Normalmente diciamo che l’Avvento è il tempo che ci
prepara al Natale, ma questa espressione dice ben
poco.
Anche perché cosa vuol dire prepararsi al Natale? N
el rito romano l’Avvento comincia tra due settimane
: noi ne
abbiamo bisogno addirittura sei? Per cosa poi? Abbi
amo bisogno di sei settimane per entrare nel clima
natalizio, per
preparare le luminarie, il presepio, l’albero, i re
gali? Poi
arriva Natale, si mangia, si sta insieme
in famiglia, si viene a
Messa, si scartano i regali e tutto finisce lì. E a
che cosa è servita tutta questa preparazione? L’Av
vento è molto di
più. Le stesse letture di oggi e anche quelle delle
prossime domeniche parlano di tutto tranne che del
Natale. Parlano
si della venuta del Signore, che poi è anche il tit
olo di questa prima domenica, e la parola Avvento,
lo sappiamo,
significa precisamente “venuta”. E il Signore è ven
uto nel senso che si è fatto uomo in Gesù di Nazare
th, come
appunto celebreremo il giorno di Natale. Ma qui si
parla di un’altra venuta, quella che ripetiamo semp
re nel Credo
quando diciamo che Gesù crocifisso e risorto ritorn
erà nella gloria per giudicare i vivi e i morti e i
l suo regno non avrà
fine. Non è colpa mia se purtroppo le letture di og
gi sono lunghe e difficili, impossibili da spiegare
nei dettagli in una
predica, come faccio invece negli incontri serali d
el lunedì, sempre aperti a tutti coloro che desider
ano non lasciare
cadere questa Parola nel dimenticatoio e provare a
capirla. Pertanto mi limito ad alcune sottolineatur
e che possano
aiutare la nostra riflessione, a capire cos’è quest
a venuta di Dio e quindi a cosa serve il tempo di A
vvento. Gesù, nel
vangelo, usa un linguaggio apocalittico, e “apocali
ttico” è un aggettivo molto usato soprattutto dai g
iornalisti
ignoranti per descrivere scenari di guerra, di deva
stazione, di sciagura. In effetti Gesù parla della
distruzione del
tempio di Gerusalemme, di guerre tra le nazioni, di
carestie, di terremoti, di tribolazioni, dei suoi
discepoli che
verranno uccisi, del sole che si oscura, della luna
che non illumina più, di stelle che cadono dal cie
lo. Sembra di
leggere la cronaca di tanti avvenimenti tragici che
accadono anche oggi di fronte ai quali si usa dire
: è un’apocalisse!
In realtà, come dicevo, questa è un’espressione sba
gliata che deriva dall’ignoranza del significato de
lla parola
“apocalisse”. Apocalisse non significa distruzione
e disastro, ma rivelazione. Che cosa rivela Gesù? C
he queste cose
sono sempre avvenute e sempre avverranno. Ma che no
n dobbiamo avere paura. Non sono il segno della fin
e del
mondo. Tutt’altro. Dice: occorre perseverare e annu
nciare a tutto il mondo il vangelo del Regno, e sol
o allora verrà la
fine, comparirà il segno del Figlio dell’Uomo che v
errà nella sua gloria e tutti lo vedranno. Cosa vuo
l dire? Vuol dire
che in mezzo al male noi siamo chiamati a fare come
lui, cioè a fare il bene. Quello che è successo a
Gesù succede
anche a noi. A Natale noi celebriamo Dio che si è f
atto uomo per farci vedere che ogni figlio dell’uom
o, se vive la vita
come Lui, con Lui, col suo Spirito, facendo il bene
in mezzo al male, si accorge che Dio continua a ve
nire, a rendersi
presente nel volto dei fratelli che gridano aiuto (
come diceva il vangelo di domenica scorsa), perché
la sua gloria si
manifesta nell’amore che viviamo gli uni verso gli
altri, e come Lui siamo destinati non a morire, ma
risorgere, a
vivere per sempre. La fine del mondo non è quando c
i sono i terremoti, ma quando qualcuno si fa prossi
mo a chi ha
bisogno: lì finisce il vecchio mondo dell’egoismo e
inizia il Regno di Dio. Allora Dio viene nella sua
gloria, perché la
sua gloria è quando viviamo come figli che amano i
fratelli.
(Vuoi incontrare il Signore? Scegli il bene con gio
ia e lo
incontri. Un suggerimento per i nostri ragazzi: non
pensare solo a te stesso, non fare quello che pret
ende tutto e
subito, piuttosto stai attento ai bisogni degli alt
ri)
Noi celebriamo l’Eucaristia nell’attesa della sua
venuta, come
ripetiamo in ogni Messa. Perché nell’Eucaristia Dio
viene in un pezzo di pane e in un po’ di vino per
nutrire la nostra
anima della sua vita e possiamo riconoscere la sua
venuta nel volto dei fratelli, fino a che, dopo la
morte, verrà per
abbracciarci come suoi fratelli e farci vivere con
Lui per sempre. Capite dunque come è bella questa a
pocalisse,
questa rivelazione? E’ a questa realtà che il tempo
dell’Avvento vuole aiutare a prepararci. Per quest
o vanno
sottolineate le altre parole che Gesù pronuncia e c
he san Paolo riprende con forza nel brano della let
tera ai
Tessalonicesi: non lasciatevi ingannare e sedurre d
a chi vi dice il contrario, da chi vi fa credere ch
e la salvezza sta da
un’altra parte, da chi fa diventare suo Dio il male
, e questo è il massimo dell’empietà. Dunque l’Avve
nto è il tempo
che ci ricorda che non la fine, ma il fine della no
stra vita è l’incontro col Signore, che il nostro D
io viene e si
manifesta, come abbiamo ripetuto nel ritornello del
salmo, che dobbiamo imparare ad accorgerci della s
ua presenza
che ci accompagna nelle vicende belle e brutte dell
a vita, di fronte alle quali non dobbiamo avere pau
ra, perché il
destino della storia del mondo e della nostra stori
a personale non è la distruzione, ma l’incontro def
initivo con Lui.
Alzate al cielo i vostri occhi e guardate la terra
di sotto, diceva il profeta Isaia. Imparare a viver
e la vita con gli occhi di
Dio, con lo Spirito di Gesù che continua a venire:
a questa dimensione ci richiama l’Avvento, non a pr
eparare l’albero
di Natale, a meno che le sue luminarie non siano un
richiamo a vivere l’esistenza in questa nuova luce
.