domenica 27 agosto 2017

DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO

La parola martire, lo sappiamo, significa testimone. Martire è uno che è disposto anche ad essere ucciso piuttosto che rinnegare ciò in cui crede. Facciamo un esempio che ci auguriamo ovviamente che non si verifichi mai. Mettiamo che in chiesa entri adesso uno dell’ISIS, chiudesse le porte, impedisse qualsiasi forma di comunicazione con l’esterno e dicesse: chi si converte all’Islam ha salva
la pelle, chi non rinnega la sua fede cristiana verrà ucciso all’istante. Io per primo non so come reagirei. Sappiamo però dalla storia non solo recente, ma anche passata, di quanti cristiani sono morti appunto martiri. Ma martiri, cioè testimoni, di chi? Di un Dio, quello rivelato da Gesù, per il quale ogni uomo è sacro, è tempio della sua presenza, per cui Dio lo si onora amando i fratelli, non uccidendoli. Questo non vuol dire che io non debba trovare i modi per difendermi: porgere l’altra guancia significa non rispondere al male con dell’altro male. Mentre per uno dell’Isis, cercare la propria morte uccidendo esseri umani considerati non fratelli, ma infedeli, significa essere martire, testimone, ma di quale Dio? Di un Dio paragonabile ad Hitler, un Dio cioè che vuole tutti sottomessi e non vuole il bene dei suoi figli, un Dio egoista, terribile e osceno, proiezione estrema dei peggiori deliri di onnipotenza di un uomo, un Dio dal quale bisognerebbe fuggire a gambe levate, e infatti fatico a capire come molta gente riesca a farsi fare un tale lavaggio del cervello da convertirsi a un Dio così, che poi per fortuna, a detta degli altri musulmani, non è il Dio in cui dicono di credere loro. Meno male. Quindi martiri va bene, ma dipende martiri di chi e di che cosa? In questa domenica si parla di martirio perché tra qualche giorno è la festa del martirio di san Giovanni Battista, e nel nostro rito ambrosiano questa festa segna un passaggio nel tempo liturgico. Oggi comunque non è il Battista al centro delle letture, ma i martiri di cui parlava il libro dei Maccabei. Ed è interessante perché presenta una situazione simile all’esempio che facevo prima. A quel tempo, cioè prima che arrivassero i romani a conquistare la Palestina, c’era Antioco Epifane che regnava in Grecia, e la Grecia dominava la Palestina, e cosa volevano i greci? Lo abbiamo letto: che tutti gli ebrei abbandonassero la loro fede e le proprie usanze per adeguarsi a quelle dei greci. Vedete come spesso purtroppo la storia si ripete? Allora vi furono molti uomini che erano fuggiti nel deserto disubbidendo agli ordini del re per non rinnegare la loro fede, e quando i soldati li raggiunsero dissero loro un po’ le stesse cose che dicevo all’inizio: se ubbidite agli ordini del re avrete salva la vita, altrimenti no. Ed essi cosa fecero? Invece di difendersi e di combattere, si fecero ammazzare, quindi morirono martiri, testimoniando la loro fede. Bene. Ma rileggiamo il motivo per cui non combatterono: perché era giorno di sabato, e il sabato è il giorno del riposo, in cui la legge, il terzo comandamento, proibisce qualunque lavoro, anche il minimo, figuriamoci combattere. Cosa vuol dire? Che se fosse stato un altro giorno andava bene. No, la legge dice che di sabato non si lavora, e quindi io piuttosto che trasgredire questa legge mi faccio ammazzare, altrimenti poi è Dio che mi punisce. Vedete anche qui che idea perversa di Dio? Come se io dicessi, e ahimè capita, qui in chiesa davanti al Signore faccio il bravo e do la mano anche a quello lì che mi sta sulle scatole, ma appena esco lo sistemo io per le feste. Come quelli dell’Isis che, in teoria, durante il ramadan non ammazzano nessuno. Davvero, come diceva san Paolo nel brano agli Efesini, la nostra battaglia è contro i dominatori di questo mondo tenebroso, perché sono davvero le tenebre a offuscare la mente delle persone, ma non parlo degli altri, parlo di me, di noi quando trasformiamo la fede in una ideologia. Da queste tenebre è davvero la spada della Parola di Gesù a salvarci, perché Gesù ha fatto vedere che Dio lo si onora non ubbidendo alle sue leggi, ma ricevendo il suo amore che ci permette di imparare ad assomigliargli. Dio è alleato della mia gioia, Dio è colui che potenzia col suo amore le energie migliori che ci sono dentro di me. A Dio non interessa essere adorato, non è un narcisista. L’adorazione, anche eucaristica, serve non a lui, ma a me, per nutrirmi del suo amore. E’ il senso della frase pronunciata nel tempio da Gesù: restituite a Dio quel che è di Dio, cioè l’uomo, il suo bene. Non siate ipocriti. Ipocriti perché? Avevano preparato per Gesù una trappola per incastrarlo. Chi? Ovviamente i capi del popolo, perché era un personaggio troppo scomodo, e dovevano trovare il modo di fargli fare una brutta figura in mezzo alla gente per screditarlo, e sarà Gesù invece a screditarli. Ma dicendogli “sappiamo che tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno”, si screditarono con le loro mani. Infatti, Gesù non guarda in faccia a nessuno perché il suo unico interesse è il bene dell’uomo, il loro invece era il prestigio, in nome di Dio, questa è la bestemmia. Si trovano nel tempio e chiedono a Gesù se è lecito, cioè secondo la legge, pagare il tributo, le tasse, a Cesare, a Roma. Se avesse risposto si andava contro la legge per la quale bisogna riconoscere Dio come unico Signore, se avesse risposto no lo avrebbero accusato di essere un sovversivo e lo avrebbero consegnato come ribelle ai romani. Ma Gesù, conoscendo il mondo tenebroso e maligno da cui era ottenebrata la loro mente, li incastra nella loro ipocrisia, mostrando che per essi Dio e la sua legge erano solo un paravento per giustificare i loro interessi e il loro potere a scapito della gente, non in favore della gente. Infatti nel tempio era un sacrilegio entrare con il denaro dei pagani perché su quei soldi c’era impressa l’immagine dell’imperatore ritratto come se fosse Dio. Gesù dice loro: portatemi un denaro, voglio vederlo. E loro,
senza pensarci due volte, “gli presentarono un denaro”. Interessante: Gesù non lo aveva, loro si, proprio loro, i fanatici adoratori dell’unico Dio, tradizionalisti che osservavano tutte le leggi e i precetti, proprio loro le trasgrediscono nel tempio? E così, siccome la moneta l’avevano, cosa dimostrano? Che il loro vero Dio era il denaro. E Gesù di rimando: se tenete questa moneta vuol dire che siete complici di questa oppressione contro la quale vorreste che il Messia vi liberasse. E allora se Cesare non vi piace restituitegli quello che è suo, non fate gli ipocriti. Se ve la tenete (la moneta), pagate le tasse. Ma soprattutto restituite a Dio quel che è di Dio. Di Dio sono gli uomini. Per i farisei che amavano il potere, gli uomini appartenevano a loro (e anche noi rischiamo di vivere così i rapporti con gli altri, non nella dimensione del servizio, ma del potere, dicendo poi che onoriamo Dio con le pratiche religiose). Restituire gli uomini a Dio vuol dire onorare, amare, servire, agire per il bene degli uomini. Chi vive così e solo chi vive così è veramente un martire perché testimonia il vero volto di Dio che è amore senza limiti.