Le due grandi solennità del Natale e della Pasqua non durano un giorno, ma otto giorni. Il numero 8 è il simbolo della risurrezione, dell’eternità. Per questo la domenica è per i cristiani non solo il primo giorno della settimana, ma, essendo il giorno della risurrezione di Gesù, diventa l’ottavo giorno, quello che va
oltre, perché la settimana è fatta da sette giorni, non da otto. La settimana rappresenta dunque la nostra vita terrena, che però è destinata alla risurrezione, ad entrare nell’ottavo giorno. Ecco perché nell’ottavo giorno si celebra l’eucaristia: perché l’eucaristia è già un anticipo di questa eternità, dal momento che Gesù crocifisso e risorto, si rende presente nel pane e nel vino donandoci la sua stessa vita immortale. Ma, nei giorni dell’Ottava, che sia di Natale o di Pasqua, anche i giorni feriali diventano festivi, perché la festa si prolunga per otto giorni: oggi è Natale, come ieri, come domani, fino all’ultimo giorno dell’ottava che sarà il primo di gennaio. La festa si prolunga per otto giorni per ricordarci che i misteri che celebriamo, non sono solo fatti del passato, ma eventi che accadono oggi per noi, e darci così la possibilità di penetrarli più a fondo. Ebbene, oggi, quarto giorno dell’ottava di Natale, la liturgia ci fa leggere quello che racconta Matteo nel capitolo 2 del suo vangelo. Mentre Luca dedica molti versetti per raccontare la nascita di Gesù, non parla di Erode, ma del censimento, dell’arrivo dei pastori, e poi del ritorno della sacra famiglia a Nazaret, tutto vissuto in un contesto sereno, Matteo, non solo non parla di questo, ma, al contrario, costruisce un racconto drammatico: scrive in un solo versetto che Gesù nacque a Betlemme al tempo di Erode, non parla dei pastori, ma dell’arrivo dei Magi, del turbamento di Erode e, con lui, di tutta Gerusalemme, a cui segue l’ordine di uccidere tutti i bambini di Betlemme, e della fuga in Egitto della famiglia di Gesù. Perché queste differenze? Perché i vangeli non sono una cronaca di storia, ma vogliono raccontare delle verità di fede, e nei racconti della nascita e dell’infanzia di Gesù, Luca e Matteo anticipano, come nell’overture di un’opera lirica, i temi che svilupperanno nei loro vangeli. Luca scrive il suo vangelo per i cristiani della terza generazione, che non avevano conosciuto Gesù, che non erano ebrei e non conoscevano l’Antico Testamento, e il filo conduttore del suo vangelo è la misericordia di Dio che si rivolge a tutti, senza guardare i meriti delle persone: ecco perché racconta l’arrivo dei pastori, considerati la feccia della società ed esclusi dalla salvezza, per dire subito che la misericordia di Dio abbraccia, prima di tutti, proprio i peccatori. Matteo, invece, scrive il vangelo per gli ebrei che erano diventati cristiani, che avevano riconosciuto in Gesù il Salvatore ed il Messia, ma a condizione che si comportasse secondo la legge di Mosè. Allora cosa fa Matteo? Cerca di presentare Gesù come il nuovo Mosè, però superiore a Mosè, e per far questo ricalca gli avvenimenti della storia di Mosè. Mosè, secondo la tradizione, aveva scritto i primi cinque libri della Bibbia, e allora Matteo divide il suo Vangelo esattamente in cinque parti, con cinque lunghi discorsi di Gesù. Dio fece l’alleanza con Mosè sul monte Sinai donando le tavole della Legge, e allora Matteo, pone Gesù su un monte mentre dona la nuova alleanza, che non è più l’osservanza dei comandamenti, ma la pratica delle beatitudini. Mosè muore sul monte Nebo e lascia Giosuè come suo successore, e allora Matteo conclude il suo Vangelo su un monte, dove Gesù risorto proclama che non ha bisogno di successori, perché, dice, “io sono con voi fino alla fine del mondo”. Ecco perché, Matteo, fin dall’inizio del vangelo, nell’annuncio a Giuseppe della sua nascita, parla subito di Gesù come “il Dio con noi”. Appena nato, Mosè era stato salvato dallo sterminio di tutti i bambini degli ebrei voluto dal faraone, e allora Matteo parla di Gesù che viene salvato dalla strage dei bambini ebrei voluta da Erode, il nuovo faraone. Erode è stato un grande assassino, aveva ammazzato i propri figli e quindi era una persona senza scrupoli, ma storicamente, l’unico crimine che non gli si può imputare è proprio questa della strage dei bambini di Betlemme. Quindi, questo racconto, è un espediente letterario di Matteo per anticipare la morte di Gesù: quello che non riuscì ad Erode padre, riuscirà ad Erode figlio: tra chi perseguita e chi è perseguitato, Dio è sempre dalla parte di chi viene perseguitato. E ancora. Ai tempi di Mosè, gli ebrei erano schiavi in Egitto e da lì fuggirono verso la terra promessa, che però, nel corso dei secoli, da terra di libertà diventò terra di schiavitù, perché i capi religiosi, contro cui Gesù sempre si scaglierà, avevano educato il popolo a vivere un rapporto con Dio fatto di leggi e divieti. Da questa terra, da questo modo sbagliato di vivere il rapporto con Dio, bisogna fuggire, e sarà Gesù, il nuovo Mosè, a far compiere questo viaggio verso la vera libertà, inaugurando un nuovo modo di vivere il rapporto con Dio. Questa verità di fede, Matteo la anticipa raccontando il viaggio della sacra famiglia, non più dall’Egitto verso Israele, ma da Israele verso l’Egitto. Saranno proprio i pagani, gli egiziani, nemici storici di Israele, ad accoglierli. Gesù profugo e migrante, insieme a Maria e Giuseppe, viene accolto proprio dagli stranieri, giudicati dagli ebrei nemici ed esclusi dalla salvezza. Ecco perché Matteo, a differenza di Luca, invece di parlare della visita dei pastori, parla dei magi, che rappresentano tutti i popoli della terra, proprio per indicare che la salvezza è per tutti, che Dio non esclude nessuno, per cui chi esclude un uomo sta rifiutando Dio, quel Dio che facendosi uomo ha assunto la nostra carne, quella di ogni uomo, un Dio che non è in cielo, ma è presente in ogni uomo. Un messaggio di una attualità pazzesca.