domenica 22 settembre 2024

22/09/24 IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO (ANNO B)

La lettura di questa domenica vede come protagonista il profeta Elia. I profeti erano uomini che, parlando in nome di Dio, denunciavano le ingiustizie dei potenti richiamando tutti a tornare ad ascoltare la voce di Dio, anche a costo della vita, come capitò, appunto, ad Elia, quando fu costretto a fuggire per

non essere ammazzato dalla regina Gezabele. Va anche detto, a onor del vero, che Elia aveva sterminato tutti i sacerdoti della regina perché adoravano gli dèi pagani e, in questo, non si comportò da profeta, ma da talebano, e se ne rende conto, infatti, sfinito, si sdraia sotto una ginestra, stanco, sfiduciato, desideroso di morire: “Ora basta, Signore. Prendi la mia vita perché io non sono migliore dei miei padri”. E cosa accade in quel momento? Il racconto prosegue dicendo che un angelo del Signore lo toccò e gli disse: “Alzati, mangia”, e gli vennero donati una focaccia e dell’acqua. Egli mangiò e bevve, e si riaddormentò. Pensate che bello questo tocco dell’angelo e questo invito a mangiare: mangiò della focaccia cotta su pietre roventi e bevve dell’acqua dell’orcio. E si riaddormentò. Ma era talmente sfinito che nemmeno quella focaccia e quel sorso d’acqua gli erano bastati: troppa la debolezza fisica e la disperazione che gli stavano prosciugando l’anima. Ma ecco che di nuovo “l’angelo lo toccò e gli disse: Alzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”. Ebbene, il tocco dell’angelo, la focaccia e l’acqua riuscirono a rimettere Elia in cammino e lo sostennero per quaranta giorni e quaranta notti nel deserto. Non è forse vero che capita anche a noi in certi momenti della vita, di essere sopraffatti dalla fatica, dalla tristezza, come se si fermasse il battito della vita? E che cosa può risvegliarci da una depressone, da una paralisi, da quella voglia di lasciarsi andare, di arrendersi, o addirittura di farla finita? Che cosa? Il tocco dell’angelo, la focaccia, l’acqua. Pane e acqua, cose semplici della vita, ma essenziali, accompagnati però da un tocco dell’angelo, cioè avvolti da un gesto che dice la relazione. Noi pensiamo magari che per rimettere nel cuore anche un solo grumo di fiducia nella vita ci sia bisogno di chissà chi o di chissà che cosa, quando invece è sufficiente il tocco di qualcuno che ti vuole bene e ti dona quel pane e quell’acqua di cui hai bisogno in quel momento. E questo è sempre il tocco di Dio, perché Dio si manifesta sempre quando qualcuno ti tocca con amore. E a nostra volta siamo chiamati a diventare gli uni per gli altri questo tocco di Dio. Quando celebriamo l’Eucaristia dovremmo avvertire la stessa cosa, e il vangelo ci aiuta a capire il perché. Gesù dice di sé di essere il pane disceso dal cielo che ci fa vivere, lui, non quello che mangiarono nel deserto gli israeliti, che infatti poi morirono: “chi mangia di me non muore”. Gesù si è detto pane, ma si è anche fatto pane. Ce lo ha ricordato oggi Paolo nella lettera ai Corinzi. Gesù mise tutto se stesso in quel pane e in quel vino, per farsi non solo toccare, ma addirittura mangiare, per far vedere che Dio vuole fondersi con noi e farci diventare come lui. Fate questo in memoria di me non vuol dire solo “ripetete quello che ho fatto io nell’ultima cena celebrando la messa”, ma vuol dire: diventate anche voi gli uni per gli altri il tocco dell’angelo, il tocco di Dio, diventate anche voi pane che si spezza, fatevi mangiare dagli altri, non mettetevi a mangiare gli altri, diventate vino per gli altri, vino di festa, fate in modo che gli altri, incontrando voi, siano più felici. Che peccato, allora, quando viviamo la cena del Signore come una semplice cerimonia, che più breve è meglio è, fatta di gesti che non riescono a toccare né il corpo né l’anima, invece di diventare il momento in cui poter fare la stessa esperienza di Elia, avvertire il tocco di Dio che ci riempie del suo amore perché poi possiamo donarlo agli altri diventando noi il tocco di Dio. E così sia.