domenica 14 gennaio 2018

II DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

Non posso spiegare questo brano di vangelo nei dettagli come lo faccio il lunedì sera, per cui adesso provo a dire qualcosa che aiuti la nostra riflessione e la nostra preghiera. È il famoso episodio conosciuto come il miracolo delle nozze di Cana. Però Giovanni scrive alla fine che questo fu il primo segno col quale Gesù si manifestò e mostrò ai suoi discepoli la sua gloria. Allora vuol dire che
prima di tutto non è un miracolo, ma un segno, segno di che cosa? Come quando uno vede del fumo, se non capisce che quel fumo è il segno di qualcosa che sta bruciando, poi gli va a fuoco la casa. Col quale “manifestò”, quindi questo segno è un’epifania, come quella dell’adorazione dei Magi e del Battesimo di Gesù che abbiamo celebrato domenica scorsa, e domenica prossima ne vedremo un’altra, quella dei pani e dei pesci. Un segno, dice Giovanni, col quale Gesù manifestò la sua “gloria”. Possibile che la gloria di Dio si manifesti trasformando più di 700 litri di acqua (perché 6 anfore che contenevano ciascuna da 80 a 120 litri fanno più di 700 litri) in ottimo vino per dar da bere a un gruppo di persone già ubriache, per rendere contenta una coppia di sposi che non vengono nemmeno nominati? Non c’era possibilità di procurarsi vino in altro modo? Voleva farsi pubblicità? Allora cerchiamo di capire cos’è questa gloria di Dio che si manifesta alle nozze di Cana. Per gli ebrei la gloria di Dio fu quando sul monte Sinai venne stipulata la prima alleanza tra Dio e il suo popolo, quando Mosè, dopo tre giorni, ricevette dal Signore la Legge, i comandamenti, scritti su tavole di pietra. Mosè, il servo del Signore, aveva imposto un’alleanza tra dei servi e il loro Signore, basata sull’obbedienza alla sua legge. La Legge è importante perché indica cos’è il bene e cos’è il male, ma ha un grave difetto: non riesce a dar la forza di compiere il bene. Anzi, fa pensare a Dio come a un legislatore che punisce chi sgarra, e da qui nascono i sensi di colpa, il sentirsi inadeguati, la paura di essere puniti, il bisogno di purificarsi per essere graditi a Dio. Vivere così è bruttissimo. Come se in un matrimonio due persone stessero insieme solo per dovere e non per amore. Per questo i profeti descrivevano il rapporto tra Dio e gli uomini come un’alleanza d’amore dove Dio è lo sposo e il suo popolo la sposa, e dicevano che questo rapporto d’amore non c’era più. La cosa ci riguarda da vicino, quando anche noi viviamo il rapporto con Dio in questo modo: penso a chi viene a messa per rispettare una legge, un precetto, così Dio è contento e poi magari mi premia, quando invece la messa è un regalo che Dio ci fa, quello di darci il suo amore. Ecco allora che Giovanni inizia il racconto dicendo: il terzo giorno (sul foglietto non lo trovate scritto perché lo hanno saltato), riferendosi al giorno dell’alleanza sul monte Sinai quando Dio si manifestò con la Legge, vi fu una festa di nozze dove mancava il vino. Il momento importante del matrimonio è quello in cui lo sposo e la sposa bevono allo stesso calice di vino, e il vino rappresenta l’amore tra gli sposi. In questo matrimonio manca proprio l’elemento più importante, manca il vino, cioè manca l’amore. Infatti vi erano là sei anfore, il numero sei indica ciò che è incompleto, di pietra, come le tavole della legge, per la purificazione dei Giudei, ed erano vuote, segno appunto del fatto che sono inutili: uno può lavarsi con tutta l’acqua che vuole, anche quella benedetta, venire a Messa tutti i giorni, ma se vive queste cose come precetti, come obbedienza ad una legge, un fare qualcosa per Dio per ottenere in premio qualcos’altro, come se Dio fosse un legislatore e non uno sposo, è tutto inutile. Notate che gli sposi non vengono nominati, appunto perché rappresentano Dio e il popolo in un rapporto dove manca l’amore, il vino. Ecco dunque cosa sta raccontando Giovanni con questo episodio, qual è l’epifania che manifesta questo segno: la gloria di Dio è quando l’alleanza tra Dio, lo sposo, e gli uomini, la sposa, è vissuto nell’amore: ecco il vino che Gesù viene a portare. E’ la nuova alleanza inaugurata da Gesù: imparare a vivere il rapporto con Dio non come servi che gli ubbidiscono, ma come figli che vivono del suo amore, come una sposa che ama il suo sposo. Una fede che diventa energia che ci da vita, per cui, come il profeta Isaia, si possa gridare di gioia esclamando: ecco il nostro Dio in cui abbiamo sperato, rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza! Lo ripete anche san Paolo: camminate radicati e costruiti su di lui, su Gesù, sovrabbondando nel rendimento di grazie! L’alternativa è quella di vivere una fede cupa, senza vino, come un peso in più da portare, una serie di norme e precetti a cui obbedire così Dio è contento e ci premia perché ci siamo meritati il suo amore. Come chi va a confessarsi a Natale non per essere abbracciato dall’amore di Dio che ridona forza alla nostra povertà, ma per adempiere un precetto perché è Natale, tanto è vero che poi da santo Stefano tutto riprende come prima. Bene, questa è la bella notizia che oggi ci raggiunge. Non ho spiegato tutti i particolari di questo episodio, come il dialogo tra Gesù e sua madre e le parole di colui che dirigeva il banchetto e che richiederebbero troppo tempo. Lo farò lunedì, come sempre, con le persone che vengono all’incontro di spiegazione del vangelo. Spero però che le cose dette possano aiutare la riflessione, la preghiera e a vivere con frutto l’eucaristia che stiamo celebrando.