Per i cristiani, l'ultimo giorno dell'anno civile è anche l'ottavo giorno della festa di Natale. Il Natale, come la Pasqua, dura otto giorni, perché il numero 8 simboleggia la risurrezione e l'eternità: vuol dire che noi non festeggiamo eventi del passato, ma che Dio si incarna in noi oggi, per farci rinascere e
vivere come Gesù, quindi per farci risorgere, già adesso. E, pensate che bella questa cosa, ogni volta che celebriamo l’eucaristia possiamo pregustare questo anticipo di eternità, perché il Signore vivente si rende presente nel pane e nel vino per continuare a incarnarsi in noi, far morire ciò che impedisce la nostra crescita umana e farci risorgere a vita nuova. E la liturgia ambrosiana dell’Ottava di Natale riesce ad evidenziare questa cosa molto più di quella romana, perché, seguendo le indicazioni del vangelo di Luca, oggi noi celebriamo la circoncisione di Gesù che, secondo l’usanza ebraica, accadde otto giorni dopo la sua nascita. Mi spiego. Gesù viene circonciso perché apparteneva al popolo ebraico. La circoncisione, per gli ebrei, era ed è, ancora oggi, il segno inciso nella carne dell’alleanza di Dio col suo popolo, e Gesù è il punto di arrivo dell’alleanza di Dio col popolo di Israele. Ma Gesù insegnerà che la vera circoncisione, il vero segno che testimonia la nostra appartenenza a Dio, è quando impariamo ad amarci come lui ci ama: è l’amore che ci rende simili a Dio, tanto è vero che noi non veniamo circoncisi. Cosa significa questo? Che Dio si incarna, prende la carne, entra nella vita di qualunque uomo e donna di ogni tempo e di ogni luogo, quale che sia la sua fede, la sua cultura, tradizione o situazione esistenziale. Io posso essere ricco, povero, sano, malato, di Lecco, di Campobasso, di New York, del Congo, di Mosca, di Kiev, di Gerusalemme, di Gaza, essere ateo, musulmano, idraulico, avvocato, ladro, assassino o madre Teresa di Calcutta: Dio si incarna lì, prende la carne di ogni uomo e di ogni donna, ma per fare nuove tutte le cose, per rinnovarci, per farci vivere ogni situazione della nostra vita con uno sguardo diverso, anche abbandonando ciò che intralcia questo cammino di crescita umana. Questo vale, anzitutto, per la vita personale di ciascuno. Se Dio, come abbiamo ascoltato nel brano di san Paolo ai Filippesi, ha svuotato sé stesso diventando come noi, l’augurio è che ognuno di noi lo avverta presente nella sua vita, e allora, possiamo essere certi che, comunque andranno le cose, sarà un buon anno, perché il suo Spirito è capace di trasformare ogni situazione, anche la più difficile, in un’occasione di grazia. Vale poi per la vita comunitaria, delle nostre tre parrocchie a cui apparteniamo. L’augurio è che nessuno si abbarbichi ad anacronistiche e campanilistiche tradizioni, dicendo “si è sempre fatto così”, quando esse non riescono più a permettere a Dio di continuare ad incarnarsi nella realtà. Non è un cammino facile: come raccontano gli Atti degli Apostoli, ci fu bisogno di un Concilio, il primo della storia della Chiesa per discutere se, per diventare cristiani, occorresse che, prima, si venisse circoncisi: se non avesse prevalso la linea di chi sosteneva di no, noi oggi saremmo tutti circoncisi. Ecco perché c’è sempre bisogno di rinnovare l’azione pastorale della Chiesa affinchè sia al passo coi tempi: il vangelo è sempre quello, ma deve incarnarsi nella realtà, e la realtà cambia. Non è un processo facile, ci vuole coraggio, anche il coraggio di sbagliare, ma bisogna provare, altrimenti è come mettersi a scopare il mare. Nel nostro piccolo, a partire dal nuovo consiglio pastorale, sono contento che si sia cominciato, nel corso dell’anno che sta terminando, a provarci. In un contesto in cui preti e fedeli sono sempre di meno rispetto al passato, penso al fatto che tre laici hanno accolto l’appello a iniziare un cammino che li porterà a diventare ministri istituiti della Parola, dell’eucaristia e della catechesi, quindi ad assumere incarichi specifici che prima erano appannaggio solo dei preti. Penso al nuovo percorso di catechesi dei bambini dell’iniziazione cristiana che prevede la partecipazione dei genitori agli incontri; alla visita alle famiglie in Avvento fatta non solo dai preti, ma anche dai laici; alla costituzione di un’equipe congiunta di alcuni membri dei consigli per gli affari economici delle nostre tre parrocchie, insieme ad alcuni tecnici, per progettare un uso pastorale delle nostre strutture che sia vantaggioso economicamente e capace di rispondere meglio alle esigenze pastorale di oggi e del futuro. Così come occorrerà molto presto ripensare agli orari e ai numeri delle messe (non ha senso continuare a celebrare, per esempio, due messe con le chiese mezze vuote dove, gli stessi fedeli, potrebbero riempire la chiesa partecipando a una sola messa). Ci sono poi altre grandi sfide: ripensare la bellissima festa pastorale di inizio settembre, molto partecipata, ma solo dai parrocchiani di Germanedo e non delle altre due parrocchie; oratori pieni di ragazzi usati dalle famiglie in estate come parcheggio e vuoti nel resto dell’anno. Io sono molto fiducioso, perché, da poco più di un anno che sono qui, ho incontrato finora tanti fratelli e sorelle che, in tutti gli ambiti, sono attivi, coinvolti e capaci di coinvolgere: insieme a don Andrea e a don Giuseppe, contiamo su di voi. E, infine, non dimentichiamo che l’incarnazione di Dio coinvolge, di conseguenza, non solo la vita personale di ciascuno e della comunità a cui apparteniamo, ma l’intera Chiesa e tutta l’umanità di cui facciamo parte. Come cristiani, siamo chiamati a incidere nella società, ad essere collaboratori del Signore nel costruire il suo regno di pace e di giustizia. Andate a leggere, se non lo avete ancora fatto, il bellissimo messaggio del Papa in occasione della giornata mondiale della pace che si celebra, come sempre, in questo primo giorno del nuovo anno. Purtroppo, spesso, le sue parole rimangono inascoltate da chi ha in mano i destini dell’umanità, ma, almeno noi, cerchiamo di tradurle nella vita. Proprio perchè lo slogan del Giubileo che si è appena aperto è “pellegrini di speranza”, io nutro la speranza che non sia solo Dio ad aprire la porta santa del suo amore trasformante (di questo possiamo esserne certi), ma che, quello che stiamo iniziando, sia davvero tempo favorevole e propizio di conversione nel quale ognuno di noi, io per primo, impariamo ad aprire la porta della nostra mente, del nostro cuore, della nostra vita, al suo Spirito che vuole prendere carne in noi, incidere veramente nella nostra vita personale, comunitaria e sociale.