domenica 2 settembre 2018

PRIMA DOMENICA DOPO IL MARTIRIO

 Le letture di oggi toccano delle questioni così importanti e attuali che se le comprendessimo bene cambierebbero radicalmente il nostro modo di rapportarci con Dio e con gli altri. E’ da giorni che penso e ripenso a come spiegarle, e devo confessarvi che non ci sono riuscito. Non sono ancora ripresi gli incontri del lunedì sera nei quali, chi vuole, può venire ad approfondire le letture della
domenica che nei pochi minuti di una predica è impossibile fare, ma se ci fosse qualcuno che mi venisse a dire “vediamoci una delle prossime sere per parlarne”, vi dico subito che lunedì e mercoledì sera sono libero. Penso infatti che sia sbagliato pretendere di esaurire l’approfondimento della fede puntando tutto su una predica che oltretutto si vorrebbe breve il più possibile: questo non è cercare la verità, ma seguire una logica da supermercato dove prendi due e paghi uno. Per cui oggi mi limito ad accennarvi i temi principali sui quali le letture di questa domenica ci provocano. Isaia, nella lettura, si lamenta con il popolo d’Israele perché onora Dio con le labbra e basta, e non con il cuore e con la vita: “il suo cuore è distante da me, e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani”. È la denuncia di un modo di sbagliato di vivere la fede, trasformata in una serie di riti religiosi che servono a niente. E che sta all’origine della discussione che era nata tra i discepoli di Giovanni e i giudei riguardo alla purificazione rituale con cui si apre la pagina di vangelo. Dio era pensato come un re a cui obbedire, per cui il rapporto con Dio si basava sulle leggi da rispettare. Chi non le rispettava era impuro ed escluso dalla comunione con Dio. Bene, Gesù viene a ribaltare completamente questo modo di pensare. Non è quello che noi facciamo per Dio a salvarci, ma è accogliendo l’amore di Dio per noi che ci salva. Per cui, dice l’autore della lettera agli Ebrei, mentre ai tempi di Mosè Dio era avvolto da fuoco, tenebra e tempesta e chi si avvicinava a Lui sul monte sarebbe morto (tanto è vero che Mosè, davanti a un Dio così terrificante, diceva “Ho paura e tremo”), con Gesù è il contrario: dirà di avvicinarsi a lui, e chi si avvicina a lui e lo tocca prende vita, la sua vita: “Prendete e mangiate”. Ecco chi è Dio. Uno Sposo che vuole fondersi con noi, fecondarci col suo Spirito d’amore e trasformarci dentro, farci diventare come lui. E di Dio come Sposo parla il Battista nel brano di vangelo. E allora come mai sono ancora così tanti i cristiani che vanno avanti a pensare Dio non come un padre o uno sposo, ma come un sovrano a cui obbedire e da temere, uno che ti succhia energie, che chiede sacrifici per ottenere qualcosa in cambio, un tiranno che ti fa sentire sempre in colpa, o un mago a cui rivolgersi per risolvere i problemi della vita, tutte cose escluse dall’insegnamento di Gesù? Certamente per colpa di quello che dicevo prima, ovvero la poca voglia di trovare del tempo per approfondire la fede. Ma anche per colpa di un certo insegnamento ricevuto. E qui si apre un altro grande capitolo che emerge molto bene da queste letture, e che riguarda soprattutto noi preti, perché nelle letture di questa domenica ce n’è per tutti! “Che perversità, dice sempre Isaia rivolgendosi questa volta ai capi del popolo: pensate di sottrarvi allo sguardo di Dio, con una religiosità di facciata, e facendo poi i vostri comodi, facendo sentire gli altri in colpa, mentre voi tendete tranelli ai giudici e rovinate i giusti per un nulla”. Le stesse accuse che Gesù rivolgerà agli scribi, ai farisei e ai sacerdoti. Che poi infatti saranno quelli che lo uccideranno. Penso alle tante beghe ecclesiastiche ad opera di alti prelati che di questi tempi cercano di screditare un uomo straordinario come Papa Francesco perché ci sta tutti richiamando ad essere quello che Giovanni nel vangelo dice di sé: amici dello Sposo, chiamati cioè non ad attrarre a sé le persone, ma a condurle a Gesù per celebrare le nozze con lui, infatti aggiunge: “lui deve crescere e io diminuire”. Ed è proprio questa frase, “lui deve crescere e io diminuire” una possibile chiave di lettura per comprendere le ragioni di tante aberrazioni nel modo di vivere il rapporto con Dio che poi portano a tutti gli scandali del clero a cui stiamo assistendo. Certo, perché fino a quando è il mio io a crescere, il mio ego, non può esserci spazio per il Dio dell’amore, perché divento io il Dio di me stesso. Dio è in realtà il mio “super-io” che tutti vuol dominare, il contrario del Dio di Gesù. Un Dio che così viene utilizzato come facciata per assecondare le proprie manie di grandezza, di potere, di dominio, di perversione, proprio da coloro che dovrebbero essere i suoi ministri, i suoi servitori. Anzi, i suoi amici, come abbiamo detto. Dunque mi capite perché davanti a letture come queste non basta una predica? Ed è per questo che oggi, nonostante tutti gli sforzi, sono riuscito a partorire solo queste provocazioni che, se non altro, spero aiutino a riflettere e a pregarci sopra.