sabato 20 gennaio 2024

21/01/24 III DOMENICA DOPO EPIFANIA (ANNO B)

5 anni fa, Papa Francesco volle che questa domenica dell’anno fosse dedicata a mettere in evidenza la centralità della Parola di Dio per la vita del credente. Simbolicamente abbiamo evidenziato questa cosa portando in processione l’Evangeliario, che contiene i brani di vangelo di ogni domenica dell’anno, ma

la centralità della Parola è quando noi, di fatto, questa Parola la amiamo, la leggiamo, la meditiamo, la preghiamo, la mettiamo in pratica, e non la lasciamo rinchiusa in un libro impolverato. Del resto, ignorare la Parola di Dio vuol dire ignorare chi è il Dio nel quale diciamo di credere. Ma questa Parola va prima di tutto capita, per non prendere fischi per fiaschi.  Per fare questo non ci si può accontentare dell’omelia della domenica: ognuno può e deve trovare qualche strumento che spieghi e commenti i testi della Bibbia o le letture della domenica. In Avvento io ho fatto alcuni video giornalieri per spiegare la Parola del giorno e i lunedì della Parola per spiegare le letture della domenica, e in seguito riprenderò questi appuntamenti, però nella nostra comunità ci sono da anni i gruppi di ascolto della Parola, purtroppo pochissimo frequentati. Insomma, di possibilità ce ne sono per tutti. Un esempio tra i più clamorosi che mostra come la Parola del Signore, per essere pregata e vissuta, prima di tutto vada compresa, ce lo forniscono proprio le letture di oggi, in particolare la pagina del vangelo. Normalmente viene intitolata: il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. In realtà, se la leggiamo e studiamo attentamente, non è né un miracolo né una moltiplicazione.  Gesù, in precedenza, nella prima beatitudine, aveva insegnato a condividere generosamente quello che si è e quello che si ha con tutti. Qui, nel deserto, Gesù vide la folla, ne ebbe compassione e curò i loro malati, e i discepoli che fanno? Invece di fare lo stesso, quando è il momento di mangiare, quasi gli ordinano di mandare via la folla perché si arrangiasse nell’andare a comprare il cibo. Ma Gesù non è d’accordo: “non è necessario”, dice, “voi stessi date loro da mangiare!”, che vuol dire non solo che dovete pensare voi a dare loro da mangiare, ma che il cibo che dovete dare agli altri da mangiare siete voi stessi, dovete donare voi stessi agli altri, prendervi cura degli altri, della loro fame. Ma come facciamo? Abbiamo 5 pani e due pesci. Ora, nella Bibbia i numeri non hanno mai un valore matematico. Come quando noi diciamo “ci sono qui quattro gatti”, non vuol dire che ci sono 4 gatti di numero, ma poche persone. Siccome 5+2 fa 7 e il numero 7 nella cultura ebraica significa “tutto”, vuol dire che quei pani e quei pesci sono tutto quello che hanno. Allora Gesù se li fa portare, compie gli stessi gesti che farà nell’ultima cena (non a caso tutta la scena si svolge di sera), spezza i pani, li divide (quindi, come vedete, non è un miracolo, perché Gesù non moltiplica niente, ma spezza, divide, un’azione che possiamo fare tutti), li dà ai discepoli, i discepoli alla folla e tutti si saziano in abbondanza. Dividendoli con la folla, si moltiplicano. Ma se prima non li avessero portati a Gesù per dividerli, li avrebbero mangiati solo loro. Forse sarebbe più appropriato intitolare questa scena evangelica “la matematica di Dio”. Cosa ci insegna? Noi, come il popolo d’Israele nel deserto, a Dio chiediamo non solo frutta, verdure, carne, perché non ci accontentiamo della manna, ma anche salute, soldi, lavoro, di farci andar bene le cose. Oppure gli chiediamo di pensarci lui a fare agli altri quello che invece dovremmo fare noi. Lo ringraziamo quando otteniamo quello che vogliamo, che poi però non ci basta mai, perché ci sarà sempre qualcosa che manca o diremo che era meglio quando si stava peggio, oppure ci arrabbiamo o perdiamo la fede se Dio non esaudisce le nostre richieste, infatti nella vita e nel mondo sono più le persone che bestemmiano di quelle che ringraziano. Tutto nasce da un errore di fondo, lo stesso per cui Dio si arrabbiò con Israele, e anche Gesù con i discepoli, e san Paolo ci ammonisce dicendo di non continuare a commettere lo stesso errore. L’errore è trattare Dio come un bancomat in cui inserire il PIN per fare uscire i soldi, chiedere a Dio di fare quello che, invece, siamo chiamati a fare noi. Quando accade, questo si che è davvero un miracolo. Infine, non dimentichiamo che questa è la quarta epifania che la liturgia ci fa celebrare: dopo la manifestazione della sua divinità davanti ai Magi, nel suo Battesimo al Giordano, alle nozze di Cana domenica scorsa, il racconto della condivisione dei pani e dei pesci manifesta in anticipo quello che Gesù farà nell’ultima cena, quindi il significato dell’eucaristia: noi offriamo al Signore tutto quello che siamo e che abbiamo nel segno del pane e del vino, ed egli ci restituisce se stesso perché, nutrendoci di lui, possiamo fonderci con lui, diventare come lui, capaci come lui di donare noi stessi agli altri, diventando così noi epifania di Dio.