domenica 12 dicembre 2021

V DI AVVENTO (ANNO C) 12/12/21

Il titolo dato alla liturgia di questa quinta domenica di Avvento è “Il Precursore”. La parola “precursore” significa “uno che corre avanti”: il precursore è uno che giunge prima di un altro per annunciarne la venuta, quindi è uno che si considera meno importante della persona che deve venire. Lui corre avanti 

perché vuole che quelli che ascoltano il suo messaggio possano prepararsi ad accogliere chi deve venire. E’ per questo che Precursore è il titolo per antonomasia che viene dato a san Giovanni Battista perché egli precorse, venne prima di Gesù, iniziò a predicare e a battezzare per preparare la gente a seguire Gesù e, alla sua venuta, come abbiamo ascoltato nella pagina evangelica, disse a chiare lettere: lui deve crescere, io diminuire. Fu costretto a dirlo perché la gente pensava che fosse lui il Cristo, tanto è vero che i suoi discepoli erano gelosi del fatto che molte persone non andassero più da Giovanni a farsi battezzare, ma andassero da Gesù, dalla concorrenza, diremmo noi. Precursore di Gesù fu anche san Paolo, come precursori sono tutti i missionari che annunciano il vangelo a chi non lo conosce, e anche san Paolo, lo abbiamo ascoltato, era molto determinato nel dire ai Corinzi che essi dovevano aderire a Gesù, non a lui: noi siamo i vostri servitori, infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù. Sarebbe bello che oggi ognuno di noi provasse a pensare con riconoscenza e gratitudine chi sono stati i precursori di Gesù nella propria vita, quelli che per primi ci hanno parlato di Gesù, quelli che per primi ce lo hanno fatto conoscere ed amare. Purtroppo, nella trasmissione del vangelo, può accadere anche il contrario, senza volerlo, e cioè che familiari o amici molto devoti, con la loro insistenza, abbiano condotto qualcuno ad allontanarsi da un cammino di vita cristiana. Spesso capita di sentire qualcuno dire che lo hanno fatto pregare e andare a Messa così tanto da piccolo, che adesso basta, perché il troppo stroppia. Come quando uno fa indigestione di un cibo e poi sta male solo a vederlo. Nella vita, poi, per fortuna, può anche capitare di incontrare altri precursori, testimoni, capaci di riavvicinare a Gesù chi si era allontanato o a far compiere dei passi in avanti nel cammino di fede. Perché vedete, questa è la cosa più importante che vorrei comunicarvi oggi. Se parliamo di cammino di fede, il termine cammino indica un percorso, una strada, un movimento, e lungo la strada si incontrano tratti accidentati, ostacoli, salite, discese, soste, paesaggi belli e meno belli, fatiche, dubbi, stanchezze, imprevisti, belli o brutti, e questo vale anche nel cammino di fede. Ma la molla che fa intraprendere qualunque cammino e affrontare tutti gli ostacoli pur di arrivare a destinazione è sempre il desiderio che valga la pena percorrerlo. Molti abbandonano il cammino della fede, magari subito dopo la cresima, perché pensano che non valga la pena imparare a conoscere Gesù, come se Gesù nulla c’entrasse con la vita e i desideri più grandi che uno porta nel cuore. Per cui, i precursori, buoni o cattivi, servono sempre, ma fino a un certo punto, perché poi deve scattare qualcosa dentro che spinge a camminare. Io diffido di quelli che mi dicono di aver passato tutta la vita portando avanti la fede che gli hanno trasmesso i genitori, i nonni, o il prete conosciuto da piccoli, perché vuol dire che non hanno mai camminato, sono rimasti con una fede bambina, di tradizione, non di convinzione, che di fatto è incapace di rispondere alle grandi domande della vita: è tipico di queste persone, se devono rendere ragione della propria fede, rispondere dicendo “io non so queste cose, vai a chiederle al prete. L’idea di Dio che io avevo quando ero piccolo, e anche quella che avevo quando sono diventato prete, è mutata, non è più la stessa. Dio è sempre lo stesso, sono io ad essere cambiato e anche la mia comprensione del suo mistero, come è giusto che sia, perché la vita, coi suoi problemi e con le esperienze che si fanno, impone man mano nuove domande a cui una fede bambina non riesce più a rispondere, perché Dio non posso pretendere mai di averlo conosciuto, sarebbe come cercare di trattenere l’acqua in un pugno, ingabbiarlo nei propri schemi, cioè trasformarlo in un idolo rivestito d’oro e d’argento, diceva il profeta Isaia, come le belle statue delle nostre devozioni. A questo proposito, è bellissima la frase iniziale di questa lettura: il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia. E’ bellissima perché pensiamo di essere noi ad aspettare che Dio arrivi, si manifesti, invece il profeta dice che è Dio che sta aspettando che noi ci accorgiamo di lui che continua a venire. Avvento vuol dire venuta, la venuta di Dio, ma qui si ribaltano le cose: siamo noi che attendiamo la venuta di Dio o invece è Dio che attende che noi ci accorgiamo di lui? Isaia dice: è Dio che attende noi, che ci risvegliamo per incontrarlo, e per capire che è sempre diverso da come ce lo siamo costruiti noi o da come ce lo hanno trasmesso i nostri precursori, perché Dio è sempre di più. O si comprende questa cosa, o altrimenti Dio, che uno ci creda o meno, resta fondamentalmente inutile, solo una bella favola per bambini che infatti, crescendo, imparano subito a farne a meno, e la riprova l’abbiamo sotto gli occhi se pensate al modo col quale, di fatto, abbiamo trasformato il Natale: in una bella favola per bambini che comincia e finisce il 25 dicembre senza avere conseguenze nella vita di tutti i giorni, come accade anche per la Messa, per cui uno esce di chiesa uguale a come era entrato.