domenica 26 agosto 2018

DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Questa domenica si chiama “che precede il martirio di san Giovanni Battista” perché mercoledì prossimo è la festa appunto del martirio di san Giovanni Battista che nel nostro rito ambrosiano ha sempre assunto un’importanza molto grande al punto che oggi inizia un nuovo segmento del lungo tempo dopo Pentecoste con le settimane che si chiamano, quella che comincia oggi “prima del
martirio”, e da domenica prossima “dopo il martirio di san Giovanni”. La parola “martire” sapete che significa “testimone”: il martire è colui che di fronte alla scelta di morire o di rinnegare ciò in cui crede, sceglie la morte. E già questo è un primo spunto di riflessione per ciascuno: io per cosa o per chi sarei disposto a morire? Relativamente facile è essere disposti a morire per un figlio o un proprio caro, più difficile è essere disposti a morire per gli ideali in cui si crede. Non è auspicabile trovarsi in una situazione del genere, eppure, se ci pensate, è proprio nei momenti della prova che si capisce ciò in cui uno crede davvero. Mi colpisce molto nella prima lettura la vicenda dei sette fratelli maccabei e della loro madre, trucidati crudelmente per ordine del re Antioco. Siamo nel tempo in cui gli ebrei furono invasi dai greci che volevano imporre la loro religione e la loro cultura, e i maccabei furono, potremmo dire, i partigiani di Israele, e abbiamo visto come l’ultimo dei fratelli sfida i suoi torturatori dicendo: “Che aspettate? Non obbedisco al comando del re, ma ascolto il comando della legge che è stata data ai nostri padri per mezzo di Mosè”. Questo perché il re voleva che essi si cibassero della carne di maiale che era proibita dalla legge. Piuttosto che trasgredire un comando del Signore, si fece ammazzare. Come lo farebbero, magari, oggi, i musulmani più convinti, sebbene essi, purtroppo, spesso agiscono al contrario, nel senso che si suicidano loro ammazzando tutti gli infedeli che non si convertono alla legge islamica. Si considerano martiri anche loro, ma martiri non sono, e se lo sono, lo sono nel senso di essere “testimoni” di un Dio assassino da cui è meglio fuggire. Ma io mi chiedo: può essere volere di Dio che non si mangi la carne di maiale, per cui, per essere fedele al Signore, piuttosto che mangiarla mi faccio ammazzare? Io mi farei ammazzare piuttosto che mangiare la carne i venerdì di quaresima? Sinceramente no. Ma perché Gesù ci ha insegnato che la volontà di Dio, la sua unica legge, è quella di imparare ad amarci tra di noi, anche il nemico, nel modo in cui egli ha amato noi. Tutto il resto, anche il digiuno, o serve per aiutarci ad amare i fratelli, o altrimenti non serve. Io mi arrabbio quando, in nome del rispetto di chi non è cristiano, si chiede di togliere crocifissi e simboli religiosi in un paese che è di tradizione cristiana. Alzerei la voce, ma non mi farei uccidere per questa cosa e nemmeno mi metterei a fare crociate. Perché io sono testimone di Cristo non quando rivendico questi diritti, ma quando amo gli altri come Gesù crocifisso. Perché anche oggi, come ai tempi dei maccabei, la cultura che ci viene imposta non dai greci, ma dai mass media è diametralmente opposta al vangelo, cioè il modo di pensare, di vivere, di comportarsi non centra nulla coi valori evangelici, per cui il vero martirio, oggi come sempre, è quello di avere il coraggio di opporsi a questa mentalità. Ma non ci si oppone semplicemente riempiendo case, scuole, ospedali con madonne, crocifissi e presepi, bensì vivendo di fatto l’amore che Gesù ci ha insegnato. Nel lungo vangelo di oggi, Gesù dice che non dobbiamo aver paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere la vita dell’individuo, questo perché la vita non finisce quando muore il nostro corpo (ne siamo convinti?). Ma aggiunge: abbiate paura di chi ha il potere di distruggere la vita e il corpo nella Geenna. Vuol dire che c’è la possibilità che la mia vita, dopo la morte del corpo, finisca bruciata come le immondizie che venivano gettate e bruciate in un burrone che si trovava a sud di Gerusalemme, chiamato Geenna. E chi è colui che ha il potere di distruggere la mia vita completamente, di cui avere paura? Lo ha spiegato Gesù nei versetti precedenti e in tutto il vangelo: è il dio mammona, il dio denaro, della ricchezza, del potere, del successo, dell’avere, che conduce a vivere cioè una vita compiendo il male e pensando solo a stare bene io e chi se frega degli altri. Di questo dovete avere paura. Non di Dio. Dio ci conosce nel profondo, ci conosce più di noi stessi, sa quanti capelli abbiamo in testa (chi è pelato è ancora più fortunato), e allora preoccupatevi di amare, non di altro. Noi invece ci preoccupiamo solo di quanti soldi abbiamo sul conto corrente. Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio. E Gesù come lo si riconosce? Lo ha detto lui: ogni volta che avrete fatto qualcosa a uno dei miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me. Per questo, dopo, per 4 volte, usa un verbo che traduce bene uno dei modi coi quali si ama: accogliere. Chi accoglie, riceve la stessa dignità di chi sta accogliendo. E siccome Dio è presente nel più piccolo e povero degli uomini, accogliendo l’altro come fratello accolgo Dio come Padre. Poi però dice una bugia: chi invece mi rinnega, cioè chi non mi riconosce, anch’io lo rinnego. E’ una bugia, perchè poi Pietro lo ha perdonato. Ma cosa succede se io cerco di vivere così come ha detto Gesù? “Io non sono venuto a portare la pace, ma una spada, capace di dividere anche i componenti di una famiglia, e se uno ama un componente della sua famiglia più di me, non è degno di me”. Cosa vuol dire? Che il suo messaggio porta divisione tra gli uomini, scuote il quieto vivere, perché se scelgo di vivere come Gesù vengo osteggiato e chiamato cretino da chi ha come Dio mammona, l’interesse, il successo, il potere, e io devo scegliere chi voglio seguire, appunto per chi o per cosa sarei disposto a morire. E aggiunge: “chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me”. Questa croce non è, come molti pensano e dicono, una malattia o una disgrazia date da Dio, il che è ridicolo e blasfemo. Chi veniva crocifisso era considerato un maledetto, un rifiuto della società. Allora portare la croce vuol dire essere disposti a perdere la propria reputazione, ad essere calunniati e perseguitati: faccio il bene e mi tirano le pietre. Sono disposto a fare il bene sempre e comunque pronto a ricevere pietre in cambio e a sentirmi dire oltretutto che sono scemo? È la domanda su cui tutti dobbiamo verificarci quest’oggi. Sapendo una cosa, però. Che questa è l’unica strada per realizzare la nostra vita, perché siamo creati per essere amati e per amare. Fare il contrario vuol dire diventare spazzatura che serve solo ad essere bruciata.