domenica 2 dicembre 2018

III DOMENICA DI AVVENTO

“Le profezie adempiute” è il titolo di questa terza domenica di Avvento. Vuol dire che tutte le letture sono collegate da questo tema. Cosa vuol dire “le profezie adempiute”? Vuol dire che tutte le promesse di Dio contenute nell’Antico Testamento e proclamate dai profeti, con Gesù si sono realizzate. Infatti abbiamo letto come san Paolo esprime il suo dolore verso gli israeliti che non hanno
creduto in Gesù, proprio loro che erano depositari di queste promesse. Tutti i profeti prima di Giovanni Battista dicevano che Dio avrebbe mandato il suo Messia, il suo Cristo, come liberatore e salvatore, per ristabilire la giustizia nei confronti degli innocenti oppressi, per premiare e castigare, per guidare la rivolta contro i popoli che opprimevano Israele, ristabilire la pace e il regno di Israele come luce e guida di tutti i popoli della terra. La pensava così anche Giovanni, l’ultimo profeta dell’Antico Testamento, che indicò Gesù come il Messia promesso da promesso da Dio che avrebbe fatto piazza pulita dei malvagi e ristabilito il Regno di Israele. Invece si ritrovò in carcere e scoprì che Gesù era tenero coi peccatori e diceva che i nemici andavano amati. E così andò in crisi e, come abbiamo appena letto nel vangelo, mandò i suoi discepoli da Gesù a chiedergli: “ma sei tu quello che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?”. E questa è la domanda che spesso anche noi ci poniamo di fronte alla vita e a Dio. Tutta la nostra vita è attesa che i nostri desideri e le nostre speranze si compiano, si realizzino, ma spesso le cose non vanno come vorremmo, ed è facile cadere in depressione o vivere da disillusi. Tutta la vita è un’attesa che le cose volgano al meglio, e quando a volte vanno nel verso giusto, subito ne accadono altre negative e inattese. Magari abbiamo riposto le nostre speranze di salvezza in una persona, e poi questa ci delude, come testimonia anche la pagina del profeta Isaia. Gli ebrei erano in esilio a Babilonia, speravano che Dio intervenisse a liberarli mandando il Messia, e Isaia individua il Messia nella figura di Ciro, il re di Persia. Di fatto, grazie a Ciro che sconfisse i babilonesi, gli ebrei poterono tornare a Gerusalemme. Vana illusione: infatti, anni dopo, i persiani furono sconfitti da Alessandro Magno e i greci occuparono Israele e, dopo i greci, al tempo di Gesù, arrivarono i romani, e così gli israeliti si ritrovarono punto e a capo, a dimostrazione che non c’è un salvatore della patria. E che anche quando abbiamo ottenuto quello che vogliamo, non ci basta mai, non siamo mai arrivati, perché nulla riesce mai ad appagarci in modo definitivo. E il paradosso è che l’unica cosa certa che tutti attendiamo e che sappiamo che prima o poi arriverà è proprio l’unica cosa che non vorremmo che arrivasse mai: la nostra morte. E allora ci rifugiamo in Dio. Se Dio è amore, è giusto, è onnipotente, cioè può fare quello che vuole, ci rivolgiamo a Lui chiedendogli di intervenire, ripetendogli le stesse parole del profeta Isaia: “cieli stillate rugiada, piova la giustizia”, che si traduce con “Dio, guarda giù, fa qualcosa, almeno mandacela buona”. E quando non accade, nascono le crisi di fede: se Dio ci ama, ama ciascuno di noi, perché permette il male e non ci protegge? Se è giusto, perché permette le ingiustizie? Se è onnipotente vuol dire che può fare tutto, e allora se non interviene vuol dire che è cattivo e non mantiene le sue promesse, oppure che non esiste. Se non può impedirle vuol dire che non è forte, che non è Dio; se può impedirle e non lo fa vuol dire che è cattivo, che non mantiene le sue promesse. Le stesse domande che si faceva Giovanni Battista. Per questo mandò dal carcere i suoi discepoli a chiedere a Gesù se fosse lui quello che aspettavano o se si erano sbagliati. E qui è importante capire la risposta che diede Gesù. Gesù si mise a guarire i ciechi, gli zoppi, i lebbrosi, i sordi, a risuscitare i morti e a dire che per i poveri c’era una bella notizia. “E perché loro si e io no?”, si sarà chiesto Giovanni. Vale anche per noi quando ci troviamo nei guai e ci chiediamo: Signore, perché non fai anche oggi dei miracoli così? Una domanda legittima, che però nasce da un errore, quello di credere che quelli di Gesù fossero dei miracoli, una parola che nel vangelo non compare mai. Quelli di Gesù non erano miracoli, ma segni. A quei tempi si pensava che ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi, poveri, fossero così perché Dio li aveva castigati per i loro peccati. Gesù li guariva per far capire (ecco il segno) che Dio non castiga nessuno, ma offre a tutti il suo amore, anche a loro. Risuscitò anche dei morti, ma per mostrare che è solo il corpo a morire, non la nostra persona, che noi vivremo per sempre, e che quindi Dio non ci salva dalla morte del corpo (altrimenti Gesù stesso non sarebbe morto), ma dalla paura di credere che la morte del corpo sia la fine di tutto. Dunque, con queste guarigioni, Gesù ci fa capire cosa vuol dire che Dio è giusto, cos’è la giustizia di Dio: Dio è giusto non perché premia e castiga, ma perché è fedele alla sua promessa d’amore: ci giudica tutti, buoni e cattivi, come suoi figli, e offre a tutti il suo amore. Cosa vuol dire che Dio è onnipotente: non che può fare tutto, come intendiamo noi, ma che il suo amore può fare tutto nelle persone che accolgono il suo Spirito e si lasciano guidare da lui. Ecco allora in che modo Dio ci ama: non intervenendo come un mago a trasformare le cose che non vanno, ma trasformando me, il mio modo di pensare e di vivere. Ci ama donandoci il suo Spirito che ci rende capaci in mezzo al male di rispondere col bene, in mezzo ai dolori di infonderci forza e di prenderci cura gli uni degli altri perché non vi siano solitudini, ingiustizie, povertà, e davanti alla morte di aprirci alla speranza. L’unica promessa di Dio e che Dio mantiene non è quella di farci andar bene tutte le cose o di proteggerci, ma di darci il suo Spirito. L’Avvento serve non per fare l’albero aspettando che nasca Gesù, perché Gesù è già nato, morto e risorto, ma serve per aiutarci a far nascere Gesù dentro di noi, e Gesù nasce in me quando io accolgo il suo Spirito. Di fronte al male che imperversa e sembra avere la meglio, spesso ci coglie un senso di smarrimento e di sfiducia che porta a dire: presto verrà la fine del mondo. Sbagliato. L’Avvento ci richiama le parole del credo, quando a proposito di Gesù diciamo che “egli ritornerà nella gloria”. E quando avverrà? Quando, come dice san Paolo, “Dio sarà tutto in tutti”, cioè quando tutti avranno accolto il suo Spirito. Dio non crea il mondo per distruggerlo, se no poteva anche fare a meno di crearlo. Il mondo destinato a finire è il vecchio mondo che vive nella logica del male e dell’egoismo perché non accoglie lo Spirito di Dio che muove tutto l’universo. E questo vecchio mondo finisce ogni volta che qualcuno accoglie e si lascia guidare dallo Spirito del Signore e in mezzo al male compie il bene. Cristo nasce in me e dunque continua a venire quando io accolgo il suo Spirito e lo seguo.