domenica 3 dicembre 2017

IV DOMENICA DI AVVENTO

Non dobbiamo stupirci che nel cuore dell’Avvento, nel nostro rito ambrosiano, ogni anno si legga questa pagina di vangelo che è quella della domenica delle Palme. Del resto, in tutto l’Avvento non si leggono mai letture che parlano esplicitamente dei giorni precedenti la nascita di Gesù, tranne nei giorni precedenti il Natale, quelli che tradizionalmente chiamiamo “novena”. Questo perché l’Avvento, nonostante quello che si continua a ripetere, non è il tempo che ci prepara alla nascita di
Gesù bambino. Per un motivo molto semplice. Perché Gesù è già nato, morto, risorto e asceso al cielo una volta per sempre. Non è che ogni anno Gesù nasce di nuovo. Un conto è una mamma o una famiglia che si preparano alla nascita di un figlio. Ma Gesù è già nato, non è che ogni anno nasce di nuovo, e questo vale anche a Pasqua quando celebriamo la passione, morte e risurrezione di Gesù. Per cui ci prepariamo a cosa? A partecipare meglio alla messa di Mezzanotte? E poi cosa vuol dire prepararsi? Pregare un po’ di più per smettere di pregare a santo Stefano? Fare l’albero, il presepe, le luminarie, i pacchetti regalo, gli addobbi, le novene? Il problema è un altro: che Gesù è nato, ma non cresce dentro di noi, muore già a santo Stefano insieme a santo Stefano. Ora, il senso e il significato della nascita di Gesù, del Dio che si fa uomo, è al centro NON del tempo di Avvento, ma del tempo di Natale. Allora l’Avvento serve per aiutarci a trovare le modalità che aiutino ciascuno di noi, adesso, ad accogliere il Signore perché nasca e cresca dentro di me, un lavoro che dura tutta la vita e non fino a quando abbiamo aperto l’ultima finestrella del calendario di Avvento, dopo aver mangiato l’ultimo cioccolatino. L’Avvento è dunque il tempo nel quale imparare ad accorgerci che il Signore è venuto, continua a venire e verrà quando nel momento della nostra morte i nostri occhi lo vedranno. E’ tempo che ci richiama che la vita terrena è un pellegrinaggio destinato ad un meta meravigliosa che non è il cimitero, ma Dio che viene ad abbracciarci in modo definitivo. Dunque, anche la scelta della liturgia di farci leggere un vangelo come quello di oggi è per aiutarci a capire come mai facciamo fatica ad accogliere il Signore nella nostra vita, come la folla che accoglie Gesù osannandolo mentre entra a Gerusalemme e subito dopo griderà “sia crocifisso”. Dunque guardiamo da vicino questa pagina evangelica. Gesù e i suoi discepoli sono vicini a Gerusalemme verso il monte degli Ulivi, e Gesù mandò due dei suoi discepoli nel villaggio di fronte. Questa è già una prima indicazione. Il termine “villaggio”, nel vangelo, indica sempre un luogo chiuso, legato ai valori tradizionali del passato, incapace di accogliere qualunque novità. Infatti in questo villaggio Gesù dice che i suoi discepoli avrebbero trovato un asinello legato che essi devono slegare. Cosa significa? Gesù fa riferimento ad una profezia del profeta Zaccaria che dice che il Messia sarebbe entrato a Gerusalemme giusto, umile, cavalcando un asino, un puledro figlio d’asina che avrebbe fatto sparire i carri da guerra e annunciato la pace alle nazioni. Una profezia, quella di Zaccaria, che era stata sempre ignorata, perché invece tutti aspettavano un Messia forte, vittorioso, potente, che avrebbe riportato Israele al suo antico splendore, che avrebbe cavalcato una mula, non un asinello, perché era la mula la cavalcatura del re. Gesù ordina di sciogliere questo asinello, cioè di slegare questa profezia, per mostrare che questa profezia con lui si è avverata. “Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra”. Il mantello è un simbolo che indica l’individuo, la persona: gettando sull’asino i loro mantelli vuol dire che affidano la loro esistenza a un Messia così. E il fatto che Gesù si siede sopra, vuol dire che si installa, vuol dire che quello è il suo posto, che Dio è questo: è colui che come un asino viene a servire, non ad essere servito. Ma se i discepoli accettano questo Messia di pace mettendo i loro mantelli sull’asino, ecco che la folla mette i mantelli sulla strada. Noi pensiamo che sia un’immagine bella, e invece è bruttissima, perché vuol dire che vogliono che la loro esistenza, simboleggiata dai mantelli, sia sottoposta e dominata da qualcuno, certamente non dai romani, ma da un re migliore, e quindi non capiscono che Gesù viene a liberarli da ogni forma di schiavitù: loro si aspettano il Messia forte e potente, e infatti gridano (e nel vangelo gridano sempre gli indemoniati) le parole del salmo 118 che veniva cantato per celebrare i generali vittoriosi: “Osanna”, che vuol dire “salvaci”; “benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide”, e quindi si aspettano il regno di un dominatore che cambia tutto con la forza e la violenza, e non un regno che si realizza se cambiamo il nostro cuore imparando come Gesù, come l’asino, a vivere non più per se stessi, ma per gli altri. E continuano gridando: “Osanna nel più alto dei cieli”, cioè chiedono l’appoggio di Dio per realizzare questo progetto. In questo modo Gesù si ritrova tra due fuochi, come un ostaggio, in mezzo tra quelli che lo precedevano e quelli che lo seguivano, mentre è lui quello che deve indicare il cammino. E così ecco spiegato perché appena la folla si accorgerà che Gesù non è il Messia di forza, di potere, che lui non è venuto a restaurare il defunto regno del re Davide, ma ad inaugurare il regno di Dio, questo Messia sarà inutile, e così questa stessa folla comincerà ad urlare: “sia crocifisso”. Ed ecco spiegato perché anche noi facciamo così fatica ad accogliere, a far nascere Gesù dentro di noi, a farlo morire a santo Stefano. Perché ci aspetteremmo che la sua venuta cambiasse le cose in meglio, che il Natale, con un tocco di magia, trasformasse le cose che non vanno, e invece ci accorgiamo che non cambia niente. Ma non cambia niente perché Dio viene non a cambiare il mondo, ma a cambiare me, il mio modo di pensare, di vivere, di affrontare la realtà delle cose. A questo volto di Dio dobbiamo imparare a convertirci. E allora il modo per accogliere questo Signore è permettergli di entrare nel mio villaggio, nella mia mente chiusa e non aperta ad accogliere un Dio diverso da quello che immagino io, affinchè il Signore sciolga l’asinello legato e io vi monti sopra con lui. Allora sarà Natale.