fine deve arrendersi perché si accorge che anche lu
i è un peccatore
come tutti che non ce la fa. Ma per poter guarire,
deve ammettere di esserlo. Questo è il primo passo:
ammettere
che da solo non ce la faccio. Il secondo passo ce l
o spiega Isaia nella bellissima lettura di oggi. Is
aia paragona Dio a un
vignaiolo che dedica tutto il suo tempo a curare e
rendere bella la sua vigna, che sono io, sperando c
he io produca
dell'ottima uva. Dall’uva si fa il vino che è simbo
lo di gioia. Cosa vuol dire? Che dall’amore nasce l
a gioia, e infatti
tutti siamo davvero felici quando ci sentiamo amati
. Dio mi ama per farmi essere contento. Se non mi a
masse
nessuno, c'è Dio che mi ama. E infatti nell'eucaris
tia mi fa bere il suo vino che è diventato il suo s
angue, la sua vita.
Dio mi riempie del suo sangue perché io abbia la fo
rza di donarlo agli altri, se no non ce la faccio.
Ecco il secondo
passo per guarire: capire che Dio ama me così come
sono, peccatore, e così io posso allora produrre i
frutti
dell’amore amando gli altri così come accettandoli
così come sono. Infatti, prosegue Isaia, Dio si asp
ettava che il suo
amore per la vigna producesse frutti di amore, e in
vece si ritrova con persone che opprimono gli altri
, che sfruttano,
che mentono nei tribunali, però si fanno tutti bell
i sentendosi a posto perché fanno le processioni e
vanno nel
tempio a pregare. Non capiscono che Dio li ama, pen
sano che Dio è lì pronto a punirli, e allora fanno
i bravi o per non
essere puniti, e poi non ce la fanno lo stesso, opp
ure cercano di fare alcune cose per tenere buono Di
o, come i Galati
a cui san Paolo scrive le parole che abbiamo letto
prima. Siccome i Galati erano ebrei che si erano co
nvertiti al
cristianesimo, pensavano che Dio li salvava se si f
acevano circoncidere. Come noi che pensiamo che, si
ccome siamo
battezzati, facciamo lo sforzo di venire a Messa, c
i confessiamo, diciamo tante preghiere e tanti rosa
ri, allora Dio è
contento e non ci punisce. E no, dice Paolo. Dio no
n vuole prestazioni, non ci ama perché siamo bravi,
vuole che
riconosciamo che tutti abbiamo bisogno del suo amor
e, perché siamo tutti peccatori, perché senza il su
o amore non
portiamo frutto, e lui ci dimostra il suo amore giu
stificando tutti, anche se non abbiamo fatto i comp
iti o li abbiamo
fatti male. Se capisco questa cosa, se capisco che
Dio mi ama lo stesso per come sono, allora non facc
io le cose per
dovere, ma per amore: mi sento amato da Dio, amo me
stesso perché non mi sento più una schifezza, e co
sì imparo
ad amare il prossimo come me stesso, cioè come Dio
ama me. Per cui vengo a Messa o faccio i compiti no
n per
mettermi a posto la coscienza così Dio è contento e
dice “ma va che bravo, adesso lo premio perché ha
fatto il
compito”. No, vengo a Messa perché riconosco di ess
ere peccatore, di non essere degno, perché ho fame
d'amore e
ho bisogno di nutrirmi del suo amore, per poter cos
ì uscire di qui diverso da come sono entrato.