martedì 1 novembre 2016

TUTTI I SANTI 2016

Ci sono pagine di vangelo come questa talmente note che rischiamo di farcele scorrere sui binari della nostra indifferenza senza accorgerci che sono centrali. To gli queste pagine, crolla il vangelo. Ma anche la n ostra vita, perché qui c’è in gioco la ricetta della felicità, present e e futura. Ora, le beatitudini si capiscono solo a lla luce di due parole, Padre e figli, cioè solo se capiamo che Dio è un
Pa dre che ama i suoi figli, vuole la loro felicità e, siccome la sa più lunga di noi, ci svela il segreto della felicità, e noi, o ci fidiamo e accogliamo questo segreto, o a ltrimenti non le capiamo. E infatti restiamo stupiti e ci sembra ass urdo che il segreto della felicità stia nell’essere povero, affamato, afflitto, perseguitato, piuttosto che ricco, forte, in salute, potente, oppure mite e misericordioso a nziché furbo e prepotente. Vi faccio notare come Matteo colloca Ge sù su un monte. Il monte fa venire in mente Mosè qu ando riceve da Dio la Legge in mezzo a lampi, fulmini, t erremoti, a tal punto che il popolo sotto dice a Mo sè: noi non vogliamo partecipare a questa cosa. Mi viene in men te la scena del film Frankenstein Junior, quando, s cendendo in cantina, Igor dice al padrone: “potrebbe essere per icoloso, vada avanti lei!”. Il monte dove si trova Gesù è invece splendido, vicino a un lago: Gesù rivela che la Leg ge di Dio non è spaventosa, che Dio è uno che dialo ga coi suoi figli in modo ben diverso, amichevole, amabile, confidenz iale, intimo. Queste sono le premesse per capire le beatitudini. All’inizio, se andiamo a leggerle nel vangelo di Lu ca, esse erano davvero rivolte a chi era povero, af famato, afflitto. Queste categorie di persone, non solo nel Vangelo, ma in tutta la Bibbia sono i destinatari privilegia ti del vangelo. Perché chi è così è aperto, non si crede autosuffic iente, sa di avere bisogno, che non ci facciamo da soli, da soli siamo bravissimi a farci del male, e quindi chi è così as colta e accoglie. Altrimenti io posso fare anche le cose di Dio, ma di Dio non me ne frega un accidente. E perché sono bea ti? Lo sono perché è giunto il Messia, quello che s i prende cura di loro. Per questo I POVERI SONO BEATI: PERCHÉ, FI NALMENTE, C’È QUALCUNO CHE SI PRENDE CURA DI LORO. E così gli afflitti, perché qualcuno li consola; e ch i ha fame e sete, perché qualcuno gli da da bere. Q UESTA È ANCHE UNA RESPONSABILITÀ DELLA COMUNITÀ CRISTIANA. Allo s tesso modo anche noi oggi, se vogliamo essere disce poli di Gesù, dovremmo dire ai poveri: “voi siete beati, perché finalmente c’è una comunità che si occupa d i voi, perché ci siamo noi a farci carico dei vostri bisogni”. Ora, siccome Matteo aveva un auditorio fatto non da gent e povera, ci aggiunge “in spirito”. Non dice voi che avete fame, ma affamati di giustizia. Perché il vangelo è anch e per chi non è povero, ma deve diventarlo. Come? Dando, donando, m ettendo la vita a disposizione, fino anche ad esser e perseguitato. E perché chi fa così è beato e non sc emo come pensiamo noi? Perché diventa come Gesù, il primo ad essere misericordioso, operatore di pace, mite, pov ero, perseguitato. E quindi diventa come Dio, perch é Dio è il più povero di tutti, perché ha dato tutto. Diventare sa nti vuol dire diventare come Dio, perché la parola santo significa ‘separato’, ‘diverso’ dagli altri. E santo è l’attr ibuto principale di Dio, perché chi è più diverso d i tutti se non Dio? Dio, per noi cristiani, è tre volte santo, come cantiamo in ogni messa: santo, santo, santo, santo il Padre , santo il Figlio, santo lo Spirito santo, appunto. I santi, di conseg uenza, sono quegli uomini e quelle donne diversi da tutti perché sono diventati come Dio. E quanti sono? Abbiamo let to nell’Apocalisse: vidi una moltitudine immensa, c he nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e li ngua, 144.000, cioè 12x12x1000, dove il 12 corrispo nde alle tribù d’Israele e 1000 indica un numero infinito, per cui 144.000 simboleggia tutta l’umanità. Dio vuole che tutti diventiamo santi come lui. Come si fa? Vivendo le b eatitudini, diventando come Gesù. Per questo Dio si è fatto uomo, per farci vedere con Gesù come diventare sant i e dunque felici. Certo, perché la felicità non è quando tutto va bene (questa sarà solo in Paradiso), ma quando entr iamo nella dimensione di Dio, perché lì entriamo in contatto con la nostra vera identità, che è quella descritta da san Paolo nel brano della lettera ai Romani che la liturgia oggi ci ha proposto, là dove dice che Dio ci ha predestinati a d essere conformi all’immagine di suo Figlio: cioè, il nostro destino è quello di diventare quello che già siamo, come Ge sù, figli nel Figlio. E quindi la felicità è quando viviamo la vita sentendoci figli amati da un Dio che è Padre e quin di impariamo ad amare gli altri come nostri fratell i come ha fatto Gesù. Non quando abbiamo tutto quello che vorremmo, potere, soldi, successo. Ma il contrario. È nel no stro dna. E infatti quando viviamo cercando la felicità da altr e parti, non la troviamo. Gesù ci dice: fermati, so no tutte balle! Rallegratevi ed esultate, questo è l’unico comando di Dio, e il segreto è fidarsi e fare quello che ha detto Gesù, come i santi canonizzati dalla Chiesa ci hanno mostrato nella loro vita: uomini e donne che pur in mezzo a mille difficoltà come è per ciascuno di noi, hanno sperimentato quel la pace, quella felicità vivendo le beatitudini, e noi li invochiamo non solo perché possiamo raggiungerli quando il nos tro corpo sarà morto, ma perché il loro esempio ci sproni a seguire la via indicata da Cristo che loro hanno pe rseguito. Ma possiamo farlo se appunto come figli c i crediamo. Per crederci dobbiamo diventare puri di cuore: beati i puri di cuore. Perché? Perché vedranno Dio. Puri di cuore vuol dire snebbiare mente e cuore da tutte quelle nostre fals e certezze e paure che ci impediscono appunto di ve dere l’essenza del nostro vero io, quella nostra identit à che Gesù ci rivela. È il dono che vogliamo chiede re al Signore in questa stupenda festa che oggi celebriamo.