domenica 18 marzo 2018

V DOMENICA DI QUARESIMA LAZZARO

Non dimentichiamo mai che la Quaresima è il tempo che la Chiesa ci offre per riscoprire il significato del nostro Battesimo e le sue conseguenze: questo vuol dire prepararsi alla Pasqua, non attendere che il Signore risorga, perché Cristo è già risorto da 2000 anni, ma verificare se davvero la fede nel Signore risorto ribalta o meno il nostro modo di vivere la vita, e siccome il battesimo e gli altri
sacramenti sono il modo col quale il Signore risorto continua ad entrare in comunione con lui per trasformare la nostra esistenza, la Quaresima serve proprio perché ciascuno possa prendere maggiore consapevolezza del suo Battesimo e delle sue conseguenze. E il brano di Vangelo di oggi è scritto per aiutare la comunità cristiana, cioè dei battezzati, a cambiare il concetto della malattia e della morte. Chi è battezzato, quindi tutti noi che siamo qui, o guarda e affronta la malattia e la morte in modo diverso dagli altri, o altrimenti essere cristiani serve a niente. Vi faccio notare un particolare che accomuna tutte e tre le letture di oggi che parlano, ciascuna a modo suo, di un cammino. Più precisamente: di un uscire, di un camminare e di un entrare. Il libro dell’Esodo parlava dell’uscita dall’Egitto, del cammino nel deserto e dell’entrare nella Terra promessa, che è un simbolo per parlare della vita: la vita è un uscire alla luce, un cammino faticoso e poi un’entrata nella morte. Non è una prospettiva molto allettante, però questa è la realtà, che però Gesù ha ribaltato, come vedremo nel vangelo, tanto che San Paolo, nel brano agli Efesini, parla della vita del battezzato come di una uscita dal peccato, di un cammino guidato dallo Spirito santo per poter così entrare nella gloria di Dio. Proviamo brevemente a vedere in che modo questa bella notizia viene proclamata in questo episodio che vede come protagonisti, non a caso, tre fratelli, perché è così si chiamano i discepoli di Gesù, i battezzati. Ci sono Marta e Maria, che sono vive, e Lazzaro, che prima è malato e poi muore, e vedremo che alla fine ad essere morte sono le sorelle, a differenza di Lazzaro, un po’ come nel Vangelo di domenica scorsa dove si scopre che i ciechi erano quelli che credevano di vedere. Sono morte perché sono cieche, ancora non hanno capito cos’è la gloria di Dio, e Gesù è loro che viene a risuscitare. Il loro fratello è malato e allora fanno chiamare Gesù perché lo guarisca, facendo leva sul fatto che Lazzaro era uno al quale Gesù voleva bene. Non è forse quello che anche noi battezzati vorremmo quando un nostro caro si ammala? Invece Gesù, quando ebbe sentito che Lazzaro era ammalato, si trattenne due giorni nel luogo in cui si trovava. Verrebbe da dire: meno male che gli voleva bene, pensa se gli fosse stato sulle scatole! Quante volte viene anche a noi da dire di fronte al dolore per la malattia di un proprio caro: è sempre stato un uomo di fede, ha sempre fatto del bene, perché Dio non lo aiuta, non lo fa guarire? Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto! Gesù risponde dicendo che questa malattia non è per la morte ma perché si riveli la gloria di Dio. La gloria di Dio è donare una vita capace di superare la morte. Con questa risposta Gesù fa capire a Marta e a Maria e quindi a tutti noi battezzati che Dio non è Colui che manifesta il suo amore alterando il ciclo normale della vita che comprende anche le malattie e la morte biologica, ma colui che trasmette a tutti coloro che come Lazzaro hanno aderito a lui, una vita capace di superare la morte. Siamo ciechi finché non comprendiamo questa cosa. Siamo come quelli che camminano di notte e inciampano perché non vedono la luce. Noi chiediamo normalmente a Dio degli interventi che prolunghino la nostra vita, e dove non arriva Dio oggi si cercano nella medicina gli elisir per l’eterna giovinezza. E quando qualcuno muore anche noi, come Marta e come i giudei, crediamo che alla fine del mondo Dio farà risuscitare i giusti: “so che risusciterà l’ultimo giorno”. Ma questa non è una grande consolazione. Alla fine dei tempi sarò morto stecchito anch’io, il problema è che quella persona morta manca a me adesso! Ed ecco la rivelazione di Gesù, che cambia completamente il concetto di vita, il concetto di morte, il concetto di risurrezione. Gesù le disse: “io sono”, non io sarò, la risurrezione e la vita, quindi la vita e la risurrezione non saranno, ma sono già. “Chi crede in me”, come Lazzaro, che è mio discepolo, “anche se muore”, anche se adesso vedete un cadavere, “vivrà”, continua a vivere. Di più: “chiunque vive”, quindi voi che siete vivi, “e crede in me”, e mi avete dato adesione, “non morirà in eterno”, non morirà mai. La morte del corpo, per Gesù, non interrompe la vita, ma introduce subito a una dimensione nuova, piena, definitiva dell'esistenza. Credi tu questo? Gesù lo chiede a ciascuno di noi, non solo a Marta. Certo, credere questo non toglie il dolore, perché con la persona morta non possiamo più rapportarci fisicamente come quando il suo corpo fisico era vivo: questo spiega il pianto di Gesù, che però in greco si traduce con “lacrimare”, per dire che non è il pianto disperato di tutti gli altri, ma un pianto di umano dolore, perciò quando ai funerali in chiesa si vedono pianti disperati, questi non sono pianti cristiani. Ma pur essendo un pianto di dolore, perché mai Gesù piange sapendo che di lì a poco Lazzaro sarebbe risuscitato? La risposta a questa domanda è tanto bella quanto potrebbe essere sconvolgente per chi normalmente interpreta questo episodio come la risurrezione di Lazzaro, intendendo per risurrezione la rianimazione di un cadavere, riportare un cadavere alla vita di prima. La risurrezione è un’altra cosa, è passare da una vita mortale a una immortale. Infatti a uscire dal sepolcro, se notate, non è Lazzaro, ma il morto, così viene chiamato dall’evangelista, e anche Marta è chiamata “la sorella del morto”. Gesù grida: “Lazzaro, vieni fuori”, per dire che tutti quelli che come Lazzaro hanno aderito a Gesù sono già risorti, non sono nel sepolcro. Dal sepolcro, sigillato con una grande pietra, esce un morto a cui avevano legato mani e piedi. Gesù ordina di togliere la pietra dal sepolcro e di slegarlo per far capire che siamo noi che mettendo una pietra sul sepolcro pensiamo che la morte sia la fine di tutto e che essa tenga gli uomini legati come prigionieri. Non è così. Gesù vuol far vedere che Lazzaro è vivo, sono Marta, Maria, tutti gli altri e noi che pensiamo che la morte del corpo è la fine di tutto, ad essere morti. Finché andiamo al cimitero a piangere i morti come morti non capiremo mai che essi sono vivi, e allora il nostro battesimo serve a niente. E dove sono questi morti? Gesù dice: “Lasciatelo andare”. Lazzaro è già in comunione col Padre, siamo noi che teniamo legati i nostri morti nelle funi della morte. Tanto è vero che Lazzaro lo si rivedrà qualche versetto dopo, durante la cena di Betania, prima della passione, sdraiato a tavola con Gesù. I nostri morti sono dunque qui con noi a celebrare l’eucaristia, più vivi di tutti noi messi insieme. E se crediamo questo, anche noi siamo già risorti con loro.