Ci sono pagine di vangelo come questa talmente note
che rischiamo di farcele scorrere sui binari della
nostra
indifferenza senza accorgerci che sono centrali. To
gli queste pagine, crolla il vangelo. Ma anche la n
ostra vita, perché
qui c’è in gioco la ricetta della felicità, present
e e futura. Ora, le beatitudini si capiscono solo a
lla luce di due parole,
Padre e figli, cioè solo se capiamo che Dio è un
Pa
dre che ama i suoi figli, vuole la loro felicità e,
siccome la sa più
lunga di noi, ci svela il segreto della felicità, e
noi, o ci fidiamo e accogliamo questo segreto, o a
ltrimenti non le
capiamo. E infatti restiamo stupiti e ci sembra ass
urdo che il segreto della felicità stia nell’essere
povero, affamato,
afflitto, perseguitato, piuttosto che ricco, forte,
in salute, potente, oppure mite e misericordioso a
nziché furbo e
prepotente. Vi faccio notare come Matteo colloca Ge
sù su un monte. Il monte fa venire in mente Mosè qu
ando
riceve da Dio la Legge in mezzo a lampi, fulmini, t
erremoti, a tal punto che il popolo sotto dice a Mo
sè: noi non
vogliamo partecipare a questa cosa. Mi viene in men
te la scena del film Frankenstein Junior, quando, s
cendendo in
cantina, Igor dice al padrone: “potrebbe essere per
icoloso, vada avanti lei!”. Il monte dove si trova
Gesù è invece
splendido, vicino a un lago: Gesù rivela che la Leg
ge di Dio non è spaventosa, che Dio è uno che dialo
ga coi suoi figli
in modo ben diverso, amichevole, amabile, confidenz
iale, intimo. Queste sono le premesse per capire le
beatitudini.
All’inizio, se andiamo a leggerle nel vangelo di Lu
ca, esse erano davvero rivolte a chi era povero, af
famato, afflitto.
Queste categorie di persone, non solo nel Vangelo,
ma in tutta la Bibbia sono i destinatari privilegia
ti del vangelo.
Perché chi è così è aperto, non si crede autosuffic
iente, sa di avere bisogno, che non ci facciamo da
soli, da soli siamo
bravissimi a farci del male, e quindi chi è così as
colta e accoglie. Altrimenti io posso fare anche le
cose di Dio, ma di
Dio non me ne frega un accidente. E perché sono bea
ti? Lo sono perché è giunto il Messia, quello che s
i prende cura
di loro. Per questo I POVERI SONO BEATI: PERCHÉ, FI
NALMENTE, C’È QUALCUNO CHE SI PRENDE CURA DI LORO.
E
così gli afflitti, perché qualcuno li consola; e ch
i ha fame e sete, perché qualcuno gli da da bere. Q
UESTA È ANCHE
UNA RESPONSABILITÀ DELLA COMUNITÀ CRISTIANA. Allo s
tesso modo anche noi oggi, se vogliamo essere disce
poli
di Gesù, dovremmo dire ai poveri: “voi siete beati,
perché finalmente c’è una comunità che si occupa d
i voi, perché ci
siamo noi a farci carico dei vostri bisogni”. Ora,
siccome Matteo aveva un auditorio fatto non da gent
e povera, ci
aggiunge “in spirito”. Non dice voi che avete fame,
ma affamati di giustizia. Perché il vangelo è anch
e per chi non è
povero, ma deve diventarlo. Come? Dando, donando, m
ettendo la vita a disposizione, fino anche ad esser
e
perseguitato. E perché chi fa così è beato e non sc
emo come pensiamo noi? Perché diventa come Gesù, il
primo ad
essere misericordioso, operatore di pace, mite, pov
ero, perseguitato. E quindi diventa come Dio, perch
é Dio è il più
povero di tutti, perché ha dato tutto. Diventare sa
nti vuol dire diventare come Dio, perché la parola
santo significa
‘separato’, ‘diverso’ dagli altri. E santo è l’attr
ibuto principale di Dio, perché chi è più diverso d
i tutti se non Dio? Dio,
per noi cristiani, è tre volte santo, come cantiamo
in ogni messa: santo, santo, santo, santo il Padre
, santo il Figlio,
santo lo Spirito santo, appunto. I santi, di conseg
uenza, sono quegli uomini e quelle donne diversi da
tutti perché
sono diventati come Dio. E quanti sono? Abbiamo let
to nell’Apocalisse: vidi una moltitudine immensa, c
he nessuno
poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e li
ngua, 144.000, cioè 12x12x1000, dove il 12 corrispo
nde alle tribù
d’Israele e 1000 indica un numero infinito, per cui
144.000 simboleggia tutta l’umanità. Dio vuole che
tutti
diventiamo santi come lui. Come si fa? Vivendo le b
eatitudini, diventando come Gesù. Per questo Dio si
è fatto
uomo, per farci vedere con Gesù come diventare sant
i e dunque felici. Certo, perché la felicità non è
quando tutto va
bene (questa sarà solo in Paradiso), ma quando entr
iamo nella dimensione di Dio, perché lì entriamo in
contatto con
la nostra vera identità, che è quella descritta da
san Paolo nel brano della lettera ai Romani che la
liturgia oggi ci ha
proposto, là dove dice che Dio ci ha predestinati a
d essere conformi all’immagine di suo Figlio: cioè,
il nostro destino
è quello di diventare quello che già siamo, come Ge
sù, figli nel Figlio. E quindi la felicità è quando
viviamo la vita
sentendoci figli amati da un Dio che è Padre e quin
di impariamo ad amare gli altri come nostri fratell
i come ha fatto
Gesù. Non quando abbiamo tutto quello che vorremmo,
potere, soldi, successo. Ma il contrario. È nel no
stro dna. E
infatti quando viviamo cercando la felicità da altr
e parti, non la troviamo. Gesù ci dice: fermati, so
no tutte balle!
Rallegratevi ed esultate, questo è l’unico comando
di Dio, e il segreto è fidarsi e fare quello che ha
detto Gesù, come
i santi canonizzati dalla Chiesa ci hanno mostrato
nella loro vita: uomini e donne che pur in mezzo a
mille difficoltà
come è per ciascuno di noi, hanno sperimentato quel
la pace, quella felicità vivendo le beatitudini, e
noi li invochiamo
non solo perché possiamo raggiungerli quando il nos
tro corpo sarà morto, ma perché il loro esempio ci
sproni a
seguire la via indicata da Cristo che loro hanno pe
rseguito. Ma possiamo farlo se appunto come figli c
i crediamo. Per
crederci dobbiamo diventare puri di cuore: beati i
puri di cuore. Perché? Perché vedranno Dio. Puri di
cuore vuol dire
snebbiare mente e cuore da tutte quelle nostre fals
e certezze e paure che ci impediscono appunto di ve
dere
l’essenza del nostro vero io, quella nostra identit
à che Gesù ci rivela. È il dono che vogliamo chiede
re al Signore in
questa stupenda festa che oggi celebriamo.