domenica 25 marzo 2018

DOMENICA DELLE PALME MESSA DEL GIORNO

 La cena di Betania descritta dal vangelo non è altro che la celebrazione eucaristica. Lazzaro era uno dei commensali, letteralmente “era sdraiato con Gesù”: vuol dire che Gesù non era andato a Betania a rianimare un cadavere morto da quattro giorni, ma a mostrare che Lazzaro, che tutti vedevano morto nel sepolcro, in realtà è risorto, è vivo, e dove si trova? Non in cielo, ma nella celebrazione
eucaristica. Nella messa noi non preghiamo per i defunti, come spesso si usa dire, ma preghiamo insieme ai defunti ringraziando il Signore per il dono della vita. E Maria, cospargendo col nardo i piedi di Gesù e asciugandoli coi suoi capelli esprime a Gesù la riconoscenza per questo dono. Il "profumo" è simbolo di vita che si oppone al fetore della morte. Finché Lazzaro è nel sepolcro, “manda cattivo odore”, ora che è con Gesù, il fetore si è trasformato in “profumo”. L’Eucaristia è il momento nel quale il profumo della vita invade tutta la casa. Noi riceviamo il profumo dell’amore di Dio, sprecato, senza limiti. Se ce ne rendiamo conto, glielo restituiamo, come fa Maria, cospargendo i suoi piedi con lo stesso profumo, un gesto che anticipa a sua volta la lavanda dei piedi che Gesù farà ai suoi. Ma soprattutto effondendolo sugli altri. Certo. La frase “i poveri li avrete sempre con voi, ma non sempre avrete me” non indica che il culto a Gesù deve avere precedenza sulle opere verso i poveri. Quando Gesù se ne andrà, “non sempre avete me”, il suo posto sarà proprio occupato dai poveri: i Padri della chiesa definivano i poveri i “Vicari di Cristo”. Ma è solo accettando l’amore di Cristo per ciascuno di noi, un amore che dona tutto se stesso, che noi possiamo a nostra volta dare noi stessi per gli altri. Noi siamo qui a messa per ricevere da Dio il suo profumo così da poter uscire di qui profumati di modo che gli altri che incontriamo sentano questo profumo. Come Gesù, regalando la vita agli altri la ritrova, così noi possiamo risorgere donando vita agli altri. Purtroppo, però, possiamo vivere l’eucaristia e dunque il nostro rapporto con Gesù nel modo di Giuda. Invece di essere qui a celebrare un morto che è vivo, Giuda è un vivo che invece è morto, perché vive unicamente centrato sul proprio interesse. Infatti Giovanni dice che era un ladro, perché ciò che è degli altri lo prende per sé, e sottraendo la vita agli altri, la sottrae pure a se stesso. Giuda mette un prezzo al profumo: pensa che l’amore si possa comprare. E invece no: l’amore è gratis, e chi ama, chi è discepolo di Gesù, come Lazzaro, anche se il suo corpo è morto, continua a vivere, e chi è vivo, come Maria, e ama, non morirà mai. Per questo Gesù dice a Giuda: “Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura”. Se il profumo è l’amore che fa si che la vita superi la morte, Gesù vuole che questa cosa sia tenuta presente anche per il momento della sua morte. Se lo avessero tenuto presente, quando andarono al sepolcro di Gesù, non avrebbero portato, com’era usanza, altri aromi, ma quel profumo di nardo assai prezioso. Nonostante la raccomandazione di Gesù, il “profumo”, cioè credere alla vittoria della vita sulla morte, non lo conservarono. Andarono a imbalsamare Gesù pensando che egli fosse morto. Il “profumo” di “Betània” era un omaggio a Gesù vivo, gli altri aromi erano per un morto. Nella cena di Betania avevano celebrato la fede in una vita capace di superare la morte, e poi vanno al sepolcro ad omaggiare un cadavere. Guardate che questa cosa ci tocca profondamente da vicino. Anche noi qui in terra possiamo imbalsamare Gesù, fare dei riti in “ricordo” della sua risurrezione, per poi tornare alla quotidianità della vita, lasciando Gesù in cielo, invece di sentirlo vivente in mezzo a noi. Celebrare l’eucaristia, la nostra cena di Betania, con molto profumo di incenso, proclamando a parole di credere che Gesù è risorto e nella vita eterna, e poi uscire di chiesa senza che tutto questo abbia alcuna incidenza nella nostra vita. E questo vale anche per la confessione. Purtroppo la confessione, più ancora della messa, è il sacramento più detestato dagli italiani, eppure nei prossimi giorni ci saranno le fila davanti ai confessionali, come quando si va in posta a pagare le bollette. Ecco perché è così odiato. Perché è vissuto come un dazio da pagare, non come un profumo che infonde vita e gioia, non come l’incontro col Vivente che dona vita, ma come un tribunale dell’inquisizione che olezza di morte. La Chiesa ha tentato di cambiare, dal Vaticano II, eppure a troppe persone questa cosa non entra in testa. Prima l’accento era sul confessare, cioè sull’elenco dettagliato dei peccati e guai se ne saltavi uno. Invece l’accento è sulla riconciliazione. Cosa vuol dire? C’è nella mia vita qualcosa che non va? Allora la voglio mettere in sintonia con quella di Dio! E Dio come lo fa? Non minacciando castighi, non rimproverandomi, ma comunicandomi il suo profumo. A Dio non interessa l’elenco dettagliato delle nostre malefatte, le sa meglio di noi: dirle serve a noi per rendercene conto, non a lui. A lui non importa quello che abbiamo fatto, a Dio interessa comunicarci quanto ci ama. Dio ci perdona prima ancora che gli chiediamo perdono. A Dio interessa solo inondarci del suo profumo. Solo celebrando così questo sacramento, e lo stesso vale per la messa, uno rinasce, rifiorisce, esce saltellando dalla contentezza. Se invece uno esce dal confessionale svuotato e triste è perché ha scambiato il confessionale con lo sportello delle poste o magari perché purtroppo ha trovato un prete che lo ha trattato male come a volte capita alle poste. Non ce l’ho su con quelli delle poste, sia ben chiaro! Dico queste cose perché vorrei tanto che nei prossimi giorni, e anche ora, non celebrassimo riti vuoti, ma capaci di infondere profumo.