domenica 5 agosto 2018

XI DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Non sono letture facili quelle di questa domenica. Partiamo dal brano del libro dei Re che racconta un episodio molto pittoresco e a tratti inquietante della vita del profeta Elia. Domenica scorsa, se ricordate, leggevamo il momento solenne della dedicazione del tempio di Gerusalemme ad opera del re Salomone, segno dell’unità di tutto il popolo di Israele e della sua fede nell’unico Dio, il Signore.
Ma dopo la morte di Salomone, il Regno si divise in due: il Regno del Nord con capitale Samaria e il Regno del Sud con capitale Gerusalemme. Le tribù del Nord subirono le influenze religiose dei popoli cananei e iniziarono ad adorare l’unico Dio di Israele rappresentandolo come un toro, chiamato Baal, il dio della fecondità. Alcuni profeti cercarono di tener viva nel Nord la tradizione di Israele, e fra questi il profeta Elia. E nel brano di oggi lo vediamo sfidare i sacerdoti di Baal con un rito tribale molto cruento: “Voi invocate il vostro Dio e io invoco il Signore: quello che incenerirà il giovenco è il vero Dio”. Elia voleva che il popolo si decidesse quale Dio adorare, che non tenesse il piede in due scarpe, e che scegliesse il Signore. E l’idea di fondo qual era? Che il vero Dio è quello più forte e potente capace di incenerire il giovenco. Il Dio di Elia, a differenza di Baal, incenerisce il giovenco, e così Elia trionfa. E dopo aver preso in giro i sacerdoti di Baal che con i loro riti non erano riusciti ad ottenere nulla, alla fine ne approfitta ed ordina che essi vengano sterminati. Se andate a leggere il seguito, vedete che Elia li fece sgozzare tutti: erano 450 uomini. Dopodichè, però, si ritrova nei guai: ha vinto una battaglia, ma ha perso la guerra. Gezabele, la crudele sposa del re Acab che era a capo di quei sacerdoti, lo vuole morto. Al che Elia è costretto a fuggire, stanco, demoralizzato, inseguito dai soldati: ma come Signore, io mi sono prodigato per te e adesso come ricompensa cosa ottengo? Che mi vogliono ammazzare. Fai qualcosa, rivelati. E così progetta un pellegrinaggio sul monte Sinai, dove Dio era apparso a Mosè. E lì farà un’esperienza che gli cambierà la vita. È raggiunto dapprima da un vento impetuoso, poi da un terremoto, poi dal fuoco, e l’autore sacro annota che Dio non era né nel vento, né nel fuoco né nel terremoto. Infine fu raggiunto dalla voce di un sottile silenzio, e lì Elia capisce chi è Dio. Che Dio non si manifesta in queste realtà potenti, come un fulmine castigatore e distruttore, ma a chi ha un cuore estremamente capace di ascoltare la sua Parola, e la sua Parola rivela che Dio è completamente diverso da come lo immaginava lui. Non solo. Dio gli rivela che non era solo lui ad essergli restato fedele, ma ve n’erano altri settemila come lui. Parole riprese da san Paolo nel brano della lettera ai Romani. Anche Paolo, come Elia, era focoso e irruento. Prima di incontrare Gesù e di ascoltare la sua Parola andava in giro ad arrestare e uccidere i cristiani, cioè coloro che avevano abbandonato la religione ebraica, come i samaritani al tempo di Elia. Poi, quando si converte, lo abbiamo letto, esprime tutto il suo dolore nel constatare che buona parte del suo popolo non ha accolto Gesù, però vede che ve ne sono altri, non solo lui, che invece lo hanno accolto. Capisce che Dio infonde a tutti la sua grazia, e anche se il suo popolo lo ha abbandonato, Dio continua ad amarlo, non vuole il suo sterminio, altrimenti Paolo si sarebbe messo stavolta ad uccidere i suoi fratelli ebrei che non si erano convertiti, ma al contrario, esprime il desiderio che essi, vedendo l’amore di Dio per tutti, anche per i non ebrei, si lascino vincere dalla gelosia nei loro confronti e così si convertano. E di coloro che in Israele avevano rifiutato, dapprima la parola dei profeti e poi la persona di Gesù, parla la parabola del vangelo. Costoro sono i capi di Israele. Essi si presentavano al popolo come rappresentanti fedeli del volere divino, ma di quale Dio? Non di quello di cui parlavano i profeti, e poi Gesù, un Padre che ama tutti i suoi figli affinchè essi imparino ad amarsi e ad accogliersi come fratelli, ma il Dio tremendo, giudice, inquisitore, che agisce con la forza verso gli infedeli, il Dio di Elia e di Paolo. E infatti essi, denuncia Gesù nella parabola, perseguitarono i profeti e adesso vogliono uccidere lui, il figlio. Sebbene Gesù usi contro di loro parole che in apparenza appaiono anch’esse molto truci, e che dunque vanno bene interpretate: il padrone della vigna li farà morire miseramente, toglierà a loro il Regno di Dio, lo darà ad altri, ed essi verranno schiacciati dalla pietra angolare, che è Gesù stesso, sulla quale poggia tutto l’edificio del Regno di Dio. Queste parole non indicano il castigo di Dio su di loro, perché Dio non castiga nessuno, nemmeno chi rifiuta il suo amore, ma che chi agisce per il proprio interesse a scapito degli altri, oltretutto in nome di Dio, dal proprio stesso interesse verrà distrutto. Perché al Regno appartiene, come già diceva il profeta Isaia, non chi produce spargimento di sangue, ma chi opera per la giustizia: chi vive il contrario si autoesclude dal Regno. E infatti il vero Dio dei capi di Israele era il denaro e il potere. Cosa ci insegna dunque la Parola del Signore di questa domenica? Tante cose. Tra parentesi, e qui mi riferisco all’episodio del profeta Elia, non dimentichiamo che questi racconti biblici non sono fatti storici, ma racconti che vogliono trasmettere delle verità teologiche, di fede. E dunque cosa ci insegnano? Che quando noi pensiamo a Dio inventandocelo come potente, castigamatti, giudice, distruttore di quelli che non credono in lui, diventiamo come i talebani: siccome siamo suoi servi, suoi soldati, diventiamo anche noi cattivi come questo Dio, incapaci di accogliere chi è diverso da noi, pronti a distruggere e a fare guerre sante. Il tutto in nome di Dio. Quando invece impariamo ad ascoltare la Parola di Gesù che si rivela in un sottile silenzio, quando cioè mettiamo a tacere tutte le nostre false immagini di Dio, ecco che il nostro modo di vedere Dio e quindi di rapportarci con lui e con gli altri si trasforma. Siamo qui a celebrare l’eucaristia ancora una volta proprio per chiedere al Signore di trasformarci a sua immagine.