domenica 14 gennaio 2024

14/01/24 II DOMENICA DOPO L'EPIFANIA

La festa dell’Epifania continua perché l’Epifania comprende le prime manifestazioni pubbliche della divinità di Gesù, non solo quella davanti ai Magi, ma anche quella del Battesimo al Giordano celebrata domenica scorsa, quella della condivisione dei pani e dei pesci che sarà domenica prossima. Oggi 

celebriamo il momento in cui Gesù, col segno compiuto alle nozze di Cana, manifestò la sua gloria, come scrive Giovanni, l’unico evangelista a raccontare questo fatto. Ma è possibile che la gloria di Dio si manifesti trasformando più di 700 litri di acqua (perché 6 anfore che contenevano ciascuna da 80 a 120 litri fanno più di 700 litri) in ottimo vino per dar da bere a un gruppo di persone già ubriache, per rendere contenta una coppia di sposi? Certo, se leggiamo questo racconto, come tanti altri racconti biblici, prendendolo alla lettera, parrebbe una barzelletta. Vediamo, invece, come cambiano le cose se analizziamo bene questo racconto. Anzitutto, le nozze, nel linguaggio biblico, sono il simbolo biblico dell’alleanza tra Dio e il suo popolo: Dio è come uno sposo che ama ardentemente la sua sposa, Israele. Se notate, nel racconto non si parla degli sposi, appunto perché gli sposi sono Dio e Israele. Le nozze tra Dio e Israele erano avvenute davanti a Mosè sul monte Sinai, quando Dio aveva compiuto l’alleanza d’amore col suo popolo donando la Legge, i comandamenti. Ma questo matrimonio non portò frutto: una parte di Israele aveva rotto questa alleanza, non aveva portato i frutti dell’amore. Per questo si dice che mancava il vino, perché il vino è il simbolo dell’amore e della gioia: il punto culminante di un matrimonio era quando lo sposo e la sposa bevevano un bicchiere di vino dallo stesso calice. Maria non viene chiamata per nome e Gesù si rivolge a lei chiamandola “donna”, che significa “sposa, moglie”, perché qui rappresenta quella parte del popolo di Israele che, invece, era rimasta fedele all’alleanza con Dio, tanto è vero che quando si rivolge a Gesù, non gli dice “non abbiamo”, ma “non hanno” più vino, perché lei questo vino ce l’ha, e si rivolge a Gesù perché Giovanni Battista aveva detto che sarebbe stato Gesù il nuovo sposo che avrebbe fecondato il popolo di Israele, inaugurando una nuova alleanza d’amore. Solo così possiamo capire la risposta che Gesù rivolge a sua madre che, tradotta in italiano, non rende il senso, anzi, appare addirittura scortese. “Che vuoi da me?” era l’espressione che usavano i contraenti di un’alleanza per ricordarsi gli impegni reciproci, e quindi è come se Gesù le stesse dicendo: non importa che non abbiano vino, che l’alleanza d’amore tra Dio e il suo popolo sia morta, perché io sono venuto proprio per fare una nuova alleanza. Poi aggiunge: “non è ancora giunta la mia ora”. Nel vangelo di Giovanni, l’ora di Gesù è quella della sua morte in croce, quando dal suo costato usciranno acqua e sangue, il nuovo vino dell’alleanza. Maria capisce bene questa risposta, e infatti dice ai servi: “qualunque cosa vi dica, voi fatela”, le stesse parole pronunciate dal popolo di Israele dopo l’alleanza con Mosè: “quanto il Signore ha detto, noi lo faremo e lo eseguiremo”. Peccato che poi, come si diceva, non fosse accaduto. E Gesù cosa fa? L’evangelista ce lo dice con l’immagine delle sei anfore che servivano per la purificazione dei Giudei, che erano vuote e che Gesù ordina di riempire d’acqua fino all’orlo. Erano 6 perché, nella Bibbia, il 6 è il numero imperfetto simbolo dell’uomo (che la Genesi dice che fu creato il sesto giorno) che, invece di considerare Dio come uno sposo che feconda la sua sposa con l’amore perché possa donare i frutti dell’amore, pensa a Dio come a un padrone, che il suo amore vada conquistato con pratiche di purificazione, di sacrifici, mortificazioni, cercando di obbedire ai suoi comandamenti, senza mai riuscirci, e infatti le anfore sono vuote. Gesù, invece, inaugura una nuova alleanza: come dirà a un’altra donna, la samaritana, viene a donare l’acqua che zampilla per la vita eterna, cioè a rivelare che l’amore di Dio è per tutti, non guarda i meriti, ma i bisogni, va accolto: è di quest’acqua, di questo amore che vanno riempite le anfore, che siamo noi. E allora cosa succede? Che la gloria di Dio si manifesta, ecco l’epifania: quest’acqua che è il suo Spirito, quando viene versata, accolta, bevuta, diventa vino, perché consente di vivere il rapporto col Signore in un modo nuovo, con gioia e gratitudine. Vedete, dunque, come qui non si sta raccontando uno strano miracolo che sembra un gioco di prestigio che si presta a barzellette, e nemmeno un miracolo, ma è il modo col quale l’evangelista Giovanni spiega cos’è la gloria di Dio. La gloria di Dio è la manifestazione, l’epifania della sua potenza e la sua potenza non è quella di fare giochi di prestigio, ma di donarci il suo Spirito d’amore che consente di trasformare in una persona nuova chi lo accoglie e lo usa. È il dono che chiediamo in questa eucaristia, dove noi offriamo al Signore la nostra umanità simboleggiata dal pane e dal vino perché lui possa trasformarla facendoci diventare come lui.