domenica 25 marzo 2018

DOMENICA DELLE PALME MESSA CON PROCESSIONE

 Nel vangelo si parla di una grande folla che era venuta per la festa. Era la festa della Pasqua ebraica che celebrava la liberazione dall’Egitto, e tutti i pellegrini andavano a Gerusalemme a festeggiare. Udito che veniva Gesù presero dei rami di palma perché questo era il modo con il quale si festeggiava un re che tornava vincitore dalla battaglia. E’ interessante che mentre gli altri Vangeli parlano di Gesù
che entra, qui si presenta la folla che esce dalla città. La città di Gerusalemme rappresenta il mondo con i suoi criteri di dominio e di potere: per accogliere Gesù bisogna uscire da questi schemi. E questa folla grida “Osanna” che vuol dire “Signore, salvaci”. E poi dice un versetto del salmo 118: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Una frase riferita al Messia: vuol dire che Gesù viene riconosciuto come il Messia, come il Cristo, il liberatore che Dio avrebbe mandato per liberarli non più come Mosè dagli Egiziani, ma dai dominatori romani. E aggiungono: il re d’Israele, cioè colui che può far tutto, che ha in mano tutto e tutti, che domina su tutti con la forza. Per questo lo festeggiarono. Solo per questo. Avevano capito niente. Infatti Gesù trova un asinello e vi monta sopra. Ricordate quando Gesù si sedette sul pozzo? Era per dire alla samaritana: sono io il pozzo, la fonte della vita. Sedendosi sull’asino, Gesù sta dicendo: sono io l’asino. C’è un antico graffito che rappresenta Gesù crocifisso con la testa d’asino. Non è un’immagine blasfema, al contrario. San Paolo, lo abbiamo ascoltato prima, dice che Cristo è immagine del Dio invisibile. Dio non lo ha mai visto nessuno, solo Gesù ce lo fa vedere. Ebbene, Gesù ci fa vedere che Dio è un asino. Non nel senso dispregiativo che usiamo noi per dare dell’ignorante a qualcuno, ma nel senso che l’asino è quello che porta il peso degli altri, è l’animale da servizio: Gesù è colui che ci fa vedere che Dio è si un re, ma non perché domina, ma perché serve, e servire vuol dire amare, dare la vita, perdonare anche i nemici. E infatti, per spiegare questa cosa, viene citata la profezia di Zaccaria che abbiamo riascoltato per intero nella lettura, dove il profeta annunciava la venuta di un Messia seduto su un puledro figlio d’asina, umile, che avrebbe fatto sparire i carri da guerra. Ma queste cose, i suoi discepoli, scrive Giovanni, al momento non le capirono. Le capirono dopo, quando Gesù fu glorificato, cioè dopo che sulla croce fece vedere che la gloria di Dio è il suo amore capace di perdonare tutti. E le capirono ricordandosi che queste cose erano state scritte di lui: vuol dire che tutte le pagine della Bibbia possiamo capirle solo dopo aver visto l’amore di Dio manifestato da Gesù sulla croce. Ma soprattutto, mi piace questa cosa, ricordando che queste cose le avevano fatte a lui. Cioè, che essi capirono chi è il Dio rivelato da Gesù ricordando quello che loro avevano fatto a lui. Loro cosa gli avevano fatto? Lo avevano rifiutato, abbandonato, tradito, rinnegato, ucciso, e lui, morendo, aveva preso su di sé tutto il loro male e, invece di restituirlo, lo ha distrutto perdonandoli tutti. Ebbene, io mi domando se io, prima di tutti, e anche voi, tutti noi messi insieme, dopo 2000 anni queste cose le abbiamo capite o no. La Settimana santa che oggi cominciamo serve per aiutarci a rivivere quegli avvenimenti che ci fanno vedere il volto meraviglioso di Dio che ci ha rivelato Gesù, così diverso per fortuna da quello cupo che noi spesso immaginiamo. Il rischio è quello di celebrare riti vuoti. Domando a me e a voi: la processione di prima è stato un rito folkloristico o ci ha aiutato a capire chi è davvero il Dio nel quale diciamo di credere, questo Dio di amore e perdono, oppure come la folla di Gerusalemme lo abbiamo acclamato come re castigamatti? E questo vale anche per la confessione. Purtroppo la confessione, più ancora della messa, è il sacramento più detestato dagli italiani, eppure nei prossimi giorni ci saranno le fila davanti ai confessionali, come quando si va in posta a pagare le bollette. Ecco perché è così odiato. Perché è vissuto come un dazio da pagare, non come un profumo che infonde vita e gioia, non come l’incontro col Vivente che dona vita, ma come un tribunale dell’inquisizione che olezza di morte. La Chiesa ha tentato di cambiare, dal Vaticano II, eppure a troppe persone questa cosa non entra in testa. Prima l’accento era sul confessare, cioè sull’elenco dettagliato dei peccati e guai se ne saltavi uno. Invece l’accento è sulla riconciliazione. Cosa vuol dire? C’è nella mia vita qualcosa che non va? Allora la voglio mettere in sintonia con quella di Dio! E Dio come lo fa? Non minacciando castighi, non rimproverandomi, ma comunicandomi il suo profumo. A Dio non interessa l’elenco dettagliato delle nostre malefatte, le sa meglio di noi: dirle serve a noi per rendercene conto, non a lui. A lui non importa quello che abbiamo fatto, a Dio interessa comunicarci quanto ci ama. Dio ci perdona prima ancora che gli chiediamo perdono. A Dio interessa solo inondarci del suo profumo. Solo celebrando così questo sacramento, e lo stesso vale per la messa, uno rinasce, rifiorisce, esce saltellando dalla contentezza. Se invece uno esce dal confessionale svuotato e triste è perché ha scambiato il confessionale con lo sportello delle poste o magari perché purtroppo ha trovato un prete che lo ha trattato male come a volte capita alle poste. Non ce l’ho su con quelli delle poste, sia ben chiaro! Dico queste cose perché vorrei tanto che nei prossimi giorni, e anche ora, non celebrassimo riti vuoti, ma riti capaci capaci di rinnovarci nel profondo.