C’è un verbo, coniugato all’imperativo, che troneggia nelle letture di quest’ultima domenica di Avvento: rallegrati, rallegratevi. Rallegrati, comanda l’angelo a Maria. E siccome il timore o la paura sono ciò che impedisce di rallegrarsi, subito dopo viene detto a Maria: non temere, un verbo che, peraltro, a detta di
alcuni studiosi, viene ripetuto per 365 volte in tutta la Bibbia, come a dire che ogni giorno dell’anno il Signore lo ripete a ciascuno di noi. Rallegrati, popolo santo, abbiamo cantato come ritornello del salmo, in risposta alle parole del profeta Isaia che spiega perché occorre rallegrarsi: perché arriva il tuo salvatore. Anche l’angelo spiega a Maria perché deve rallegrarsi: perché è piena di grazia, cioè, perché Dio è innamorato di lei, e perché “il Signore è con te”. Pensate quante volte viene ripetuta questa frase in ogni liturgia, come è accaduto solo poco fa prima che leggessi il Vangelo: il Signore sia con voi, che poi non è un augurio, perché il Signore, di fatto, è con noi. Non so perché la traduzione italiana dalla liturgia in latino abbia tradotto così. Nella Messa in latino l’espressione è Dominus vobiscum, cioè il Signore è con voi. Infine, san Paolo, ai cristiani di Filippi scrive a chiare lettere le parole che giungono anche a noi: fratelli, siate sempre lieti, nel Signore, ve lo ripeto siate lieti. Deve ripeterglielo perché, evidentemente, non erano molto convinti. Come, purtroppo, continuiamo a non esserne convinti nemmeno noi, ed è per questo che il Signore continua a ripeterci: rallegratevi, perché io sono innamorato di te, di me, di noi, perché io sono con te, non temere, non avere paura, sono il tuo salvatore. Perché non ne siamo convinti? Non ne siamo convinti perché la realtà che viviamo, con i suoi problemi, i suoi drammi, le sue tragedie, personali e sociali, non offre molti motivi per cui rallegrarsi e, al contrario, ne offre tanti per cui deprimerci e, siccome sembra che il Signore non intervenga per salvarci, questo invito rischia di risuonare nel vuoto. Papa Francesco aveva intitolato “Evangelii gaudium” la sua prima e programmatica esortazione apostolica risalente ormai a 11 anni fa: la gioia del Vangelo. E la terza, che scrisse nel 2011, si chiamava “Gaudete et exultate”, un titolo che non ha bisogno di essere tradotto. Così scriveva il Papa (vi leggo alcuni frammenti fra i tanti che si potrebbero citare): “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che cerca piaceri superficiali. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi, non vi è più spazio per gli altri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto. Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore». Maria, col suo Eccomi, lo abbiamo letto prima, ce ne dà l’esempio. E sempre il Papa, nella Evangelli gaudium, denuncia con realismo ed ironia come vi siano tanti cristiani che “sembrano avere un stile di Quaresima senza Pasqua”, con “facce da funerale” che sviluppano una “psicologia della tomba” che, a poco a poco, li trasforma in “mummie da museo”. Ogni volta che celebriamo l’eucaristia dovrebbe essere una gioia, eppure sono in tanti a disertarla, e molti di quelli che vi partecipano (certamente non voi che siete qui quest’oggi), hanno volti spesso scuri, annoiati o imbronciati. Ebbene, il Signore continua a venire, incontrandoci a Nazaret, come Maria, nella nostra quotidianità, nella situazione esistenziale spesso drammatica in cui ciascuno di noi, chi più chi meno, viene a trovarsi, e ci ripete “Rallegratevi, rallegrati, non temere, io, diventando uomo, ho preso la tua carne, mi sono incarnato, non sono un Dio lontano e inaccessibile, sono vicino, sono con te; ho condiviso nella passione le ingiustizie, i dolori, le sofferenze di ogni uomo; morendo ho sperimentato la paura della morte; ma anche nella morte, negli inferi, ti sono venuto ad incontrare, per portarti fuori dalla tomba, e farti risorgere; e ti ho donato il mio Spirito perché non sono solo il Dio con te, ma il Dio dentro di te, in te; sono il tuo salvatore non perché prevengo o risolvo i tuoi problemi, ma perché sono la luce che ti permettere di vedere la realtà con i miei occhi, il pane che sostiene il tuo cammino, il vino che allieta il tuo cuore”. Non lasciamoci rubare la gioia del Vangelo dal Natale vissuto come una data del calendario che spaccia per gioia un giocattolo di tradizioni che abbiamo inventato noi e che durano un giorno.