giovedì 13 novembre 2014

MORTE, VITA ETERNA, INFERNO, PURGATORIO, PARADISO, GIUDIZIO, RISURREZIONE

La morte è un male o no?
Nella Bibbia due visioni: la morte come conseguenza del peccato (perché Dio ha creato l’uomo per l’immortalità) e la morte come “decreto del Signore” indipendentemente dal peccato (Sir 41,4).
Occorre distinguere allora tra la morte voluta da Dio come naturale fine della vita terrena e la “morte

seconda” (Ap 2,11) come distruzione definitiva della personalità, conseguenza del peccato.
Ne deriva che la morte, per quanto dolore comporti, in sé non è un male, perché è il fine della vita terrena, cioè la conseguenza naturale e diretta del darsi della vita. Se non vi fosse la morte non esisterebbe la vita.
L’essenza stessa della vita è impastata di morte, perché la vita è possibile solo grazie alla morte (a partire dalla morte delle stelle che produce nell’universo quell’energia da cui scaturiscono gli elementi chimici necessari alla vita, il primo dei quali è il carbonio). La natura scaturisce dal matrimonio tra la morte e la vita, il cui figlio primogenito è la sofferenza (di cui parleremo in Quaresima). Pensiamo al nostro organismo con la nascita di nuove cellule che avviene con la morte di altre; alla catena alimentare che produce la vita con la morte di altri esseri viventi, compresa l’erba dei prati uccisa dal brucare delle pecore. La morte ha iniziato ad esistere nel momento in cui è esistita la vita, cioè prima di Adamo. Quando si mette al mondo un figlio, lo si condanna a morire. La vita è una malattia mortale. Accettare la morte è dunque l’unico modo realistico per accettare la vita fino in fondo e per comprenderne il significato. Imparare a morire ci fa imparare a vivere. Non c’è altro modo. Dio avrebbe potuto creare la vita senza la morte? Io credo che la risposta sia che avrebbe creato qualcosa di diverso dalla vita che conosciamo (una non-vita), e cioè avrebbe creato qualcosa che non ci è dato di conoscere, quindi la domanda è inutile.
Eppure, se guardiamo al mondo e la sua evoluzione, ci accorgiamo che la logica evolutiva che continua ad essere in atto, è votata alla vita e non alla morte. Una logica talmente ordinata che infatti ha guidato la natura a generare sempre la vita. Dal puntino cosmico primordiale si è giunti alla vastità della materia. Dalla materia inanimata si è passati alla vita. Dalle prime forme di vita alla complessità dell’intelligenza. E dunque non è per niente un caso che dalla vita intelligente (quella umana) si sia giunti al desiderio dell’uomo dell’ordine, dell’armonia, che si traduce nella vita morale, nel desiderio di amore, verità, bene, giustizia e, in ultima istanza, di una vita che non finisca.
E questo perché il Dio creatore è il Dio della vita, che appunto ha impresso nell’uomo questo desiderio di vita, nonostante il suo essere votato alla morte.
A questo punto entrano in gioco altre domande che riprenderemo quando parleremo del problema del male, del dolore innocente, della sofferenza e che si riassumono in una: se Dio è buono ed è amore, perché permette il male? Qui limitiamoci a rispondere al perché Dio che ha impresso in noi il desiderio della vita permette la morte.
E abbiamo risposto dicendo che non è che Dio permette la morte, ma che la vita è possibile solo attraverso la morte. E qui entrano in gioco la morte e la risurrezione di Gesù. Gesù rivela che Dio è Padre che da la vita, che noi siamo suoi figli amati, che ha impresso in noi il desiderio della vita, e quindi che non è possibile che il Padre ci abbia destinato alla morte, sennò sarebbe un criminale. Quindi che la morte del corpo è un passaggio, una trasformazione, come dice san Paolo. Siamo figli creati nel Figlio, cioè avendo Gesù come modello di uomo, quindi destinati prima a morire, poi a risorgere, come è accaduto a lui.
Di per sé questo è il destino di tutti, perché il Padre ama tutti i suoi figli.
Ma come una macchina è programmata da chi l’ha costruita per andare a benzina, così noi siamo “programmati” dal Padre per vivere da figli come il Figlio, riproducendo in noi e nelle nostre opere l’amore che unisce il Padre e il Figlio, l’amore che da la vita. E a differenza di una macchina, ci ha creati liberi. Creati a sua immagine, ha impresso in noi il bisogno di essere amati e di amare, e ci sentiamo vivi solo quando siamo amati e impariamo ad amare. Lo Spirito santo, che è la presenza in noi dell’amore del Padre e del Figlio, è la “benzina” che permette alla nostra macchina di muoversi bene senza rompersi o andarsi a schiantare. Ma spetta a ciascuno di noi scegliere se alimentarsi di questa benzina o di altro.
Se io vivo con la coscienza di Gesù e come Gesù, come figlio di un Dio che è Padre e che da la vita, e dunque dando anch’io la mia vita come ha fatto Gesù per amore dei fratelli, riproduco dentro di me la logica di Dio, e quindi la morte del corpo non è la dissoluzione della mia persona, ma l’ingresso definitivo nel mondo divino, nella vita piena, vera, che non muore più. Perché se Dio è amore e Dio è eterno, solo l’amore è eterno, e quindi solo chi ama non morirà mai, perché l’amore è ciò che ci unisce al Dio eterno che è amore.
Vivendo in questa prospettiva, la morte non diventa più un male, perché segna l’ingresso definitivo nella gloria di Dio. Il male è la “morte seconda”, la dissoluzione della mia personalità dopo la morte del corpo, e questa è si la conseguenza del peccato. Il peccato è scegliere di mettere nel mio serbatoio la Coca Cola invece del carburante scelto da Dio. E il peccato nasce da un malefico inganno: pensare Dio come nemico, come padrone, come giudice e non come Padre che ama. Gesù è venuto a SALVARCI, a liberarci da questo inganno. E lo ha fatto in modo supremo sulla croce. Perché accettando di rispondere al male di chi lo uccideva col perdono, ha rivelato chi è Dio: un Padre che perdona tutti perché tutti sono suoi figli. Gesù, sentendosi Figlio amato in questo modo, perdona tutti perché tutti sono suoi fratelli. E morendo in questo modo inonda tutti con lo Spirito santo, che è l’amore che unisce il Padre col Figlio perché possiamo vivere di questo amore, se lo vogliamo. E quindi la risurrezione è la conseguenza inevitabile, il passaggio definitivo nel regno di Dio, che è amore.
Ma la risurrezione inizia già adesso quando io mi rendo conto, quando io prendo coscienza di tutto questo.
E prenderne coscienza significa MORIRE al peccato, far morire tutte le mie false idee su Dio, su di me, sulla vita, sugli altri, e quindi morire all’egoismo e al male. Stiamo parlando di un’altra morte, ma sempre di morte. E questo tipo di morte non solo non è un male, ma diventa sommo bene, e anche questo dimostra che davvero la vita accade solo morendo.
Morendo a me stesso, io già sono risorto, perché vivo da risorto, vivo già in Dio, perché sento che Dio vive in me, e quindi affronto la vita di tutti i giorni e la morte del mio corpo che prima o poi mi toccherà con uno spirito diverso, con la “benzina” che viene da Gesù, con lo Spirito santo, appunto.
Capisco che con la morte del mio corpo, quando entro nel sepolcro, trovo Gesù che mi tira fuori: perché cercate tra i morti colui che è vivo? È risorto, non è qui!
Ma se io nella vita non riproduco questa logica, cioè vivo con un’altra benzina?
Il punto è che tutti ci siamo dentro, chi più chi meno, perché la nostra fragilità e la forza del male, dell’inganno, continuano sempre a tentarci e ad avere la meglio, questo è il problema.
Non è che siamo tutto bene o tutto male.
Basta un filo d’amore a metterci in comunione con Dio, e chi di noi può dire di se stesso o tantomeno di un altro che questo filo d’amore non ce l’ha?
In ogni caso, è per questo che Gesù ci ha insegnato a non giudicare nessuno, semmai a guardare alla trave che c’è nel proprio occhio che ci impedisce di vedere dentro noi stessi.
Tantomeno a fare il bene per avere una ricompensa, perché facendo il bene ho semplicemente fatto l’unica cosa che dovevo fare per essere in comunione con Dio ora e per sempre, e questa è la mia ricompensa (ricompensa non da poco).
L’alternativa è l’Inferno. Inferno che inizia ora, perché se io ora non vivo riproducendo in me la logica d’amore divina, vivo nella morte, nella tristezza, e genero a mia volta disperazione e tristezza, cioè l’inferno nel quale vive da sempre l’umanità. Se io sono cieco e non comprendo quello che Gesù ha detto di Dio, non vivo come figlio e come fratello, non vivo come agnello, non vivo nella logica eucaristica, ma vivo come lupo che sbrana e uccide. E nel momento della morte corporale sarà improbabile potersi ricongiungere a Dio. Improbabile ho detto, non impossibile, perché nulla è impossibile a Dio. L’Inferno sulla terra è una realtà, quello dopo la morte è una reale possibilità, perché se così non fosse vorrebbe dire che noi saremmo programmati non come uomini e donne dotati di libertà, ma come macchine, e così di fatto non è. Reale possibilità non significa però che all’Inferno (inteso non come luogo, ma come dimensione dell’essere) vi sia qualcuno. Cosa poi voglia dire essere all’Inferno, anche qui ci si può sbizzarrire. Difficile è pensare che Dio, Padre buono, possa sopportare che vi siano dei suoi figli lontani da lui per sempre. Se l’eternità è il regno di Dio, e il regno di Dio è l’amore, e solo chi ama non morirà mai, parrebbe logico pensare che nell’eternità non può sussistere nient’altro che l’amore, chi ha cercato di amare, chi ha amato, chi si è lasciato guidare (consapevolmente o meno) dallo Spirito santo, e quindi che andare all’Inferno voglia dire che con la morte del corpo si dissolva completamente anche la personalità dell’individuo (da cui l’immagine del fuoco dell’inferno che brucia per annientare, non per continuare a far soffrire, altrimenti questo entra in contraddizione con l’idea del Dio d’amore rivelataci da Gesù). Pensiamo alla grandiosa scena del giudizio universale raccontata da Matteo al capitolo 25.
Da qui è sorta l’immagine del
Purgatorio che, pur non avendo molti fondamenti biblici, è di fatto un’invenzione della Chiesa che meglio di tutte permette di uscire da questa empasse. Perché Dio vuole salvare anche Giuda, per cui nel sepolcro io incontro Cristo che vuole tirarmi fuori. Beati i puri di cuore perché vedranno Dio. Chi di noi può essere certo di riuscire a giungere al termine della sua vita con questi occhi così puri? Semmai possiamo essere certi del contrario. E allora non si salverebbe nessuno. Cosa che contraddirebbe tutto quanto siamo andati dicendo finora e che poi è il cuore della nostra fede. Il Purgatorio allora è la conseguenza più logica che vi sia, perché nessuno di noi riesce di fatto a raggiungere nella vita terrena questa purezza di cuore attraverso l’amore assoluto proprio di Dio, per cui nessuno potrebbe salvarsi, da cui allora la possibilità che vi sia un’ulteriore cammino di purificazione dopo la morte aiutato dalle preghiere d’amore di chi è vivo. Non perché dobbiamo convincere Dio a salvare, perché Dio è già convinto. Pregando con amore per i defunti, noi dimostriamo di sentirli come nostri fratelli, ed è questo che vuole il Signore: e se nella vita hanno compiuto il male, e ci siamo dentro tutti, attraverso il nostro amore fraterno, possono sentire l’amore del Padre che li attrae a sé, capiscono la loro stupidità che non avevano capito da vivi, e così pian piano vengono purificati fino a quando vedranno Gesù nel sepolcro che li tira fuori ed entrano in Paradiso, santi tra i santi, e così saranno loro a pregare per noi perché impariamo a nostra volta a non essere stupidi e a giocare bene la partita della vita. E’ quella stupenda verità di fede che si chiama COMUNIONE DEI SANTI. 
Alcune precisazioni 

L’anima
I fisici, e non i teologi, ci insegnano che ogni essere dobbiamo pensarlo come energia. Anche un sasso, che in apparenza, nella sua durezza e stabilità, ci apparirebbe privo di energia, in realtà è così per via dell’energia che viene sviluppata dal pazzo e forsennato movimento degli elettroni intorno al nucleo dell’atomo, ad una velocità pari a 100 milioni di chilometri orari. E lo stesso vale per il cervello o per l’unghia di un uomo. La materia del nostro corpo non è altro che energia condensata, o meglio, energia che continuamente si condensa. Ma come mai, a differenza del sasso, il corpo umano si muove ed è vivo? Perché un sasso è senza vita e noi no? Perché nel caso del sasso l’energia è tutta condensata nella materia, nel nostro caso, invece, l’energia scaturita dal movimento atomico non si condensa tutta nella materia, ma presenta un surplus, un’eccedenza, rispetto alla materia. E’ questo surplus di energia a rendere vivente un corpo, a renderlo.... animato. Se vogliamo, a questo primo livello dell’essere, l’anima si spiega così, come il surplus di energia rispetto alla configurazione materiale del corpo. Questo surplus è il segreto della vita. Ogni essere vivente, per il fatto stesso di vivere, di essere cioè animato, possiede un’anima. Non solo gli animali, anche le piante, che non a caso crescono meglio con la musica di Bach che con quella da discoteca. I sassi sono indifferenti alla musica. Inoltre, più cresce la differenza tra la materia costituita dall’energia e l’energia residua, più cresce la qualità dell’anima. Insomma, quando l’energia è uguale alla materia non si ha la vita, e quando è maggiore della materia, si. Se il residuo di energia che rimane (l’anima) è tutto concentrato sulla materia, vi è solo la vita materiale. Se invece questo surplus di energia che forma l’anima riesce a distaccarsi dalle necessità e dai legami della materia, nasce una forma di vita che conosce anche la dimensione spirituale. Ma l’uomo è l’unico essere nell’universo conosciuto nel quale la differenza tra energia libera ed energia legata come materia è tale da produrre una dimensione qualitativa dell’essere superiore a qualunque altro. Dio è solo e interamente energia: Dio è spirito, insegna il Vangelo. Se l’anima umana aderisce e si lascia plasmare dallo Spirito santo di Dio, e cioè aderendo liberamente al bene, si divinizza, e dunque non può morire con la materia. 

Il giudizio ovvero la parusia
Tutto il Nuovo Testamento testimonia e annuncia che il mondo va verso una fine, che la storia ha un suo termine, che c’è un evento finalizzatore in un doppio senso:perché dà alla storia una fine e perché le impone uno scopo, un termine, un senso. Il termine usato più comunemente è “parusia”, parola greca che significa “essere presente, arrivare”. Dunque parusia come “apparizione”, come “rivelazione”, presenza di Cristo alla fine dei tempi. Per questo la parusia è strettamente collegata alla fine del mondo presente, ecco perché la parusia è seguita dalla creazione di un nuovo cielo e di una nuova terra. E’ all’interno della parusia di Cristo che va colto il giudizio finale che sembra comportare una discriminazione ma che in realtà va compreso come un autogiudizio. La Scrittura ci dice chiaramente che non ci sarà una sentenza di Dio a costituire l’uomo salvato o dannato, a collocarlo in uno stato di innocenza o colpevolezza. C’è un autogiudizio che l’uomo si dà e che di fronte a Dio viene semplicemente svelato. La parola di Dio costata, non costituisce una discriminante, questo viene detto in modo molto chiaro da Giovanni 3,17-19: “Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui, chi crede in lui non è giudicato, ma chi non crede in lui è già stato giudicato”, è lui che si giudica. Anche in Mt 25 (il brano che ha fornito la grande scena del giudizio) il giudice che viene nella gloria si limita a rendere pubblico che alcuni sono benedetti ed altri maledetti perché hanno o non hanno riconosciuto Cristo nei fratelli, nei più piccoli, nei poveri. Dovremmo capire che Cristo è giudice soltanto in questo senso: di fronte a lui l’uomo risponde, di conseguenza Cristo rivela, Cristo constata, Cristo fa apparire. Di fronte al Signore apparirà la responsabilità di ciascuno di noi, ed ogni essere si incontrerà con la sua propria verità. Questa manifestazione gloriosa farà sì che si raccolgano attorno a Cristo i suoi e la non appartenenza a lui si manifesti per tutti quelli che hanno rifiutato l’amore. Ecco il giudizio escatologico: non è una sentenza, ma soprattutto un atto di salvezza, qui ne dipende la fede cristiana!
Paradiso, vita eterna o nuova creazione.
Sono tre denominazioni che connotano i vari aspetti dell’unica realtà, l’essere con Dio per sempre, unico vero obiettivo di tutta la storia della rivelazione, esito ultimo dell’alleanza fatta dal Dio al suo popolo giunta a pienezza nel Cristo risorto. L’espressione che più costantemente ritorna è “essere con Cristo”; certo visione di Dio, certo paradiso, certo vita eterna, ma soprattutto “essere con Cristo”. Questa è la divinizzazione, cioè la partecipazione della creatura alla natura divina. 
La risurrezione della carne
La fede nella resurrezione della carne è il cuore della fede cristiana, perché indissolubilmente legata alla fede nella resurrezione di Gesù Cristo. Già l’Apostolo Paolo, di fronte alle difficoltà mostrate a questo riguardo dai primi cristiani provenienti dal mondo greco, asseriva con forza: “Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede ... Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1Cor 15,16-17.19). Come risorgeremo? Che corpo avremo (cf. 1Cor 15,35)? La parola di Gesù ci deve bastare: alla fine dei tempi, quando egli verrà nella sua gloria la sua potenza trasfigurerà i nostri corpi mortali in corpi gloriosi (cf. Fil 3,21) e noi saremo sempre con il Signore, nella vita eterna (cf. 1Ts 4,17). Nulla di ciò che ha costituito la nostra vita, la nostra persona, andrà perduto. Risurrezione della carne significa perciò che il mio “io”, la mia persona, che ora si presenta in un corpo fisio-chimicamente percettibile, non solo non si dissolve, ma apparirà sotto l’aspetto di una realtà ultra-fisica. Non risorge dunque il corpo messo nel sepolcro e dissolto, ma la persona nella sua interezza. 

Una storiella di Dostoevskji
C'era una volta una donna cattiva che morì, senza lasciarsi dietro nemmeno un'azione virtuosa. I diavoli l'afferrarono e la gettarono in un lago di fuoco. Ma il suo angelo custode era lì e pensava: di quale azione virtuosa mi posso ricordare per dirla a Dio? Se ne ricordò una e disse a Dio: «Ha sradicato una cipolla nell'orto e l'ha data a una mendicante». E Dio gli rispose: «Prendi dunque quella stessa cipolla, tendila a lei nel lago, che vi si aggrappi e la tenga stretta, e se tu la tirerai fuori dal lago, vada in paradiso; se invece la cipolla si strapperà, la donna rimanga dov'è ora». L'angelo corse dalla donna, le tese la cipolla: «Su, donna - le disse - attaccati e vieni». E si mise a tirarla cautamente, e l'aveva già quasi tirata fuori, ma gli altri peccatori che erano nel lago, quando videro che la traevano fuori, cominciarono ad aggrapparsi tutti a lei, per essere anch'essi tirati fuori. Ma la donna era cattiva cattiva e si mise a sparar calci contro di loro, dicendo: «È me che si tira e non voi, la cipolla è mia e non vostra». Appena ebbe detto questo, la cipolla si strappò. E la donna cadde nel lago e brucia ancora. E l'angelo si mise a piangere e si allontanò. 

Se quella donna avesse avuto un solo piccolo istante di amore, di capacità di condivisione, sarebbe bastata una cipolla per liberare l'inferno. Non è Dio che vuole condannare. È che la vita eterna, che si trova nella dimensione divina, è la vita del bene e dell'amore, e vi possono accedere solo coloro che ne hanno almeno una traccia.