lunedì 25 dicembre 2017

NATALE MESSA DEL GIORNO

C’è il Natale secondo Matteo e quello secondo Luca, mentre gli altri due evangelisti non ne parlano, e ognuno dei due ne parla a modo suo: coincidono i nomi, si parla infatti di Giuseppe, di Maria, di Gesù, di Nazaret, di Betlemme, di Gerusalemme, e basta. Matteo racconta l’annuncio a Giuseppe, Luca racconta l’annuncio a Maria; Matteo racconta la visita dei Magi, Luca racconta la visita dei
pastori. E poi c’è il Natale secondo ciascuno di noi, nel senso che ognuno di noi vive il Natale a modo suo o secondo le diverse tradizioni. Io penso che sia giusto e doveroso contestare il dilagante laicismo che pensa di rispettare chi non è cristiano facendo diventare il Natale una festa dove si può parlare di tutto tranne che della nascita di Gesù, dove vengono aboliti presepi e canti religiosi, a favore di Babbi Natale e orpelli vari. La vera integrazione di tutti si promuove non imponendo il proprio credo, ma nemmeno rinnegando la propria identità, anzi. Ma una volta fatto questo, abbiamo risolto niente se poi noi cristiani per primi non comprendiamo il significato della nascita di Gesù. Possiamo fare tutti i presepi più belli del mondo e i canti religiosi natalizi più significativi, ma se l’evento della nascita di Gesù non è compreso nella sua portata e non incide nella nostra vita, anche il Natale cristiano diventa semplicemente una data del calendario e un fattore culturale che ha generato le nostre tradizioni. A scuola, ai ragazzi di seconda e terza media, ho chiesto: provate a dirmi cosa c’entra la nascita di Gesù con la nostra vita? Perché questa è una domanda che continua a martellarmi nella testa dall’inizio dell’Avvento: oggi è Natale, bene… e allora? Cosa mi cambia nella vita la celebrazione della nascita di Gesù? E le risposte più interessanti sono state: “non ci ho mai pensato”, “non mi cambia niente se non il fatto che se non fosse nato non andrei a messa”. Risposte sconcertanti date da ragazzi usciti dalle nostre parrocchie e che secondo me non sono attribuibili all’età, ma al modo sbagliato col quale è stato annunciato o hanno recepito il messaggio cristiano. Da chi? Ma da noi, anche noi che siamo qui oggi, e io metto anche noi preti senza dubbio. Perché magari è una domanda che non ci poniamo neanche noi. Perciò dico che a nulla servono le pur giuste alzate di scudi per rivendicare l’origine cristiana del Natale se poi di fatto siamo noi per primi a trasformare il Natale in una bella favola. Ma per rimediare a questo errore c’è solo una cosa da fare: guardare il Natale non secondo noi, ma secondo quello che ci hanno descritto gli evangelisti. E allora proviamo questa mattina a spiegare brevemente cos’è il Natale secondo Luca, visto che è il vangelo che la liturgia oggi ci propone. Prima di tutto diciamo che sia Luca sia Matteo non vogliono fare una cronaca degli avvenimenti legati alla nascita di Gesù, ma anticipare e riassumere tutto quello che sarà l’insegnamento di Gesù. Un Dio completamente diverso da quello che si inventano gli uomini e le religioni, un Dio dal cui amore nessuno può essere escluso: per questo mettono come protagonisti gli esclusi dalla società. Matteo mette i pagani, che per gli ebrei erano esclusi dalla salvezza. E infatti subito dopo aver raccontato la nascita di Gesù, racconta la visita dei Magi che venivano dall’Oriente. Invece Luca parla di coloro che nel popolo d’Israele erano emarginati perché considerati peccatori, e cioè i pastori. I pastori infatti vivevano lontani dalla società civile, non erano pagati, vivevano di furti, non avevano diritti civili, non potevano andare in sinagoga. Dunque si pensava che per essi non vi fosse possibilità di salvezza. Anzi, si credeva che il messia, quando sarebbe arrivato, li avrebbe sicuramente eliminati. E invece? Ecco la sorpresa. Quando Dio si presenta loro, lo abbiamo letto, non li minaccia, non li castiga, non li fulmina, ma li avvolge della sua luce, la luce del suo amore. Ma i pastori non lo sanno, e infatti, scrive l’evangelista “sono presi da grande timore”, perché sapevano quello che li aspettava, “ma l’angelo disse loro «Non temete: ecco, vi annuncio un grande gioia»”. E qual è la grande gioia? Che “nella città di Davide è nato per voi”, è nato chi? Il giustiziere, il messia castigamatti? No, “un Salvatore”. Gesù non sarà un giudice, ma sarà un Salvatore. E infatti la gloria di Dio che sembra qualcosa di così astratto e lontano qual è? Che sulla terra “ci sia pace”, cioè felicità. A chi? In passato si traduceva “agli uomini di buona volontà”, una frase che purtroppo continua a restare nella liturgia quando diciamo il Gloria che prima abbiamo cantato. Dico “purtroppo” perché sembra voler dire che Dio ama le persone meritevoli. Invece l’esatta traduzione è “agli uomini che egli ama”, cioè a tutti. L’amore di Dio, la sua gloria, riguarda tutta l’umanità, perché ogni uomo è amato dal Signore. Raccontando dunque la nascita di Gesù, Luca vuole fin dall’inizio sintetizzare quello che sarà tutto l’insegnamento di Gesù, e cioè che non c’è nessun uomo, qualunque sia la sua condizione, il suo comportamento, che possa sentirsi escluso dall’amore di Dio. Eppure c’è sempre la possibilità di non accogliere questo dono. E Luca lo evidenzia dicendo che Gesù, quando nacque, fu posto in una mangiatoia. Questo particolare ha fatto si che si pensasse che Gesù sia nato in una stalla, in una grotta. Tra l’altro, Matteo dice che i Magi, arrivati a Betlemme, entrarono nella casa in cui Gesù era nato, non in una stalla. E’ vero che Luca dice che nacque in una mangiatoia perché “per loro non c’era posto nell’albergo”, ma anche “albergo” è una traduzione sbagliata: non è “albergo”, ma “stanza”. Non c’era posto per loro nella stanza della casa dove si svolgeva la vita delle persone perché a quei tempi, quando una donna doveva partorire, doveva andare in una stanza interna, lontana da tutti, che era ricavata dalla roccia e che era adibita a dispensa, dove c’era una mangiatoia. Ed è la mangiatoia il particolare importante. E’ un richiamo al profeta Isaia, dove dice che “il bue riconosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. Luca non sta dicendo che Gesù nasce nella mangiatoia tra l’asino e il bue che lo scaldano perché, poverino, non c’era posto per lui in nessun albergo, ma sta dicendo che nasce in una stanza isolata, come succedeva a tutti i bambini (per sottolineare che Gesù è veramente uomo), e per anticipare quello che accadrà a Gesù quando verrà rifiutato dalla sua gente. Giovanni, nel suo vangelo, dice “venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”, mentre Luca dice la stessa cosa mettendo Gesù nella mangiatoia. E poi la mangiatoia è un richiamo all’ultima cena dove Gesù diventa cibo che si fa mangiare da noi, e il suo essere avvolto in fasce richiama quando verrà avvolto in fasce nel sepolcro, per cui sono riferimenti pasquali. Perché ho voluto magari annoiarvi con queste precisazioni? Per ribadire quello che dicevo all’inizio: perché solo guardando al Natale secondo il Vangelo c’è la possibilità che questo avvenimento non rimanga soltanto una data del calendario che oggi ci fa commuovere e sognare un pochino, ma che già da domani non riesce ad incidere nella nostra vita.